Il Fatto quotidiano, 2 luglio 2015
C’è un gran dibattito sul referendum in Grecia. E’ difficile riassumere i diversi aspetti economici, sociali e politici del problema che sono tutti ugualmente importanti: tutti richiedono un intervento che possa invertire una rotta che sembra destinata a naufragio sicuro. Qui di seguito ho isolato i punti a mio avviso più rilevanti.
Le politiche di austerità sono state ispirate dallo stesso paradigma ideologico neoclassico che ha fallito ogni previsione della crisi economica scoppiata nel 2007/2008, e sono basate su un famoso articolo degli economisti Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, tra i più citati negli ultimi anni, che ha evidenziato l’esistenza, in diversi paesi, di una correlazione tra un alto rapporto debito/Pil (maggiore del 90%) e la bassa crescita. L’articolo di Reinhart e Rogoff è stato mostrato essere effetto da gravi problemi metodologici e addirittura da un banale errore nel foglio di calcolo. Eppure questo studio è stato tra quelli usati per giustificare l’austerità, il pareggio di bilancio e la necessità di “rimettere a posto i conti” nei diversi paesi. Malgrado i dati stessi, analizzati correttamente, non mostrano alcuna correlazione tra debito e Pil, e dunque non giustificano in nessun modo le assunzioni delle politiche d’austerità, queste non sono cambiate e anzi sono continuamente riproposte.
Secondo Mario Monti la Grecia “è la manifestazione più completa del grande successo dell’Euro”. La Grecia dopo cinque anni il “salvataggio” della Troika (Banca Europea, Commissione Europea e Fondo Monetario) è ancora in recessione, ha un tasso di disoccupazione intorno al 30% che sale al 55% per i giovani, ha sofferto un abbassamento del PIL del 25% e il 30% della sua popolazione vive sotto il livello di povertà dell’Unione Europea. Le misure di austerità hanno causato una vera e propria emergenza umanitaria. In un articolo scientifico, pubblicato sulla rivista The Lancet, sono stati presentati dei dati impressionanti: in Grecia dopo quaranta anni è riapparsa la malaria, il 70% dei partecipanti ad un sondaggio ha dichiarato di non avere sufficiente denaro per comprare le medicine, i suicidi sono aumentati del 45%, i neonati sottopeso sono aumentati del 19% mentre i bambini nati morti sono incrementati del 21%.
Dall’inizio della crisi, cinque anni fa è avvenuta la più grande fuga di cervelli in un’economia occidentale avanzata nei tempi moderni, con oltre 200.000 greci che hanno lasciato il paese. Più della metà sono andati nel Regno Unito e in Germania, rappresentando un enorme spostamento di forza lavoro qualificata, formata a spesa del paese d’origine, che va dunque ad arricchire i paesi di destinazione. Quest’ondata di giovani, insieme con quelle provenienti dagli altri paesi dell’Europa meridionale, rappresenta forza lavoro qualificata che entra in concorrenza con quella locale abbassando dunque il costo del lavoro. D’altro canto questo impoverimento di risorse umane sta minando le residue possibilità di una ripresa del paese in un futuro più o meno lontano.
Ma i danni non sono finiti qui. Come spiega chiaramente, Andrea Baranes, il piano di salvataggio della Grecia è stato «concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del vecchio continente e non la Grecia» (fonte Fmi): infatti, uno studio indipendente ha mostrato come per lo meno il 77% di tutti gli aiuti forniti alla Grecia tra maggio 2010 e giugno 2013 sono finiti al settore finanziario e non alla popolazione o allo Stato ellenico. In parallelo l’esposizione delle banche francesi e tedesche si è trasformata in debito pubblico (si veda anche pagina 15 di questo documento del Parlamento Greco).
Questi semplici fatti, facilmente verificabili, mostrano l’assurdità delle politiche d’austerità che hanno l’effetto di deprimere l’economia sia nell’immediato che nel futuro. I vari “economisti”,come Francesco Giavazzi, che si agitano al grido “i Greci hanno scelto la povertà, lasciamoli al loro destino”, con argomenti che possono essere agevolmente falsificati, rendono semplicemente chiaro, ancora una volta se ce ne fosse bisogno, come, utilizzando la propria cattedra universitaria, la scienza economica sia usata solo per puntellare scelte politiche e ideologiche. La discussione è in realtà tutta politica ma la bussola che si è persa è quella etica: solo indignandoci di fronte alle inutili sofferenze della gran parte di un paese potremo capire da che parte stare.