Titolo originale:This wrecking ball is Osborne's version of sustainable development – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini
Impassibili di fronte alla realtà, impenetrabili alle critiche: il ministro per le aree urbane, Eric Pickles e quello alle finanze George Osborne a quanto pare non hanno imparato proprio nulla dalla crisi economica. Sostengono che un meccanismo di autorizzazione urbanistica più semplice ed elastico sia “la chiave della ripresa economica”. Ma sono proprio i paesi dell’Europa più colpiti dalla crisi – Grecia, Italia, Spagna, Irlanda – ad avere meccanismi più deboli e subire dispersione insediativa. I paesi che si sono dimostrati più reattivi sono invece quelli con sistemi strutturati e insediamenti compatti.
Un sistema urbanistico solido rappresenta certo solo uno dei vari fattori in campo, ma è sintomatico di una cultura politica in grado di porre gli interessi nazionali sopra quelli egoistici di pochi, e la prospettiva di lungo periodo invece del denaro facile. Pickles e Osborne cercano di fare a pezzi il sistema urbanistico britannico con la stessa motivazione per cui vogliono abolire le norme sulle banche: libertà d’azione per le imprese, nepotismo, plutocrazia, esattamente le forze che ci hanno cacciato nel pasticcio attuale.
Meno pianificazione significa esasperare i problemi economici, perché si spostano capitali da funzioni produttive a speculative; le città si degradano svuotandosi; un localizzazione mal concepita delle attività economiche, insediamenti sparsi e lunghi tempi di spostamento frenano l’efficienza economica. Solo domenica il New York Times riferiva come al raddoppio delle densità urbane la produttività aumenti fra il 6% e il 28%.
Obiettivo di un sistema di pianificazione urbanistica non deve essere la crescita economica. Ma far sì che si risponda alle necessità umane tutelando al tempo stesso l’ambiente. Però, se abbiamo l’obiettivo di crescere, comunque un’urbanistica forte serve meglio allo scopo rispetto a una debole. L’attacco governativo alla pianificazione probabilmente potrebbe produrre gli effetti peggiori su entrambi i fronti: devastare l’ambiente e devastare l’economia.
Insieme al servizio sanitario nazionale e al resto del welfare state, le nostre leggi urbanistiche derivano dalla grande esperienza politica del dopoguerra, nella quale tanti cittadini di tutte le classi avevano perso la vita per il paese. L’idea di fondo era che la Gran Bretagna, salvata dal sacrificio collettivo, mai più sarebbe stata governata ad esclusivo vantaggio di ricchi e potenti. Una promessa rimangiata da partiti politici controllati da una ristretta elite.
Settimana scorsa sul Daily Telegraph Geoffrey Lean sosteneva che l’assalto al sistema di pianificazione sia spinto soprattutto dai compunti giovani metropolitani della coalizione governativa, che si sarebbero sostituiti ai “vecchi gentiluomini cacciatori di campagna”. Mentre in realtà sono proprio i vecchi cacciatori ad aver guidato l’attacco al’urbanistica, attraverso la loro Country Land and Business Association. Posti di fronte alla scelta tra abbastanza indefiniti “valori rurali” e un po’ di soldi facili, paiono non aver alcun dubbio sulla direzione in cui puntare il fucile. É il ritorno del vecchio potere, contro la democrazia.
Secondo il documento guida governativo sull’urbanistica in via di discussione, sarà quasi impossibile non autorizzare le trasformazioni, per quanto distruttive o dannose siano. Salvo nelle aree ufficiali di green belt, parchi nazionali, zone di riconosciuto alto valore paesaggistico, tutto è consentito purché non esistano enormi motivazioni contrarie, e anche su questo punto ci si è già mossi in anticipo. Recita il documento che le amministrazioni locali devono “approvare ovunque possibile tutte le proposte”
Fine della politica di riuso delle aree dismesse (e di tutto ciò che è già in qualche modo urbanizzato) prima di pensare ad espandersi su spazi aperti. Greg Clark, il sottosegretario responsabile, ha ripetutamente reso poco chiare le cose su questo aspetto. Il nuovo documento parla chiaro: a pagina 51 dice che “ viene eliminata a livello nazionale la priorità nel riuso delle superfici già urbanizzate”. Fine dell’impegno a ridurre al minimo con la localizzazione degli insediamenti i tempi di pendolarismo e la congestione stradale, salvo nei casi in cui gli impatti siano “ gravi”, ma poi nel documento non si capisce cosa significhi esattamente questo “ gravi”. E fine dell’idea che la campagna, al di là di alcune aree specificamente tutelate, debba comunque essere difesa.
Sono le ruspe avanzanti, la vera idea governativa di sviluppo sostenibile. “ Edilizia vuol dire crescita”, recita il documento, e “ senza crescita non ci sarà alcun futuro sostenibile”. Quindi così diventa sostenibile qualunque trasformazione, da approvarsi senz’altro. “ Siamo preventivamente favorevoli allo sviluppo sostenibile”, ribadisce il documento, e questa deve essere “ la base di partenza per qualunque progetto, decisione … la risposta alle proposte di trasformazione è SI”.
C’è un elenco dei tipi di sviluppo sostenibile che le amministrazioni ora dovrebbero approvare. Stazioni di servizio sull’autostrada, grandi arterie verso un aeroporto, grandi cartelloni pubblicitari. E se non sono sostenibili loro, cosa lo sarà mai?
Per valutare le intenzioni reali del governo c’è un ottimo metodo. Se esiste un atteggiamento preventivamente favorevole alle trasformazioni sostenibili, dovrebbe anche essercene uno contrario a quelle insostenibili. Ma frugate tutto il documento e troverete al massimo in un caso una decisa diffidenza per le miniere di carbone. Il che va benissimo, ma non c’è altro. Qualunque altra trasformazione diventa, automaticamente, sostenibile.
C’è di peggio. Il documento afferma che le amministrazioni devono dare comunque l’autorizzazione nel caso in cui i loro “ strumenti di pianificazione non siano aggiornati”. Come osserva l’esperto di urbanistica Andrew Lainton nel suo utilissimo blog, è il 95% delle amministrazioni locali, che al momento dell’approvazione finale del documento non sarà dotata di strumenti aggiornati. A gennaio John Howells, segretario parlamentare di Greg Clark, spiegava alla Federazione Immobiliare Britannica che in questi casi si può costruire “ quello che si vuole, dove si vuole e quando si vuole”. Lainton sottolinea anche che quando un piano non è aggiornato, secondo il documento, non esistono salvaguardie per respingere progetti contrastanti. Così non significa solo indebolire il sistema urbanistico, ma accantonarlo totalmente.
L’arma che il governo usa per tutelare gli interessi degli speculatori è una minaccia emotiva: se non accettate il nostro piano diventeremo un paese di senzatetto. Molto interessante, notare in che modo gente che non ha mai e poi mai manifestato alcun interesse per i più poveri, improvvisamente sembri prendere le loro parti, quando c’è da far guadagnare i più avidi tra i ricchi.
Nessuna persona ragionevole può contestare il fatto che nel paese ci sia un grandissimo bisogno di case, specie di case economiche. E nessuno discute il fatto che le si debba adeguatamente autorizzare. Ma non è certo il sistema urbanistico ad aver impedito che negli ultimi anni di costruissero delle case, approvando l’80% dei progetti, sono i soldi. Nella revisione di bilancio dell’anno scorso il governo – senza dubbio motivato dalla sua ritrovata solidarietà verso i bisognosi – tagliava del 60% le disponibilità per le abitazioni economiche. Il sistema del credito si è prosciugato, la domanda solvibile ristretta, i costruttori falliscono. E non è certo indebolendo la pianificazione urbanistica che si risolvono questi problemi.
La plutocrazia ha i suoi eterni cicli. Spinge contro qualunque ostacolo alla propria distruttiva avidità. Ci riesce, e provoca un crollo. Viene salvata a costi enormi, dalle stesse forze che aveva avversato: regole, urbanistica, fisco, intervento pubblico. Si riprende, si scrolla la polvere di dosso, e subito si rivolta contro coloro che l’hanno salvata. L’assalto all’urbanistica fa parte del ciclo. Ma i danni dei plutocrati non saranno di sicuro reversibili.