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Pavlos Nerantzis
Grecia, i retroscena del pressing Ue
20 Marzo 2015
Articoli del 2015
Vogliono cacciare la Grecia dall'Europa. Le ragioni sono evidenti. Ce ne sono molte per chi vuole garantire gli interessi sociali economici e politici del mondo della finanza e dele sue appendici.

Il manifesto, 20 marzo 2015

Nella capi­tale greca si sapeva a priori che lo scon­tro tra un governo delle sini­stre e l’establishment euro­peo sarebbe stato ine­vi­ta­bile. Non tanto per­ché «l’altra Europa» a cui fa rife­ri­mento Syriza - gli Stati uniti d’Europa - va in una dire­zione diversa rispetto alla strut­tura attuale dell’Ue, basata sui Trat­tati di Maa­stri­cht e di Lisbona, dove la logica dei mer­cati pre­vale sulla poli­tica, o meglio domi­nano le poli­ti­che neoliberiste.

L’alto livello di ten­sione tra Atene da una parte e Bru­xel­les e Ber­lino dall’altra, pre­sen­tata come man­canza di fidu­cia, è ine­vi­ta­bile nel momento in cui Tsi­pras, pur pre­sen­tan­dosi prag­ma­tico e dispo­sto ad appli­care solo una parte del pro­gramma di Salo­nicco per far fronte alla crisi uma­ni­ta­ria greca, non é dispo­sto a seguire le poli­ti­che pre­ce­denti, come vogliono i part­ner euro­pei. La ristrut­tu­ra­zione del debito greco è la pie­tra ango­lare, l’elemento por­tante per il risa­na­mento eco­no­mico della Gre­cia e per una costru­zione euro­pea diversa dall’attuale.

Tutto ció era noto. Ma tutto som­mato ad Atene spe­ra­vano che l’«avversario», ovvero i cre­di­tori inter­na­zio­nali, avreb­bero rispet­tato le regole del gioco. A distanza di un mese e mezzo dallo scru­ti­nio del 25 gen­naio, invece, ció che si regi­stra é una lotta quasi acca­nita con­tro il governo di Ale­xis Tsi­pras, il quale rispetta i suoi impe­gni verso i cre­di­tori nono­stante i gravi pro­blemi di liqui­ditá. Visto che l’ aggiu­sta­mento di bilan­cio greco è stato piú pesante che altrove (i tagli di spesa e le misure fiscali hanno dimi­nuito del 45% il red­dito delle fami­glie con­tro il 20% del Por­to­gallo e il 15% di Ita­lia e Irlanda), Atene vor­rebbe una solu­zione basata per il momento sull’accordo dell’Eurogruppo del 20 feb­braio scorso. Quindi un nego­ziato a livello poli­tico, un’apertura di trat­ta­tiva come ha scritto pochi giorni fa il vice-premier Yan­nis Dra­ga­sa­kis sul Finan­cial Times.

I part­ner euro­pei, invece, non solo non sem­brano dispo­sti a dare tempo e spa­zio al neo­go­verno greco, ma sem­pre di piú c’è la netta impres­sione che vor­reb­bero la sua caduta, la messa in angolo di Syriza. E usano a que­sto pro­po­sito tutti i mezzi: la Bce che ha chiuso i rubi­netti del finan­zia­mento di emer­genza (Ela) che tiene in piedi le ban­che gre­che; l’Euroworking group e l’Eurogruppo che chiede dati tec­nici delle finanze gre­che — che guarda caso sono sem­pre nega­tivi o man­canti — come pres­su­po­sto per un nego­ziato poli­tico; e la stampa inter­na­zio­nale che, quando non mente, diventa per­fino più rea­li­sta del re.

A causa della man­canza di liqui­ditá nelle casse dello Stato elle­nico tutti, o quasi, par­lano del gre­xi­dent, cioé di un default non voluto o di un gre­xit (Schaeu­ble addi­rit­tura ha detto a Varou­fa­kis che Ber­lino sarebbe dispo­sto ad aiu­tare l’ uscita della Gre­cia dall’eurozona); tutti sot­to­li­neano ad ogni occa­sione i bene­fici che hanno avuto i greci dagli aiuti finan­ziari pari a 240 miliardi di euro otte­nuti nel mag­gio 2010 e nell’ otto­bre 2011, ma pochi notano che sol­tanto il 10% di que­sto flusso di soldi é stato assor­bito per i fab­bi­so­gni interni e veri del paese. Il resto é ser­vito per rica­pi­ta­liz­zare le ban­che gre­che — le quali peró non pre­stano un euro alle imprese medie e pic­cole in stato di emer­genza — e sopra­tutto per pagare gli inte­ressi sui capi­tali dei pre­stiti ai cre­di­tori inter­na­zio­nali. Vale a dire che la Gre­cia prende in pre­stito sem­pre di più dai suoi part­ner (e que­sto vale per l’ Ita­lia e tutti i paesi) per pagare debiti pre­ce­denti. Intanto decine di migliaia di greci fanno la fame, per­dono i loro posti di lavoro, si amma­lano, i piú gio­vani scel­gono le vie di migra­zione, ecc., ecc. Le vit­time umane, lo sfa­celo sociale, l’annientamento del wel­fare state e la per­dita del 25% della richezza nazio­nale in Gre­cia sono con­si­de­rate dall’establishment euro­peo per­dite collaterali.

Chi viene bene­fi­ciato e chi gua­da­gna con la crisi greca? In Ger­ma­nia ma anche nel resto d’Europa a sen­tire i media e parte del mondo poli­tico - che non per­dono occa­sione per disprez­zare i Pigs, i paesi del sud - i con­tri­buenti tede­schi pagano «di tasca loro» per i greci. Ma que­sti opi­nion makers - su cui Wol­fang Schau­ble insi­ste sem­pre nei suoi discorsi - non dicono nulla del fatto che la Ger­ma­nia gra­zie alla crisi greca e in spe­ci­fico alla dif­fe­renza dei tassi d’interesse ha gua­da­gnato dal 2009, secondo la Lon­don School of Eco­no­mics, quasi 80 miliardi di euro.

L’economista ame­ri­cano Paul Krug­man (pre­mio Nobel) ha scritto sul New York Times che «i poli­tici tede­schi non hanno mai spie­gato ai loro cit­ta­dini “la mate­ma­tica”, ma hanno scelto la via facile del mora­li­smo per l’atteggiamento irre­spon­sa­bile dei mutuati». Unica ecce­zione dalla Grande Koa­li­tion, Klauss Regling (Mes), che ha detto: «Finora i pre­stiti di sal­va­tag­gio alla Gre­cia non sono costati un solo euro al con­tri­buente tedesco».

Que­sta cam­pa­gna dif­fa­ma­to­ria piena di ste­reo­tipi («i greci pelan­droni», pro­mossa non solo dalla Bild ma anche da quo­ti­diani «auto­re­voli» ita­liani) nasconde una realtá emersa recen­te­mente dall’Office for Natio­nal sta­ti­stics bri­tan­nico: i «pigri» greci lavo­rano molto di piú rispetto ai «disci­pli­nati» tede­schi (42,2 ore set­ti­ma­nali i greci, 35,5 ore i tede­schi)». È que­sta cam­pa­gna che ali­menta il nazio­na­li­smo greco, fino alla minac­cia dell’apertura dei con­fini per­ché i jiha­di­sti inva­dano la Germania.

Mer­co­ledì i «18» dell’Eurozona veni­vano descritti dalle agen­zie inter­na­zio­nali come «irri­tati per­ché il governo di Tsi­pras si rifiuta di pro­muo­vere le riforme», vale a dire gli impe­gni presi dai governi pre­ce­denti. Costello Declan, il rap­pre­sen­tante della Com­mis­sione euro­pea alle «isti­tu­zioni» è con­tra­rio (sic) al pro­getto di legge che faci­lita i con­tri­buenti greci a pagare i loro debiti allo Stato, nono­stante che non influenzi nega­ti­va­mente il bilan­cio dello Stato. E poi tutti sono con­trari a Yanis Varou­fa­kis, per­ció fanno di tutto per farlo allon­ta­nare dalla sua carica. Il video falso del mini­stro delle finanze greco che manda a quel paese con il dito alzato la Ger­ma­nia é solo l’ ultimo epi­so­dio di una lunga fila di menzogne.

Il viag­gio di Tsi­pras a Ber­lino il 23 e l’incontro con i lea­der euro­pei ai mar­gini del sum­mit di Bru­xel­les di ieri sera e pro­ba­bil­mente anche oggi, dovrebbe ser­vire per disten­dere il clima, ma sará dura per pre­mier greco.

«La guerra é la con­ti­nua­zione della poli­tica con altri mezzi… é un atto di forza che ha lo scopo di costrin­gere l’avversario a sot­to­met­tersi alla nostra volontá» scri­veva Karl von Clau­sewitz. E Atene, secondo Ber­lino, deve sot­to­met­tersi alla volontá dei suoi part­ner. Clau­sewitz aveva notato per primo che «la prima vit­tima di ogni guerra è la veritá». Tante le cose scritte e dette su come la Gre­cia sia arri­vata a que­sta crisi e su chi ne ha la respon­sa­bi­litá. Una cosa è certa. La ricetta appli­cata dalla troika (Fmi, Ue, Bce) per il risa­na­mento eco­no­mico del Paese ha avuto con­se­guenze simili a quelle di una guerra. E la sen­sa­zione che «stiamo vivendo in con­di­zioni di guerra» e di emer­genza per­ma­nente ce l’hanno (quasi) tutti i greci.

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