La Repubblica, 3 aprile 2014
Lei non è mai stato tenero con chi ha messo o tentato di mettere mano alla Carta. Sono storiche le bacchettate a Berlusconi. Con Renzi non è che si sta superando?
«C’è un disegno istituzionale che cova da lungo tempo e che, oggi, a differenza di allora, viene alla luce del sole. Gli oppositori d’un tempo sono diventati sostenitori. Delle due, l’una: o tacere, con ciò acconsentendo di fatto, o parlare forte. È quanto s’è fatto col documento di Libertà e Giustizia».
Non la imbarazza che Grillo l’abbia firmato?
«Perché dovrebbe? Se, su una certa materia, si condividono le stesse idee… C’è un fondo d’intolleranza, in questa domanda che da molte parti ci è posta. M5S ha aderito all’appello per la difesa della democrazia costituzionale: è un brutto segno? Semmai, il contrario. Poi si vedrà».
È seccato perché Renzi ha detto che non dà retta a professori come lei e Rodotà?
«Non è questione di “dar retta”, ma di ragionare e soppesare gli argomenti. Sarà lecito invitare chi deve prendere le decisioni a considerare le cose “da tutti i lati”?».
E quale sarebbe il «lato» che manca?
«L’antiparlamentarismo. Ora s’abbatte sul Senato, capro espiatorio di mali collettivi. È un sentimento elementare che non s’accontenta di qualcosa ma vuole tutto. “Tutto” significa il demiurgo di turno: fuori i trafficanti della politica, i profittatori, i corrotti, gli incompetenti, i chiacchieroni. Eppure, negli anni trascorsi, non sono mancati gli avvertimenti. Si è chiesta “dissociazione”: per riconciliarsi con i cittadini. Siamo stati accusati di antipolitica, di populismo: noi, che ci preoccupavamo di quel che stava accadendo; loro, che preferivano non vedere. E ora, proprio di questo vento gonfiano le vele. Chi sono allora gli antipolitici, i populisti, i demagoghi?».
Ma è un nostalgico del bicameralismo perfetto?
«Per nulla. Ma per mettere mano a una riforma, bisognerebbe chiarirsene il senso. Qual è la vocazione di tutte le “seconde Camere”? I Senati devono corrispondere a un’esigenza di precauzione. La democrazia rappresentativa ha un difetto: divora risorse, materialie spirituali. È una vecchia storia, alla quale non ci piace pensare. I Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi, dato che la democrazia rappresentativa pensa ai tempi brevi, i Senati dovrebbero servire ai tempi lunghi: dovrebbero essere “conservatori di futuro”».
Il Senato finora non l’avrebbe fatto?
«Non in misura sufficiente. Per questo, non sono un nostalgico. Mi piacerebbe che si discutesse d’un Senato autorevole, elettivo, per il quale valgano rigorose norme d’incompatibilità e d’ineleggibilità, diverso dalla Camera dei deputati, sottratto però all’opportunismo indotto dalla ricerca della rielezione. Una volta, i senatori erano nominati a vita. Oggi, la nomina e la durata vitalizia non sarebbero “repubblicane”. Ma si potrebbe prevedere una durata maggiore, rispetto all’altra Camera (come era originariamente), e il divieto di rielezione e di assunzione di cariche politiche ».
Ciò significherebbe differenziare i poteri delle due Camere?
«Per ciò, si dovrebbe andare oltre il bicameralismo perfetto, non per umiliare ma per valorizzare: eliminare il voto di fiducia, ma prevedere un ruolo importante sugli argomenti “etici”, di politica estera e militare, di politica finanziaria che gravano sul futuro. Altro potrebbe essere il controllo preventivo sulle nomine nei grandi enti dello Stato, sul modello statunitense. Sarebbe uno strumento di lotta alla corruzione e di bonifica nel campo dove alligna il clientelismo. Insomma, ci sarebbe molto di serio da fare».