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Giovanna Melandri
I beni culturali al tempo della crisi
7 Marzo 2009
Beni culturali
Il commento del nuovo responsabile del PD per la cultura alla provocazione di Baricco. Da l’Unità, 6 marzo 2009 (m.p.g.)

Baricco nei giorni scorsi si è posto, e ci ha posto, delle giuste domande, che anche la politica, quella sinceramente interessata alla cultura, dovrebbe porsi. Ma non tutte le sue risposte mi convincono. Baricco ci ricorda che le più importanti agenzie culturali del nostro tempo sono la scuola e la televisione, ci invita, dunque, a concentrare la nostra attenzione su entrambe. Lasciamo al mercato, dice poi, la produzione di un’offerta che incontri una domanda di cultura più esigente. Si può essere d’accordo con la tesi di Baricco, a due condizioni però. Primo. Non nutrire illusioni sul fatto che una ritirata dello Stato dalla promozione e finanziamento della cultura coincida con una consistente avanzata del privato. Nella mia esperienza di ministro dei Beni Culturali ho verificato che le risorse pubbliche e private o crescono insieme o insieme deperiscono.

Secondo. Non accaniamoci a colpire il bersaglio sbagliato: ovvero le scarsissime risorse che lo Stato destina allo spettacolo e alle attività culturali. In tal senso, trovo poco convincente la risposta del ministro Bondi che propone una rete Rai finanziata interamente dal canone e dedicata alla cultura. Il rischio è di ridurre uno dei canali nazionali del servizio pubblico a televisione tematica (per realizzare la quale, c’è dietro l’angolo la tanto attesa transizione al digitale terrestre). Piuttosto, facciamo un salto vero nel cuore irrisolto del sistema mediatico televisivo. Togliamo del tutto, o gradualmente, la pubblicità dal servizio pubblico. Liberiamo le risorse pubblicitarie con un meccanismo antitrust che agevoli lo sviluppo di nuovi operatori, uscendo dal giurassico duopolio Rai-Mediaset. Facciamo coraggiosamente un servizio pubblico di qualità che torni a essere la più importante agenzia culturale del nostro Paese.

Qui Baricco ha ragione da vendere. Poi, certo, innoviamo, razionalizziamo e snelliamo le procedure per l’accesso al Fondo unico dello spettacolo. Sapendo però che stiamo parlando di 320 milioni, meno cioè di quelle risorse che ogni anno vanno in fumo in residui passivi nei Beni Culturali: denaro stanziato ma non speso a causa della lentezza delle procedure amministrative. E usciamo dalle vecchie dicotomie che imprigionano le politiche culturali: conservazione versus promozione, pubblico versus privato. Uno Stato in fuga dalla Cultura, mette in fuga da essa anche i privati. L’Italia rischia di essere un Paese fuori sincrono, lontano da ciò che avviene attorno a noi. Negli Usa dopo 15 anni di riduzione Obama aumenta gli stanziamenti per la cultura. Sarkozy davanti alla crisi stanzia 100 milioni di euro in più per i monumenti, oltre ai 300 già deliberati per il patrimonio artistico. Le politiche culturali, nei tempi della crisi, non sono un problema, piuttosto un’opportunità. Allora, caro Bondi se proprio vogliamo fare come Sarkozy troviamo il coraggio di farlo fino in fondo.

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