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Vittorio Emiliani
I colpevoli? Leggerezza e profitti
17 Gennaio 2012
Articoli del 2012
Un disastro figlio di molti padri. Quando il profitto è l’obiettivo e lo sfruttamento dei beni comuni lo strumento. E Venezia? La Nuova Venezia, 15 gennaio 2012

Questa dell'Isola del Giglio sta diventando, di ora in ora, una autentica tragedia del mare. Soltanto per una "leggerezza"? Cioè per aver voluto rispettare la rischiosa tradizione di salutare da vicino, all'ora di cena o poco più, gli amici dell'isola, affascinati dal passaggio di quel colosso marino costellato di luci, con tanta gente a bordo quanti sono tutti gli abitanti del vicino Comune di Capalbio? Vedremo cosa diranno la scatola nera e le carte dell'inchiesta.

Ma il disastro - umano anzitutto ma con possibili risvolti ecologici - è figlio di molti padri. La rotta troppo ravvicinata ad una costa ricca di scogli e di isolotti è certamente la prima delle possibili cause. Aggiungiamoci anche un'idea troppo facile del gigantismo navale. Si pensava che la corsa verso navi da crociera sempre più grandi non potesse fermarsi e, con essa, la corsa a profitti sempre maggiori. E invece la dura legge dell'ambiente marittimo ha dato uno stop. Costato vite umane e sofferenze crudeli. In quella tal corsa è stato evidentemente sottovalutato il problema della sicurezza in caso di emergenza. Ma quale sicurezza può essere organizzata con pronta efficienza su di un mastodonte del genere, nottetempo, in modo tale da garantire una evacuazione sicura per oltre 3.200 passeggeri? Credo cioè che, per poterla assicurare, occorrerebbe un equipaggio non soltanto superiore ai 1.023 componenti della Costa Concordia, ma ben più preparato di quello in servizio. Coi riflessi sui bilanci della società di navigazione facilmente immaginabili.

In realtà ci si è illusi che una emergenza del genere non fosse possibile, che il "sogno" di questa colossale love-boat non potesse conoscere ombre. Pensate cosa sarebbe successo se la notte non fosse stata di queste che stiamo avendo, rigide e però serene e senza vento, ma una notte con mare mosso, da libeccio per esempio. E se non fossero accorsi, generosamente (o non fossero potuti accorrere) con le barche gli isolani. Il bilancio sarebbe stato ancor più doloroso di quanto già non sia. Fra i rilievi critici si aggiunge il fatto che l'equipaggio non fosse di livello adeguato anche perché formato da extra-comunitari con scarse nozioni di italiano. Da anni ormai i salari offerti dalla nostra marineria sono così poco invitanti da aver allontanato dalla navigazione i giovani italiani delle zone di mare, anche quelli, non numerosi, che a bordo salirebbero ancora a lavorare, e non soltanto come camerieri. Sin dalle prime ore l'indice accusatore è stato puntato sul comandante della maxi-nave che avrebbe dato con un'ora di ritardo il segnale d'allarme a terra e che a mezzanotte risultava già sbarcato sul molo di Porto Santo Stefano e non più a bordo a dirigere le operazioni di salvataggio. Vedremo se tutto ciò sarà confermato.

L'altro problema angoscioso che sta emergendo, nel momento in cui i Vigili del Fuoco, al solito esemplari, stanno completando il loro duro lavoro, è quello ambientale. Sono cioè le 2.380 tonnellate di gasolio contenute nei serbatoi di questa nave che, al pari delle consorelle, non è dotata di doppio fondo. Come non lo erano, fino a qualche anno fa (se non erro fino al governo Amato del 2000, con Willer Bordon titolare dell'Ambiente), petroliere e superpetroliere che pure vedevamo transitare nello stesso bacino di San Marco a Venezia. Dove questi mastodonti da crociera - nonostante le vibrate proteste del sindaco Orsoni - continuano ad entrare, scaricando sulla fragile Venezia fiumane di turisti mordi-e-fuggi. E così leggerezza e sfruttamento formano una perversa alleanza. Fino a quando?

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