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Liana Milella e Piero Grasso
“Ho risentito i toni e l’omertà dei vecchi boss”
8 Aprile 2016
Articoli del 2016
«Anche se il conduttore dice di aver incalzato Riina con le domande evidentemente non è riuscito a ottenere risposte che non fossero quelle prevedibili di un mafioso figlio di un mafioso, portatore di un codice di omertà che ha dato un’eccezionale prova di forza».
«Anche se il conduttore dice di aver incalzato Riina con le domande evidentemente non è riuscito a ottenere risposte che non fossero quelle prevedibili di un mafioso figlio di un mafioso, portatore di un codice di omertà che ha dato un’eccezionale prova di forza».

La Repubblica, 8 aprile 2016 (m.p.r.)

Roma. «Immagino gli applausi dei mafiosi per la fermezza dimostrata in tv dal figlio di Riina...». Sono 48 ore di collera mista ad amarezza quelle del presidente del Senato Piero Grasso. Proprio lui, il giudice che ha motivato le condanne del maxi processo a Cosa nostra, lui ex procuratore Antimafia, ma soprattutto il magistrato che Totò Riina avrebbe voluto far saltare in aria nel ‘93, con il tritolo piazzato in un tombino, mentre andava a trovare la madre.

Grasso esterna la sua sorpresa in privato e in pubblico. Mercoledì sera, quando torna a casa da una cena al Quirinale e la moglie Maria prova a insistere per vedere l’intervista. Avendo letto le anticipazioni lui ribadisce il no perché «conoscendo la mentalità di quel mondo che ho combattuto per tutta la vita già mi immagino come andrà a finire, si risolverà in una prova di forza in cui a vincere sarà il codice dell’omertà e del rispetto mafioso».
Ieri di buon ora guarda i giornali che confermano le sue più amare previsioni. Legge e rilegge la frase di Riina junior, «la mafia può essere tutto e niente», sbotta: «Mi sembra di risentire i vecchi boss di 50 anni fa che alla domanda se la mafia esiste rispondevano “se esiste l’antimafia esisterà pure la mafia...”». Ironizza ancora con Maria su Riina che firma la liberatoria non prima dell’intervista, come invece fanno fare sempre a lui, ma solo dopo averla riascoltata. «Sarei curioso di sapere con chi, oltre all’editore, l’ha rivista. Con l’avvocato o con qualche consigliori?».
Alla Luiss, davanti ai ragazzi che lo hanno invitato a tenere una lezione sulla mafia e affollano l’aula magna, Grasso pone interrogativi pesanti alla Rai: «Eludendo le domande su mafia, stragi, vittime, il figlio di Riina ha cercato di umanizzare la figura di suo padre e di banalizzare il male immenso della mafia. Ha raccontato che Totò Riina gli ha trasmesso il rispetto della famiglia. Parole vecchie di 30 o 40 anni fa. Che contributo ha dato per conoscere la mafia? Meritava davvero la ribalta della rete principale del servizio pubblico?».
È il dubbio che lo assilla: «È giusto provare a fare l’intervista, ma se il figlio del boss non va un millimetro oltre l’apologia del padre, allora bisogna valutare che farne». Buttarla via o renderne pubblica una parte? È stupito per il comportamento di Vespa: «La Rai ha sempre trattato con responsabilità e senso civico questi temi. Io stesso sono stato invitato tante volte a parlare di mafia e antimafia, mi stupisce un errore di questa portata». Ancora: «Non si può banalizzare la mafia, non ci si deve prestare ad operazioni commerciali e culturali di questo tipo». Dice no a una puntata riparatoria che «metterebbe sullo stesso piano la mafia e lo Stato».
Quando i ragazzi della Luiss, tra cui Angelino Molinaro che presiede l’Associazione degli studenti ed è figlio di un collaboratore di giustizia, lo tempestano di domande, Grasso pronuncia il suo verdetto: «Anche se il conduttore dice di aver incalzato Riina con le domande evidentemente non è riuscito a ottenere risposte che non fossero quelle prevedibili di un mafioso figlio di un mafioso, portatore di un codice di omertà che ha dato un’eccezionale prova di forza, difendendo strenuamente gli aspetti umani di quel padre che è, e deve passare alla storia, come un mostro sanguinario ».
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