loader
menu
© 2024 Eddyburg
Ugo Mattei
I guardiani togati del potere economico
26 Gennaio 2008
Capitalismo oggi
A proposito di rule of law: le due facce della legalità del mondo occidentale. Da il manifesto del 26 gennaio 2008

Difficile immaginare una locuzione del lessico politico angloamericano più diffusa e prestigiosa a livello planetario della mitica rule of law. Sulla sua data di nascita le opinioni sono discordi, ma non sul luogo dove ha preso inizialmente forma: l'Inghilterra. Ci sono studiosi che indicano la Magna Charta come primo esempio di rule of law; altri, invece, spostano il calendario a quelache secolo dopo, quando il leggendario giudice Edward Cook «vieta» a Re Giacomo I (1603-1625) di sedere nella «sua» Corte, ritenendolo carente di quel bagaglio tecnico e non politico su cui si deve fondare la legittimazione di un giudice. Secoli dopo, un'icona del diritto costituzionale inglese, Albert V. Dicey condannava come irrimediabilmente autoritaria la tradizione amministrativa continentale (napoleonica) proprio perché carente di rule of law, visto che, nei paesi europei, a differenza del mondo anglo-americano, i giudici ordinari hanno infatti giurisdizione molto limitata sui pubblici poteri. Una fondamentale iniezione di prestigio è venuta alla rule of law dall' esperienza costituzionale statunitense, dove i Federalist Papers la ritennero il solo modo per garantire politicamente una società di disuguali, in cui i proprietari sono pochi e devono essere difesi da quelli che non hanno, che sono tanti. La rule of law, affidando ad una Corte dotata di sapienza giuridica la tutela della proprietà privata, indipendentemente dai cambi di umore politico, deve restare, secondo i «federalisti» statunitensi, una garanzia essenziale anche nel nuovo ordine costituzionale post-rivoluzionario, destinato all'attuale egemonia planetaria.

Un concetto bipartisan

In Italia Rule of law è a volte tradotta come «principio di legalità», altre volte come «stato di diritto» o come «governo della legalità»: traduzioni così insoddisfacenti da suggerire il mantenimento dell'originale. Quasi impossibile, in presenza del coro celebrativo che la invoca come panacea per la soluzione di ogni problema di prepotenza del potere, trovare qualcuno disposto ad argomentare contro un sistema politico fondato sulla rule of law, nonostante le sue origini chiaramente conservatrici. Ogni argomento critico nei suoi confronti è considerato una critica a un sistema giuridico «giusto», un sistema economico «efficiente» o un pasto «appetitoso». Si tratta insomma di una di quelle idee che la storia ufficiale ha saputo collocare con successo su un piedestallo di sacralità, tutelato e difeso quasi da ogni parte politica. Una nozione «bipartisan», cara sia alla cultura conservatrice che a quella liberal più devota al cambiamento; icona tanto della monarchica costituzionale inglese quanto delle rivoluzione statunitense.

Qualche anno fa, Niall Ferguson, uno storico inglese di grande successo vicino alla terza via blairiana e clintoniana, ha pubblicato un libro portatore del medesimo ritolo, Impero, reso celebre da Michael Hardt e Toni Negri. Ferguson sosteneva che l'espansione dell'impero inglese aveva certamente prodotto nefandezze quali guerre, genocidi, espropriazioni e deportazioni, ma aveva anche beneficiato le sue prede di un lascito di inestimabile valore: la rule of law appunto, capace di trasformare sistemi (come quello indiano), che altrimenti si sarebbero sviluppati secondo un modello autocratico di dispotismo orientale, in moderne democrazie. In qualche modo, spiegava il giovane storico, successivamente, non per caso assurto ai fasti della cattedra harvardiana ed oggi autorevole firma del New York Times, il gioco era valso la candela.

Infine, non c'è occasione di incontro internazionale in cui la rule of law non diventi il concetto che mette tutti d' accordo. Nel luglio del 2005, ad esempio, in chiusura del vertice del G8 di Londra, Toni Blair ancora scosso dalle bombe che avevano portato il terrore nella capitale inglese, presentava il suo «piano per l'Africa», promettendo (nella generale commozione e approvazione) che la successiva remissione del debito sarebbe dipesa unicamente dalla volontà degli Africani di sviluppare la rule of law. Due anni dopo, la promessa cancellazione del debito non si è verificata, ma in compenso l'ultimo vertice G8, ha organizzato un importante convegno proprio dedicato alla rule of law. Del resto, quale concetto potrebbe mettere d'accordo in piena campagna elettorale, le due donne più potenti del pianeta, Hllary Clinton e Condoleeza Rice? Sfogliando l' ultimo fascicolo del Berkeley Journal of International Law si trova la risposta. Entrambe hanno infatti parlato di rule of law ad un seminario organizzato dalla potentissima American Bar Association (un paio di milioni di avvocati iscritti). Mi sono divertito a cancellare il nome delle autrici e a far circolare i due contributi fra gli studenti di un mio seminario in California, chiedendo di indovinare quale delle due «statiste» avesse scritto quale pezzo. È risultato del tutto impossibile indovinare. Avevano articolato esattamente le stesse (trite) riflessioni!

Quando il Puntland (estemo nord-est somalo) sul finire degli anni Novanta, cercando di consolidare una situazione di relativa pace dovuta al fatto che i macelli (a partecipazione italiana) dell'intervento Restore Hope non si erano spinti così tanto a nord, chiese alle Nazioni Unite di finanziare la ricostruzione di un edificio parlamentare dove far riunire l'assemblea politica di capi tradizionali, non ricevette una lira per la ricostruzione ma, al posto, ottenne la partecipazione di un (ben pagato) team internazionale di esperti incaricati di vegliare sul rispetto delle rule of law da parte della «carta transitoria» che i somali stavano cercando di negoziare. Non si trattava di un facile test per la cultura politica somala. Infatti, la rule of law, come mostra la sua storia tutta occidentale, altro non è che un modello in cui il potere decisionale dei micro-conflitti viene assegnato principalmene a un giurista (il giudice appunto), legittimato da un sapere tecnico-giuridico. Legittimato a decidere non è quindi un soggetto, dotato di un sapere religioso, filosofico-morale o tradizionale come per esempio il quadi islamico, né un uomo politico (come nel principio di legalità socialista) che pure potrebbe vantare in molti casi ben maggior legittimazione democratica.

Non è difficile a questo punto scorgere le principali ragioni del successo planetario della curiosa idea secondo cui la cultura professionale «espropria» quella religiosa e quella politica di gran parte del potere decisionale. Rule of law è infatti una di quelle «nozioni plastiche» in cui ciascuno vede i valori in cui crede. Così, quando la Banca Mondiale, dando ascolto a qualche guru dell'Università di Chicago, impone la rule of law come parte degli «aggiustamenti strutturali» ai quali condiziona il credito, essa vi legge la garanzia per gli investimenti esteri sotto forma di rispetto della proprietà privata e della «sacralità» dei contratti economici. Quando invece un giovane cooperante pieno di buone intenzioni partecipa ad un programma sulla rule of law (ce ne sono centinaia) finanziato da un' università americana, una Ong o un governo (come per esempio quello Italiano in Afghanistan o quello Canadese in Mali) egli legge nella rule of law la tutela dei «diritti umani fondamentali» e pensa così di fare del bene proteggendo qualche minoranza oppressa. Il punto è che fra queste due idee fondamentali c'è antinomia storica a dispetto della comune espressione semantica.

L'ostacolo dei diritti umani

Il Perù di Fujimori, il Cile di Pinochet o la Colombia di Uribe sono stati o sono sicuramente governati dalla rule of law, nella sua accezione di garanzia degli investimenti economica e sicurezza dei diritti proprietari. Dal medesimo punto di vista, la Bolivia di Morales, il Venezuela di Chavez o la Cuba di Fidel sono generalmente considerati carenti di rule of law, perchè gli investitori stranieri sono sottoposti a severi controlli e rischiano nazionalizzazioni: possibilità che suonano come una bestemmia alle istituzioni finanziarie internazionali. Dal punto di vista della tutela dei diritti umani (seconda accezione del termine rule of law), sicuramente si possono tuttavia trovare molti sistemi in cui i diritti umani sono assai più rispettati rispetto a quelli economici, perchè la proprietà privata e la libertà contrattuale vedono (giustamente) severe limitazioni ad opera della mano pubblica. Basti pensare, per un esempio storico, al Cile di Salvator Allende, ma anche a molte socialdemocrazie europee. Anzi, se si vuol dar credito a quanto scrive Naomi Klein (ma molti altri prima di lei) nel suo ultimo libro, il rispetto della rule of law nel primo senso (quello economico) ne rende impossibile il rispetto nel secondo (le ricette neoliberali richiedono la violenza di Stato per essere imposte), mentre il rispetto della rule of law come rispetto dell' effettività dei diritti umani è incompatibile con la sua accezione economica, perchè lo sviluppo dei diritti umani fondamentali non può prescindere dalla ridistribuzione delle risorse.

L'epifania del politico

Occorre peraltro osservare che l'idea stessa di rule of law pone le proprie radici nella più profonda autocoscienza della civiltà occidentale ed è quanto mai remota all'esperienza politico giuridica degli «altri». L'«orientalismo», che tuttora domina il discorso politico del potere occidentale, alimenta la percezione dell'«altro» (il non occidentale) come carente di rule of law. In questa prospettiva, lo stravolgimento della storia giuridica di popoli considerati «senza storia» non ha limiti: alcuni paesi islamici avrebbero conosciuto la rule of law soltanto grazie agli sforzi di modernizzazione giuridica di inizio ventesimo secolo (mentre molti sono ancora nell'oscurità della sharia).

Allo stesso tempo i paesi dell'America Latina dovrebbero ringraziare la colonizzazione e S. Ignazio di Loyola, mentre in molti paesi africani, che nel recente passato avevano rifiutato la colonizzazione e i suoi benefici giuridici di cui ci parla Ferguson, con la caduta del Muro di Berlino le organizzazioni finanziarie internazionali sono intervenute sul diritto, non più visto come una epifania del politico ma come una semplice infrastruttura del sistema economico. Inoltre, anche la Cina, dovrà prima o poi riuscire a capire l'importanza della rule of law. Infine, anche la Russia va aiutata ad aprire gli occhi, vista la continuità, a dispetto delle rivoluzioni, fra l'autocrazia zarista, gli orrori del socialismo reale e il personalismo revanchista di Putin.

Insomma, Solo l'Occidente è padrone della rule of law, e quindi in generale della legalità. Di questo concetto vago, universalizzato in scorrerie coloniali in cui i giuristi sempre legittimano i potenti, non si narra la storia. Piuttosto ne viene «naturalizzato» e «depoliticizzato» il contenuto, per celarne l'essenza: quella di principale ideologia di legittimazione etnocentrica e neo-coloniale, utilizzata tanto dagli ideologi del mercato quanto dai professionisti dei diritti umani.

Nel labirinto delle leggi in difesa dell'Occidente

Dalla conquista coloniale alla globalizzazione economica

Sulla storia del concetto A Concise History of the Common Law di T.F.T. Plucknett, (Little, Brown & Co., Boston), Oltre lo Stato di Sabino Cassese (Laterza), Common Law. Il diritto Anglo-Americano di Ugo Mattei (Utet), Impero di

Niall Ferguson (Mondadori). Un recente importante lavoro che insiste sull' importanza del diritto nella costruzione della dominazione coloniale è Ultramar, L' invenzione europea del nuovo mondo di Aldo Andrea Cassi (Laterza). Il saggio fondamentale sulla dominazione coloniale in Americana Latina resta Le vene aperte dell' America Latina di Eduardo Galeano (Giunti). Un classico del rapporto tra Occidente e il resto del mondo è Europe and the People Without History di Eric R. Wolf (University of California Press). Da segnalare sullo stesso tema anche il volume di William Woodruff The Impact of Western Man: a Study of Europe's Role in the World Economy, 1760-1960 (Macmillan). Particolare attenzione critica agli aspetti giuridici della globalizzazione è data dal saggio di Laura Nader Le forze vive del diritto (ESI). Sulla diffusione del modello giuridico dominante, i libri di Danilo Zolo Globalizzazione. Una mappa dei problemi (Laterza), Imitazione e Diritto. Ipotesi sulla circolazione dei modelli di Elisabetta Grande (Giappichelli); Il diritto sconfinato di MariaRosaria Ferrarese (Laterza), nonché Plunder. When The Rule of law is Illegal di Ugo Mattei-Laura Nader (Blackwell-Viley).

Nella cartella Il capitalismo d'oggi altri articoli di Ugo Mattei

ARTICOLI CORRELATI
12 Luglio 2019

© 2024 Eddyburg