Prosegue senza soste (senza rimedio?) la penosa deriva del ministero dei Beni culturali. Il "valzer delle poltrone" denunciato con nomi, cognomi e indirizzi da Antonello Cherchi sul Sole-24 ore del 6 gennaio non è un episodio isolato, per quanto rivelatori possano essere i suoi aspetti più grotteschi, come il decreto-legge pubblicato per errore sul sito del ministero (poi velocemente ritirato), con notazioni a mano che mettono a nudo personalismi assai discutibili.Ma non si tratta solo di fatti di costume, pur deplorevoli, bensì del profondo malessere di tutta l´amministrazione pubblica della tutela. E´ infatti significativo che le lotte di potere, le spartizioni, i favoritismi clientelari abbiano a oggetto le poltrone ministeriali, accentuando il perverso processo di gigantismo burocratico degli uffici centrali del ministero, mentre la periferia langue. Basti qui ricordare che le direzioni generali, solo quattro fino a pochi anni fa, si sono raddoppiate con la riforma Melandri e triplicate con quella Urbani, senza contare l´aggiunta dei direttori regionali. Continua intanto l´annoso blocco delle assunzioni, più o meno metà delle Soprintendenze sono coperte per reggenza in mancanza di Soprintendenti di ruolo, e l´età media dei funzionari si aggira sui 55 anni. Viene così stravolto e mortificato il principale vanto della storia italiana della tutela, il suo carattere territoriale. Il ministero diventa un mostro con una testa sempre più grande e un corpo sempre più gracile. Soprintendenze, archivi e musei fronteggiano compiti accresciuti con fondi cinicamente decurtati a ogni Finanziaria (lo ha ricordato Corrado Augias in queste pagine) e personale sempre più scarso e sempre più vecchio. In questo contesto, il nuovo Codice dei Beni Culturali o qualsiasi altra norma rischia di diventare rapidamente carta straccia per mancanza di chi ne curi l´applicazione.
Ma finite le Soprintendenze per il graduale pensionamento di tutti e la mancanza di turn over, chi si occuperà della tutela in Italia? Per i musei almeno, la risposta è pronta, anzi strombazzata a ogni occasione: ci penseranno le fondazioni museali. Peccato che chi le presenta come la soluzione salvifica rimuova in blocco i fatti: la legge Veltroni che prevede le fondazioni museali a cui "conferire" in gestione i patrii musei è del 1998, il regolamento Urbani del 2001; ma ad oggi esiste una sola Fondazione costruita intorno a (o a spese di) un museo statale, quella del Museo Egizio di Torino. Ma esiste veramente? Sembrerebbe di sì, visto che è stata solennemente inaugurata due volte, da Urbani e poi da Buttiglione, e che può contare sul robusto appoggio di due grandi fondazioni bancarie. Ma fino ad oggi non si è riuscito nemmeno a "conferire" il Museo alla Fondazione, che gestisce la biglietteria mentre a tutto il resto (Museo e personale) pensa lo Stato. Esiste in compenso un Consiglio di amministrazione (dove non siede nemmeno un egittologo), che ha assunto il nuovo direttore del Museo senza consultare il Comitato Scientifico, presieduto e composto da egittologi illustri.
Le Soprintendenze vengono defunzionalizzate (anche con la creazione delle direzioni regionali, ulteriore tramite burocratico fra tutela territoriale e ministero), le fondazioni non riescono a decollare, e intanto si moltiplicano e si radicano le posizioni di potere nei corridoi del ministero. Se il disegno è di chiudere bottega non c´è che dire, la strategia è perfetta. E´ dunque diventato un ferrovecchio anche il glorioso articolo 9, il più originale della nostra Costituzione come ha detto il Presidente Ciampi? Mentre si avvicinano le elezioni politiche, è giusto ricordare che gli elementi di questa deriva istituzionale, che negli anni del centrodestra ha raggiunto un livello preoccupante, hanno però radici nei governi di centrosinistra. Ad essi risale l´istituzione delle direzioni (allora Soprintendenze) regionali e la prima, più moderata moltiplicazione delle poltrone ministeriali; ad essi l´istituzione delle fondazioni museali, ottima idea per convogliare iniziative e fondi privati se la normativa non fosse stata concepita in modo così sgangherato. Anche il blocco delle assunzioni, assoluto in questa legislatura, fu solo modestamente intaccato nella precedente.
Di fronte a questa crisi ormai insopportabile del settore, questi precedenti poco esaltanti vanno tenuti a mente. Finora non è stato rivelato quale sia il progetto della coalizione di centrosinistra su questo fronte delicatissimo e vitale, e speriamo di saperlo presto. Un´inversione di tendenza è necessaria, ma perché sia efficace occorrerà alla sinistra anche una buona dose di autocritica. Se la Costituzione non è un ferrovecchio, l´amministrazione pubblica della tutela ha bisogno non solo di più fondi, ma di un´iniezione massiccia di nuovo personale di garantita competenza, di Soprintendenze territoriali autonome e funzionali, di una burocrazia centrale più snella, di un nuovo rapporto con Regioni, enti locali e privati ridisegnato sulla base di un grande patto nazionale per la tutela.