Ci risiamo, per l’ennesima volta. La Grecia stretta in un angolo, con le richieste dei falchi – ad iniziare dall’Fmi e da Schauble – che non si accontentano e chiedono continuamente tagli, in un eterno presente che pare impossibile lasciarsi alle spalle. Nel ben noto gioco di ruoli, questa volta la parte del cattivo la sta giocando il Fondo monetario internazionale, che richiede l’approvazione, da parte del parlamento greco, di misure preventive per un ammontare di 3,6 miliardi di euro. Dovrebbero entrare in vigore nel caso i tagli accettati sinora da Atene si dovessero dimostrare troppo «buoni», non abbastanza efficaci.
E ovviamente si sono subito posti due problemi, uno di natura formale ed uno assolutamente pratico. Da una parte, la legislazione ellenica non prevede che il parlamento possa legiferare su misure «eventualmente applicabili in futuro», ma solo su questioni di natura certa. Anche perché, rispetto alle clausole di salvaguardia italiane c’è una sostanziale differenza: nel caso del governo Tsipras, non gli si permette di includere le misure «di garanzia» all’interno di una finanziaria, ma si chiede una legge ad hoc.
In più, dal punto di vista dei cittadini, tartassati da cinque anni di austerità senza limiti, queste nuove misure richieste dal Fondo monetario – se dovessero venire applicate – porterebbero a nuovi tagli di stipendi e pensioni per una percentuale intorno all’8% del loro ammontare totale, e all’ulteriore innalzamento delle aliquote Iva. Obbligando a chiudere, per esempio, anche le case editrici che finora erano riuscite, tra mille sacrifici, a resistere alla crisi. Il governo di Syriza propone un meccanismo che controbilanci automaticamente eventuali minori introiti per le casse dello Stato, ma chiede di salvaguardare le classi sociali più deboli e di non dover presentare in parlamento, ovviamente, la legge richiesta dai creditori.
Il premier Alexis Tsipras, constatato che le trattative con i creditori si sono arenate, ha chiesto la convocazione di un vertice europeo straordinario per discutere della situazione e riuscire a trovare una via d’uscita politica. La decisione definitiva al riguardo dovrebbe essere presa oggi, ma la posizione del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, non sembra delle più incoraggianti: i suoi collaboratori hanno lasciato trapelare che la soluzione deve essere trovata solo ed esclusivamente all’interno dell’Eurogruppo. Quello in programma per oggi, ovviamente, è stato annullato e l’ulteriore perdita di tempo può andare solo a discapito della Grecia.
Il presidente del gruppo dei socialisti e democratici all’Europarlamento, Gianni Pittella, si è schierato apertamente a favore di Atene, chiedendo di non strangolare la Grecia, e di non chiederle di adottare misure supplementari. Lo stesso Juncker, secondo la stampa greca, parlando al collegio dei Commissari, sembra aver definito irragionevoli e anticostituzionali le misure ex ante, richieste alla Grecia.
Pare essere una prima presa di posizione contro l’asse del rigore assoluto, quella costruita da Berlino e dall’Fmi con sede a Washington. Ma è chiaro che a questo punto sono più che necessari degli interventi chiari, di sostegno energico e visibile, sia da Parigi che da Roma, se si vuole sperare ancora che qualcosa possa cambiare. Altrimenti, entro fine maggio Atene potrebbe avere nuovamente problemi di liquidità e il pagamento di pensioni e stipendi sarebbe ancora una volta a rischio, come avvenne nel giugno del 2015.
Non bisogna essere particolarmente malevoli per ricordare che proprio poche settimane fa, WikiLeaks aveva diffuso il contenuto di una lunga teleconferenza tra Poul Thomsen, a capo del dipartimento europeo del Fondo monetario internazionale, la rigidissima Delia Velculescu – che lo rappresenta ai colloqui con il governo greco – e un’altra responsabile dell’Fmi. Nel colloquio in questione si faceva chiaramente riferimento alla possibilità di portare nuovamente il paese al collasso economico, viste anche le resistenze del governo di Syriza ad accettare i diktat neoliberistici.
Tutto ciò, in un paese che continua ad ospitare più di 50.000 migranti e profughi arrivati negli ultimi mesi, sopportando un peso pratico ed economico enorme. E che malgrado le difficoltà non ha chiuso le proprie frontiere, come ha fatto, invece, l’ex Repubblica Jugoslava di Macedonia e sta minacciando di fare, ora, anche l’Austria. Atene spera che si esca dall’impasse, per arrivare alla conclusione della trattativa e passare, così, alla delicatissima fase che dovrà riguardare l’alleggerimento del debito pubblico greco. Più i giorni e le settimane passano a vuoto, e più l’economia greca non riuscirà a riprendersi, con il solito circolo vizioso: consumi al minimo, alta disoccupazione, minori entrate per lo Stato e richiesta di ulteriori tagli dai creditori.
I falchi del rigore sembrano non aver imparato assolutamente nulla in tutti questi anni. E forse non hanno neanche capito la cosa più importante: che in Grecia, per loro, non ci sono comode alternative politiche. Un eventuale governo conservatore, o anche di larghe intese, non riuscirebbe mai a portare avanti i nuovi piani lacrime e sangue voluti da Fmi e ultraliberisti.