Lavoce.info, 20 giugno 2015 (m.p.r.)
GRECIA: E ORA COSA SUCCEDE?
di Angelo Baglioni
Salvo sorprese dell’ultimo minuto, la Grecia sta scivolando verso l’insolvenza e l’uscita dall’euro. L’impatto immediato sarà drammatico per il paese ellenico. Ma in futuro chi rischia di perderci maggiormente saranno gli altri paesi europei. A cominciare dal nostro.
Le prospettive della Grecia…
Salvo una iniziativa a sorpresa, e molto tardiva, dei governi europei nelle prossime ore, domenica 5 luglio il popolo greco sarà chiamato a votare su un piano di assistenza finanziaria, condizionato a misure fiscali ed economiche, che di fatto non esiste più. Il piano è stato infatti ritirato dai ministri finanziari dell’Eurogruppo sabato 27 giugno, non appena appresa la notizia della indizione del referendum, che è stata accolta come una rottura delle trattative. Tecnicamente si tratta di un referendum privo di senso, anche per il fatto che implicitamente il popolo è chiamato a rispondere su una materia fiscale, che in genere non può essere materia referendaria per ovvie ragioni (non si va a chiedere alla gente se è d’accordo su un aumento della tasse). Tuttavia, il referendum ha un forte significato politico,sebbene Tsipras continui a negarlo: in sostanza il popolo greco deve decidere se restare nell’euro a ogni costo (comprese le misure imposte dalla Troika adesso e in futuro) oppure lanciarsi in un’avventura che potrebbe molto probabilmente portare il paese a uscire dall’euro.
(i) le banche greche siano solvibili e (ii) i titoli presentati a garanzia siano accettati dalla Bce. Entrambe queste condizioni verranno meno con l’insolvenza dello Stato greco: (i) le banche subiranno perdite sui titoli detenuti in portafoglio e sui crediti alle imprese e alle famiglie, data la situazione che si verrà a creare, tali da erodere il loro patrimonio e portarle in una situazione di insolvenza; (ii) ben difficilmente la Bce potrà considerare accettabili come garanzia i titoli di debito di uno Stato insolvente, per di più verso la Bce stessa. Non a caso, il 28 giugno la Bce ha deciso di porre un limite a questi finanziamenti: per ora si è limitata a non aumentarli, ma è chiaro che è un passo verso la revoca, se la situazione dovesse precipitare. Una volta venuti meno i prestiti della Bce, l’unico modo per fare funzionare le banche greche sarà introdurre una nuova moneta, emessa dalla banca centrale greca. In una parola: Grexit.
…e per noi
Le conseguenze immediate del fallimento della Grecia e della sua uscita dall’euro potrebbero essere limitate. L’esposizione delle banche e dei soggetti privati è molto ridotta. Quella del governo è maggiore (50-60 miliardi), attraverso diversi canali (prestiti diretti, Fondo di stabilità europeo, Bce), ma l’impatto sui conti pubblici sarebbe dilazionato nel tempo. Quanto ai tassi d’interesse, l’Italia gode al momento dell’accesso ai mercati finanziari a costi bassi, anche per merito del Quantitative easing avviato dalla Bce a febbraio. Tuttavia, questo piano prima o poi terminerà, presumibilmente nel settembre del 2016. L’altro strumento a disposizione della Bce, l’Omt è di difficile utilizzo, poiché richiede che un governo stipuli un accordo di assistenza finanziaria con il Fondo di stabilità europeo (Esm), cosa che nessuno vuole fare per evitare di sottoporsi alle torture della Troika. Quindi in futuro l’uscita delle Grecia ci potrà danneggiare molto: qualora la sostenibilità della nostra finanza pubblica venisse rimessa in discussione, il rischio di nostra uscita dall’euro alimenterebbe la speculazione, e nessuno potrebbe più dire che l’euro è irreversibile. Questa, come abbiamo già sostenuto, è la differenza tra una unione monetaria e un accordo di cambio. Il ritorno del rischio di break-up potrebbe riportare lo spread ai terribili livelli del 2011. Più in generale, l’uscita della Grecia sarebbe l’inizio della fine per l’euro e comporterebbe un’inversione del processo di integrazione europea. Speriamo che i governi europei nelle ultime ore disponibili evitino il disastro. In fin dei conti, il resto dell’Europa ha molto più da perdere dal Grexit che la Grecia stessa.
ATENE, DOVE FALLISCE LA POLITICA EUROPEA
Un accordo reciprocamente vantaggioso tra la Grecia e i suoi creditori sembrava possibile. Invece, si è arrivati alla rottura. Per molte ragioni, ma certo è che la governance dell’Eurozona non funziona. L’unica istituzione europea che in questo periodo ha fatto politica è stata la Bce.
Perché l’accordo era quasi certo
La scorsa settimana si era aperta all’insegna dell’ottimismo. La soluzione all’ormai estenuante trattativa tra il governo greco e le sue controparti europee sembrava essere a un passo. Poi c’è stato il moltiplicarsi dei vertici a Bruxelles fino all’annuncio del referendum chiesto da Alexis Tispras. Adesso è partito, come c’era da aspettarsi, il gioco a identificare il colpevole. Ma forse è più utile fare un passo indietro e capire la posta in gioco e quali fattori possono avere contribuito a questa impasse.
Considerate un’impresa che abbia un livello del debito molto elevato, tale da non poter essere interamente ripagato. L’impresa ha anche un nuovo progetto d’investimento che, se finanziato, genera utili. In questa situazione, potrebbe accadere che gli azionisti si rifiutino di finanziare il nuovo progetto perché gli utili da esso generati andrebbero a beneficio soprattutto dei creditori.
Che cosa è andato storto
Cosa è andato storto? In primo luogo, alcune delle istituzioni coinvolte non possono accettare una esplicita cancellazione, anche solo parziale, dei loro crediti. Questo rende anche le altre parti coinvolte meno propense a fare concessioni. In secondo luogo, la rinegoziazione è più difficile quando ci sono molte parti sedute al tavolo, specie se hanno obiettivi diversi. Chi parla per l’Europa? Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk? Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker? La cancelliera Angela Merkel? Chi di loro ha l’ultima parola? Dover convocare un Consiglio europeo ogni volta che un accordo sembra in vista non è il modo più efficace per convergere verso una soluzione. In terzo luogo, hanno pesato considerazioni politiche e non economiche.