Il manifesto, 31 gennaio 2015
«Mentre Piersanti come capo dello Stato avrebbe potuto assomigliare più a Pertini, Sergio lo vedo più simile a Einaudi. Due grandi presidenti con i quali Mattarella comunque condivide le stesse posizioni rispetto alla Costituzione repubblicana, al pluralismo della politica, all’equilibrio delle istituzioni, alla centralità del parlamento, e molto altro». Guido Bodrato, classe 1933, più volte deputato, ministro ed eurodeputato, non nasconde il suo entusiasmo nel pregustare la salita al Colle del suo amico e compagno di tanti anni di battaglie nelle fila della sinistra Dc. E, a differenza di Napolitano, dice, non occuperà «la scena politica, di una politica diventata spettacolo».
In sostanza, lei vede Mattarella come un difensore d’altri tempi dei ruoli costituzionali…
«Io sono un elettore del Pd, ma non sono un iscritto perché finché questo partito non avrà una posizione assolutamente coerente sui valori della Costituzione del ’48 - siccome questo è il parametro con cui più di ogni altro giudico una posizione politica - io non lo sento pienamente come il mio partito. Mattarella sarà l’uomo che rispetterà più le istituzioni, attentissimo agli aspetti della legalità e al rispetto della Costituzione, d’altronde non a caso è giudice costituzionale».
Questa sua cultura politica secondo lei lo differenzia molto dal presidente Napolitano?
«Ho più di 80 anni e sono in politica da quando ne avevo 18, ma non conosco più l’assemblea parlamentare. Sono cambiate tante cose, quindi fare il confronto è difficile. Però mentre Napolitano, anche se è della prima repubblica, occupa in qualche modo la scena politica di una politica che è diventata spettacolo, invece Mattarella secondo me sarà bene accetto dall’opinione pubblica perché è uomo convincente e trasparente. Parlando di ciò che esprimono politicamente credo non ci sia una sostanziale differenza, ma se parliamo dell’immagine pubblica, Mattarella è uomo riservato, silenzioso, non è un grande oratore, mentre Napolitano lo è».
Ed è anche il grande protettore del governo di larghe intese non eletto e del patto del «Nazareno…
Vede, vorrei dire a Vendola - persona di cui ho grande simpatia e con cui condivido molte opinioni - che ho visto soddisfattissimo come se fosse lui il vincitore, che è cambiato il quadro di riferimento. Usando un linguaggio da prima repubblica: il patto del Nazareno in questi giorni non è naufragato, è superato. Perché le cose che hanno fatto sulla base di quel patto credo che resteranno, sarà molto difficile cambiarle. Però è altrettanto vero che quel tipo di intesa politica costruita su due personaggi molto diversi per certi aspetti e molto uguali per altri, non funzionerà più in quei termini. Bisogna vedere cosa cambierà, ma non credo che si possa tornare indietro per rifare la partita».
Ma Mattarella non è un sostenitore del presidenzialismo?
«No, ecco, presidenzialista Mattarella proprio non lo è. Se è vero che Renzi ha preferito Mattarella a Prodi, è perché Prodi, da ex premier, come capo dello Stato avrebbe sicuramente invaso l’area del presidente del Consiglio, cosa che Mattarella non farà. Per questo dico che Sergio sarà più Einaudi: resterà uomo della Costituzione, probabilmente in un modo che potrà apparire tradizionale».
Siamo, come qualcuno sostiene, alla fine della seconda repubblica tornando alla prima?
«No, questo non lo credo. Sono cambiate talmente tante cose, sono cambiati i partiti. Il modo con cui questo parlamento ha affrontato la riforma del senato, con i senatori eletti dai consigli regionali, mostra una cultura che per me è inimmaginabile. Io che da giovane ho fatto anche il docente universitario, se avessi dovuto esaminare chi ha sostenuto le cose con le quali il parlamento quasi unanimemente si è mosso, li avrei bocciati tutti. Non vedo la coerenza con l’ordinamento costituzionale.
«Però è così, è cambiato il modo di pensare delle nuove generazioni politiche, ma non si può far finta che queste cose non siano accadute. I mutamenti sono stati così profondi che immaginare che si torni indietro, addirittura alla Dc, è un non senso. Anche se mi fa molto piacere che si riconosca che tutti i partiti della prima repubblica, non solo la Dc, hanno prodotto una classe dirigente che è rimasta in piedi e che continua a essere utile al paese».
Nel luglio 1990 venne varata la legge Mammì sul sistema radiotelevisivo privato: Craxi minacciava di far cadere il governo se non fosse passata mentre la sinistra Dc si opponeva, tanto che cinque vostri ministri si dimisero. Andreotti però accolse le dimissioni, pose la fiducia e andrò avanti come un treno.…
«E io mi dimisi dalla segreteria del partito… Credo che l’ostilità di Berlusconi venga soprattutto da lì. Un episodio che allora fu fondamentale perché al di là della disponibilità delle frequenze avevamo la preoccupazione di come si stava costruendo un’egemonia del sistema informativo sulla vita democratica, con un’impronta che - come poi è diventato lampante - metteva fuori gioco il pluralismo democratico e introduceva tendenze autoritarie molto forti. Per questo abbiamo fatto quella battaglia. E l’abbiamo persa. La sinistra democristiana, prima e più profondamente di altri, aveva capito che si stava affermando una cultura sempre meno rispettosa dei valori della Costituzione. E anche delle norme definite a livello europeo. Poi in effetti Berlusconi ha realizzato quasi un blitz elettorale con quegli strumenti, ma anche perché ha saputo cavalcare un modo di fare politica che stava già dilagando».
Quindi secondo lei Berlusconi non è affatto contrariato solo dal metodo con cui Renzi ha imposto il nome di Mattarella…
«Oramai diventa difficile distinguere. Però sì. Berlusconi secondo me sta sbagliando nel concentrare questa ostilità su Mattarella. Leggo che in definitiva lui considera la sinistra democristiana il suo principale avversario. Forse storicamente ha anche ragione, ma oggi tante cose sono cambiate».
Voi, e lei in particolare, però vi opponeste sempre all’ingresso di Forza Italia nel Ppe.
«Prima Castagnetti e poi io che ero responsabile del piccolo gruppo dei Popolari italiani… Oramai tutti fanno coincidere il Ppe e Berlusconi, ma in verità lui quando arrivò al parlamento europeo non entrò subito nel gruppo del Ppe. Lo fece solo successivamente. Loro avevano più di 20 parlamentari, noi eravamo meno di 10 e il Ppe aveva l’obiettivo di diventare il primo partito del parlamento europeo. Per noi invece evidentemente il problema era squisitamente politico. Purtroppo adesso tutti si definiscono popolari, ma per la verità nel 2004 con François Bayrou, (leader del Movimento democratico francese, ndr) portammo il gruppo Schuman fuori dal Ppe proprio perché i popolari europei avevano scelto, solo per ragioni di quantità, l’accordo con i conservatori inglesi, così come avevano fatto cinque anni prima con Berlusconi. Come si vede, quindi, le occasioni di scontro sono state diverse e sostanzialmente erano sempre tra una visione cattolico-democratica e una conservatrice».