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Enrico Tantucci
Ha più di 4 secoli il progetto di Calatrava
14 Settembre 2008
Vivere a Venezia
“Previsto dal proto della Serenissima, nel 1557: la posizione è la stessa”, scrive la Nuova Venezia (2 novembre 2007). Già, e allora c’erano già il Ponte della Libertà, la stazione ferroviaria, il Ponte degli Scalzi, Piazzale Roma?

Il Ponte di Calatrava? Già progettato a Venezia oltre quattrocento anni fa, da Cristoforo Sabbadino, grande ingegnere e proto dell’Ufficio delle Acque della Serenissima. Nella sua celebre pianta di Venezia, concepita nel 1557, compare infatti sul Canal Grande tra Santa Chiara e la zona del Corpus Domini - oggi corrispondente al piazzale di Santa Lucia - un ponte tracciato per collegare le due rive in corrispondenza di quello realizzato oggi dal famoso architetto catalano, che tanto fa discutere.

Quel ponte - che sarebbe stato il secondo sul Canal Grande, dopo quello di Rialto, allora ancora in legno e ben prima di quello degli Scalzi - non fu poi mai realizzato, ma è singolare che nel furioso dibattito che da anni è in corso in città sulla funzionalità e la collocazione dell’opera di Calatrava, nessuno si sia ricordato che già negli anni d’oro della Repubblica Veneta un collegamento simile era stato concepito e disegnato su una delle piante più conosciute della cartografia antica veneziana. Lo ha notato, ora, una giovane docente di Storia dell’Architettura dell’Iuav, la dottoressa Elena Svalduz, consultando per una ricerca la copia della pianta del Sabbadino conservata alla Biblioteca Marciana, accanto alle altre due che possiede invece l’Archivio di Stato.

«La pianta, ben nota alla critica - spiega - raffigura il cosiddetto “piano” per Venezia elaborato nel 1557 da Cristoforo Sabbadino, come proto dell’Ufficio delle Acque, l’organismo che controllava l’assetto delle aree marginali della città. E’ considerato un vero e proprio piano regolatore, che concepisce e disegna la città come un complesso urbano in trasformazione, in anticipo sui tempi rispetto alla moderna pianificazione urbanistica. Per la città di Venezia è il primo progetto d’insieme, di cui sono previste tanto le ricadute fisiche, quanto quelle d’economiche. A completamento del disegno manoscritto, infatti, l’autore riporta il computo dettagliato delle superfici e del volume di fango necessario per ottenerle».

Era, quella, una Venezia da circa 180 mila abitanti, in crescita, che dopo il boom edilizio della prima metà del Cinquecento e la saturazione delle aree centrali disponibili, cercava nuovi terreni per l’edificazione, reperibili solo ai limiti della città. Da qui anche interventi contemporanei di riequilibrio, come la bonifica dei terreni paludosi, con l’uso dei fanghi asportati dai canali per consentire una migliore circolazione dell’acqua. «Sulla scia di una serie di provvedimenti volti a rettificare i bordi della città - spiega ancora la dottoressa Svalduz - Sabbadino disegna una fondamenta continua in pietra, larga più di 17 metri, lungo l’intero perimetro urbano. Allo sbocco dei canali sono previsti ben trentasei nuovi ponti, uno dei quali sul Canal Grande tra Santa Chiara e il Corpus Domini, grosso modo in corrispondenza di quello progettato da Calatrava, oggi in corso di realizzazione. Lungo le rive è delineato un sistema di canali prolungati in linea retta nelle aree recuperate, fino a immettersi nei due nuovi canali scavati sul retro della Giudecca e a lato delle attuali Fondamente Nuove, per vivificare quelli interni e per convogliare il flusso delle maree lungo i bordi». In anticipo sui moderni project financing, quelle concepite dall’ingegner Sabbadino erano opere pubbliche a costo zero. Secondo i suoi calcoli, infatti, la vendita dei nuovi terreni strappati alle acque e resi edificabili, avrebbe consentito di coprire le spese relative tanto alla realizzazione della lunga banchina con i suoi ponti, quanto alle opere di escavo dei canali perimetrali. Ma a cosa sarebbe servito il “ponte di Calatrava” versione Sabbadino? Al collegamento pedonale verso la terraferma, nell’area vicino al convento di Santa Chiara, dove sarebbe stato ricavato un nuovo bacino acqueo, una sorta di terminal per il trasporto fluviale per le barche «da Padoana et Vicentina», come si legge sulla pianta. Un ponte spostato un po’ più a ovest rispetto a quello ora realizzato e che in fondo giustifica anche sul piano storico il nome di Ponte de la Zirada che il Comune vuole attribuire ora al suo “gemello”.

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