Il manifesto, 15 marzo 2015
Le vicende che hanno portato in Toscana all’approvazione, quanto mai difficile e tormentata (nel penultimo giorno utile della legislatura!) del cosiddetto Piano paesaggistico regionale, meritano una riflessione che travalica i confini del caso specifico e s’allarga inequivocabilmente a una dimensione nazionale.
In estrema sintesi (quindi, anche con qualche inevitabile imprecisione). Il Piano paesaggistico è lo strumento che disciplina il governo del territorio: proteggendo più o meno caratteri e morfologia del paesaggio e dell’ambiente; disciplinando in forme più o meno chiare e definite il consumo del suolo, problema divenuto in questi anni in Italia drammatico, anzi, ormai sull’orlo della catastrofe.
Nel governo regionale toscano, a maggioranza Pd, e sotto la presidenza di Enrico Rossi, l’assessorato all’urbanistica, ricoperto da Anna Marson, tecnico di valore, docente nella facoltà di architettura di Venezia, ha iniziato da subito un minuzioso lavoro di studio e di definizione (con l’ausilio anche delle competenze espresse dalle principali università toscane), il quale ha portato più o meno nell’estate scorsa ad un testo giudicato unanimemente di grande valore ed efficacia. La supremazia decisionale della Regione sulle singole rappresentanze locali e un sistema di regole chiare e ineludibili ne costituivano il tessuto culturale e politico.
In questa lunga fase i rapporti fra la presidenza Rossi e le istanze ambientaliste sono state generalmente (anche se non uniformemente) buoni. La Rete dei comitati per la difesa del territorio, che allora presiedevo, ha avuto numerosi incontri con Rossi e la sua Giunta, credo con reciproco vantaggio. Tutto ciò si è allentato, fino a scomparire del tutto, dal momento in cui Rossi si è ricandidato alla presidenza della Regione con l’esplicito avallo di Matteo Renzi (ma non intendo stabilire rapporti troppo stretti da causa ed effetto tra le varie vicende narrate, le quali invece, come vedremo, si prestano a molteplici e contraddittorie interpretazioni).
Vengo rapidamente al dunque. Il Piano, dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti e approvazioni da parte delle forze che compongono l’attuale maggioranza, entra nella fase di discussione consiliare e del voto.
Emergono a questo punto le resistenze più acri e selvagge. A parte l’ostilità delle opposizioni in Consiglio, Fi e altri, in qualche modo scontate, gli interventi più distruttivi in materia di disciplina ambientale e regole e tutela del paesaggio, si manifestano tra le file del Pd. In numerose occasioni Pd e Fi ragionano e votano in maniera sorprendentemente identica.
Due concezioni dell’ambiente e del territorio, ma ancor più, due modi d’intendere la politica e la società (come ebbe a dire più tardi l’assessore Marson) si fronteggiano con dura chiarezza: non , come pretenderebbero gli avversari del Piano, fra una “idea di sviluppo” e “una che rifiuta lo sviluppo”, facendosi carico di un improbabile ritorno all’indietro; ma fra una politica sfacciatamente ancorata agli interessi privati e una che assume come proprio punto di riferimento gli interessi collettivi e i bisogni della cittadinanza; e dunque, a ben vedere, tra un modello di sviluppo ormai sterile e autodistruttivo e un diverso e innovativo modello di sviluppo (che è poi ovunque, e sempre di più, la vera posta in gioco dello scontro).
La battaglia è durissima, e a un certo punto sembra perduta. Rossi, inaspettatamente, la porta a Roma, dove trova un sostegno nel Mibact, e più precisamente nelle persone del ministro Franceschini e, in modo particolare, del sottosegretario Borletti Buitoni. Ma il Mibact non fa parte del governo di Matteo Renzi, i cui pasdaran nel consiglio regionale toscano hanno azzannato il Piano come lupi affamati? Mah… sì. Evidentemente non tutto corrisponde ancora a una logica rigidamente formale (questa considerazione determinerà una parte delle conclusioni).
Il Piano, ferito in più punti ma non svuotato, viene riportato in Consiglio regionale e approvato. Io la considero una grande vittoria, e vorrei che questo, nonostante tutto, sia posto alla base del ragionamento futuro.
Le considerazioni che vorrei fare sull’accaduto sono le seguenti.
La mobilitazione a difesa del Piano è stata imponente. Quando tutte le associazioni ambientaliste, talvolta divise da quisquilie o da ragioni di bandiera, si coalizzano, com’è accaduto prontamente questa volta, è difficile per chiunque far finta di niente. Questa unanimità di propositi ha trascinato con sé anche la grande stampa nazionale, oltre che i giornali amici per definizione come il manifesto. Questo spirito di coalizione (per restare nel vocabolario di questi giorni) andrebbe secondo me coltivato sempre di più.
Se si mette in campo un fronte come questo, nessuna battaglia ambientalista può esser considerata perduta in partenza. Vale per il presente, ma anche per il futuro. Lo dico per i molti compagni buoni combattenti ma troppo scettici.
L’amara lezione della serrata discussione sul Piano è che il Pd toscano sembra perduto a qualsiasi possibile motivazione di etica ambientalista e territoriale. Non solo, infatti, singoli consiglieri regionali iscritti a quel partito si dedicavano alle furibonde scorrerie di cui abbiamo detto. Ma nessuno degli organismi istituzionali di tale partito è mai intervenuto, come avrebbe facilmente potuto, per impedirle o almeno sedarle. Questo, di conseguenza, rappresenta il principale problema politico oggi in Toscana.
Prima, durante e dopo la fase di discussione delirante, di cui abbiamo parlato, il ruolo dell’assessore Marson è apparso decisivo. Nell’intervento pronunciato dopo il voto di approvazione, Anna Marson ha dimostrato di essere in grado di trasferire la propria sapienza tecnica e disciplinare in quel che lei stessa ha giustamente chiamato un atteggiamento «diversamente politico». Bisogna dire fin d’ora, con chiarezza e onestà intellettuali e politiche, che, se l’approvazione del Piano paesaggistico ora non è una burla, il ruolo dell’assessore all’urbanistica nella giunta regionale di domani, quale che essa sia, non può esser messo in discussione.
Infine. In Toscana si vota per le elezioni regionali a maggio. Dunque, esiste un corto circuito ravvicinatissimo fra gli avvenimenti che hanno riguardato l’approvazione del Piano in consiglio regionale e il voto del prossimo maggio. La Rete dei comitati non ha mai preso posizione a favore di questa o quella formazione politica in sede di voto, e penso che debba continuare a farlo (o non farlo, a seconda dei casi). Ma non riterrei disdicevole oggi che essa esprima una preferenza di massima a favore di tutte quelle formazioni che oggi si dichiarino per i valori del territorio e della salvaguardia e dello sviluppo dei beni ambientali. Constato che c’è in giro, in Toscana, sia a livello regionale sia a livello locale, una buona aria di lotta e di riscatto, che va aiutata e confortata.
Le questioni ancora pendenti sono del resto numerose e talvolta sull’orlo della catastrofe. Si pensi, per fare un esempio eclatante, alla sciagurata intrapresa, per dimensioni ed esiti, del sottoattraversamento ferroviario di Firenze, risolvibile in tutt’altro modo, come ormai tutti sanno, con spesa infinitamente minore e senza l’inevitabile debito contratto con la corruzione. Si voti per chi è contrario al sottoattraversamento. O contro la seconda pista all’aereoporto di Firenze. O è per la ragionevole soluzione dei problemi geotermici regionali, ecc. ecc. ecc.
Invece di chiacchiere, impegni concreti e facilmente individuabili e definibili. Se così accadesse, invece di una campagna elettorale a senso unico, — come sempre, dall’alto verso il basso, — ce ne sarebbe una bifronte. Si voti per chi s’impegna a fare le cose che noi chiediamo. Nessun impegno, niente voto. Così un eventuale Piano paesaggistico, o quant’altro di simile, correrà la prossima volta all’approvazione trionfalmente, senza gli ostacoli che ora abbiamo conosciuto, e come avrebbe meritato che anche questa volta accadesse.