». Corriere della Sera, 9 luglio 2016 (c.m.c.)
L’Aquila L’antidoto per l’antipolitica è la politica. E l’ingrediente perché la democrazia non si disperda nello stagno della sfiducia, dei poteri e dei proclami è il coinvolgimento dei cittadini. Quell’insieme di azioni, parole, dialoghi, sperimentazioni a cui si ispira il Festival della Partecipazione in corso in questi giorni a L’Aquila (7-10 luglio). Quattro giorni, 88 incontri, un centinaio di relatori riuniti da ActionAid, Cittadinanzattiva e Slow Food nel più grande cantiere d’Europa che il terremoto ha reso anche un laboratorio di ricostruzione sociale.
Riempire il buco dell’antipolitica è come ricostruire una città distrutta dove tutto è da rifare, riscrivere e mettere in ordine. L’analogia è fin troppo diretta: i vecchi intermediari della politica sono appassiti. La risposta si cerca nelle nuove figure che trovano Dna nel volontariato non solo sostituendosi allo Stato per il welfare ma per contare, agire con nuove forme di potere capaci di trasformare più che dettare.
Il metodo è quello che si sta vivendo nel festival aquilano. «Si respira un senso di impotenza nelle istituzioni», dice l’economista Fabrizio Barca. «In Italia e nel mondo le autorità non hanno più capacità di prendere decisioni. Partendo da questo “buco” non è casuale che i cittadini rispondano con diffidenza verso chi governa e disertando il voto e che allo stesso tempo aumenti il numero delle persone che si danno da fare per fare accadere le decisioni. Questa è la partecipazione».
Rispetto all’assemblearismo di 40 anni fa ironizzato da Moretti, la novità è che oggi si partecipa per decidere. «Certo ci vuole un metodo — continua Barca —. La novità è che si sperimentano metodi. Siamo a L’Aquila per trovare punti comuni utili per altre esperienze».
La partecipazione non è concertazione, insiste l’ex ministro, deve includere gli antagonisti, è fatta di informazione puntuale e non deve essere razionale ma ragionevole. L’allusione a Brexit è implicita. La politica diventa così un dispositivo che aiuta le persone a condividere una comune visione del futuro, valorizzando il loro capitale di energie e competenze, passioni e tempo. Non chiediamoci che cosa è ma come funziona e cerchiamola nella polis dei cittadini, ha detto ieri il sociologo Giovanni Moro che nei quattro giorni conduce alcune strisce di approfondimento.
Molte le esperienze messe a confronto dalla progettazione e pianificazione urbanistica ai gruppi che si attivano per il riutilizzo degli spazi abbandonati intesi come beni comuni, dalle comunità di montagna all’edilizia scolastica all’accoglienza dei migranti. Dalle esperienze politiche di partecipazione in diverse parti d’Italia ai laboratori in cui la si sperimenta.
Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid fa riferimento alla pazienza organizzativa e alla passione trasformativa: «La partecipazione è il sale della democrazia — dice —. Le democrazie liberali si sono assottigliate, sembra che tutto sia ridotto al momento elettorale. Perché ogni giorno sia sapido la democrazia va esercitata prima e dopo il voto. Ruolo di organizzazioni come le nostre è condire la democrazia. Il metodo è il dialogo continuo e interattivo. Non basta mettere a disposizione le informazioni ma creare un flusso continuo e circolare tra istituzioni e cittadini in modo che possano questionare. I partiti cattolici, comunisti e liberali lo seppero fare, oggi i partiti restano luoghi di gestione del potere, non di discussione».
Per dirla con le parole del filosofo Emilio Gentile, che cita i costituenti come lo sguardo verso il «bene comune», il festival della partecipazione è come la semina: «Alcuni semi cadono sulle pietre altri nel terreno. E seminare in questa occasione è alimentare la comunicazione per riflettere, invitare le persone a non lasciarsi trasformare in folla». I frutti, nell’idea degli organizzatori, si raccoglieranno anno dopo anno attraverso i 10 anni che il festival si è dato come prospettiva.