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Rachele Gonnelli
I controlli offshore affidati agli ammiragli e al Mise
5 Aprile 2016
2014-2018 Renzi e il renzismo
«Tra i membri del comitato sulla sicurezza ambientale sulle licenze offshore spunta la Marina militare. Incaricato ne è addirittura il sottocapo di Stato maggiore. Cosa ci fa un simile alto papavero in una struttura con compiti assolutamente civili».
«Tra i membri del comitato sulla sicurezza ambientale sulle licenze offshore spunta la Marina militare. Incaricato ne è addirittura il sottocapo di Stato maggiore. Cosa ci fa un simile alto papavero in una struttura con compiti assolutamente civili».

Il manifesto, 5 aprile 2016 (m.p.r.)

Il mare non bagna Tempa Rossa, il pozzo di coltivazione che sorge nell’alta Valle del Sauro, in Basilicata, ma tanti altri pozzi dello stesso tipo potrebbero sorgere all’orizzonte. La legge che dovrebbe vegliare sul non ripetersi di gravi danni ambientali in relazione all’estrazione di idrocarburi a mare esiste da appena sette mesi ed è stata fortemente voluta dall’Europa. Ma gli ambientalisti contestano il modo con cui il governo Renzi, con legge delega, ha recepito la direttiva europea nel settembre scorso.

La legge è nata per tutelare il mare da gravi rischi ambientali, ma nella sua traduzione italiana risulta incongruente con le indicazioni europee, viziata di conflitto di interessi, inficiata da un indebito interventismo del ministero dello Sviluppo economico fino alla scorsa settimana guidato da Federica Guidi, con tutte le sue relazioni familiari e politiche, tanto da sollevare pesanti interrogativi alla luce dell’ingerenza della lobby petrolifera che l’inchiesta della procura di Potenza sta iniziando a delineare.

Legambiente ha già avviato le procedure per impugnare la normativa per il rilascio di nuove licenze (la numero 145/2015) in sede comunitaria e sta valutando se presentare anche un ricorso all’Alta corte per incostituzionalità. Andiamo per gradi.

All’inizio fu il disastro della piattaforma offshore della Bp nel Golfo del Messico, una catastrofe che mise il mondo in allarme e non solo dal punto di vista dei possibili danni all’ambiente ma anche sui costi delle bonifiche e sulla capacità degli Stati di farli pagare alle compagnie estrattive. Era il 2010, la Commissione Ue impiegò tre anni per redigere una direttiva severa in materia per tutti i mari, ampiamente trivellati ormai, che circondano il vecchio continente.

Mentre in Italia le lobby estrattive scalpitavano, a cominciare dai francesi del consorzio Vega, per riprendere e in modo massiccio le trivellazioni offshore anche davanti alle nostre coste così parche di giacimenti di una certa consistenza. Ma con un piatto ricco di agevolazioni statali all’investimento privato nel settore.

E la normativa alla fine è arrivata, redatta dal governo, delegato dal Parlamento, con largo anticipo sul termine ultimo fissato dall’Europa al prossimo 19 luglio. Ma del tutto stravolta rispetto alla prescrizione fondamentale della direttiva 30/2013, che era quella di assicurare l’indipendenza dell’autorità di controllo sulla solidità gestionale, tecnica e finanziaria degli operatori, autorità che non avrebbe dovuto confondersi con l’ente statale erogatore della licenza di estrazione (l’articolo 3 della direttiva per una volta obbliga tutti gli Stati Ue, esplicitamente, a evitare «conflitti d’interessi»).

Invece l’articolo 8 della legge di recepimento italiana istituisce come autorità di controllo un fantomatico comitato che ha persino sede presso il ministero dello Sviluppo economico (Mise), lo stesso ministero responsabile della concessione delle licenze, che ne fa anche parte ai massimi livelli, e risulta dunque controllore di se stesso. Non solo.

Come per magia tra i membri del comitato sulla sicurezza ambientale sulle licenze offshore spunta, a fianco di capitanerie di porto e guardia costiera, la Marina militare. Incaricato ne è addirittura il sottocapo di Stato maggiore. Cosa ci fa un simile alto papavero in una struttura con compiti assolutamente civili e casomai ispettivi? Un’anomalia a livello europeo, dove nessun altro stato ha fatto una scelta tanto bizzarra. In Senato infatti la scelta è stata aspramente contestata nel parere della commissione mista Ambiente-Industria.

«Sappiamo ancora poco dell’inchiesta potentina - dice Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente - ma le intercettazioni e il coinvolgimento del capo di Stato maggiore della Marina De Giorgi fanno sorgere il sospetto che continui a esserci una forte pressione anche sulla legislazione da parte dell’industria estrattiva. Attendiamo gli sviluppi e maggiori informazioni ma è chiaro che questi possibili legami riaprono il dibattito anche su questa legge».

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