Articoli di di Dimitri Deliolanes e di Pavlos Nerantzis. sugli eventi di una giornata cruciale, per L'Europa e il suo futuro. Il manifesto, 1° luglio 2015
Ad Atene in piazza il fronte del sì
di Pavlos Nerantzis
Il governo greco non accetta l’ultima proposta in extremis dei «creditori», e conferma: «Referendum non in discussione»
Una giornata piena di riunioni al Megaro Maximou, sede del governo, ma anche di informazioni contraddittorie per un’eventuale intesa tra Atene e i suoi creditori. A piazza Syntagma di fronte al parlamento, questa volta era presente il «fronte del sì», ovvero i greci che vorrebbero ad ogni costo un accordo con le «istituzioni». Migliaia di persone a manifestare la volontà di accettare le condizioni dei creditori, spinti per strada — forse — dalla campagna mediatica dell’opposizione che ritiene che il referendum possa allontanare, per sempre, la Grecia dalla Ue.
Di sicuro rappresentano una parte dei greci, compresi alcuni elettori di Syriza, che non vogliono in alcun modo il rischio di un’uscita dall’euro. Il premier Tsipras (che ieri ha avuto comunicazioni telefoniche con Draghi, Merkel, Hollande e Schulz), secondo alcuni media locali si sarebbe schierato a favore di una soluzione sostenibile; altre fonti — invece — dicevano che «siamo molto vicini ad un’intesa». Lo stesso Tsipras che fa campagna per il «fronte del no», è stato chiaro anche durante un’intervista alla tv pubblica Ert lunedi sera: «rispetteremo la volontà dell’elettorato, anche se io non sono un uomo per tutte le stagioni». Vale a dire che nel caso vincesse il «fronte del sì», il premier non ha altra scelta che dimettersi, aprendo la strada ad un ricorso anticipato alle urne e a un periodo di instabilità politica. In tal caso il governo delle sinistre sarebbe una parentesi e la sconfitta non sarà soltanto greca.
A questo punto si pone la domanda: perché il premier greco non si è aggrappato all’opportunità fornita da Juncker, che avrebbe proposto un accordo in extremis (con l’aliquota dell’Iva al 13% per gli alberghieri e i servizi turistici e non al 23%) e un impegno da parte dell’ Eurogruppo per una ristrutturazione del debito? Tanto è vero che Tsipras ha annunciato il referendum per far maggior pressione sulle «istituzioni» affinché riducessero le pretese per arrivare ad un’intesa e per «distribuire» il peso della responsabilità di una decisione che potrebbe essere interpretata come una resa ai creditori o, in caso contrario, un salto nel buio.
Nel caso dovesse esserci un accordo prima del referendum della domenica prossima ci sono due possibilità: o la consultazione verrà annulata, un’eventualitá tutto sommato scarsa — «il referendum comunque sarà realizzato» ha detto ieri il ministro Nikos Pappas, braccio destro di Tsipras — oppure il governo si schiererà a favore del «si».
La maggioranza dei greci vuole continuare a utilizzare la moneta unica e preferirebbe un accordo con i partner europei del Paese piuttosto che una rottura. È quanto risulta da due sondaggi effettuati prima di sabato, giorno in cui Tsipras ha annunciato il referendum. Nel sondaggio della Alco per il settimanale Proto Thema, il 57% degli intervistati ha detto di ritenere che la Grecia dovrebbe fare un accordo con i partner europei, mentre il 29% ha detto di preferire una rottura.
Dal sondaggio condotto dalla Kapa Research per il quotidiano To Vima è emerso che il 47,2% degli intervistati voterebbe a favore di un accordo, per quanto doloroso, con i creditori, contro il 33% che voterebbe no e il 18,4% di indecisi. Entrambi i sondaggi sono stati condotti a livello nazionale dal 24 al 26 giugno. Tenendo poi conto del clima di preoccupazione e di tensione creatosi dalla decisione di chiudere le banche greche, analisti fanno notare che «la percentuale a favore di un’intesa e quindi del sì dovrebbe essere aumentato».
A questo spostamento ha contribuito la campagna di intimidazione, se non di terrorismo dell’opinione pubblica da parte dei media mainstream, alimentata da altri due fattori: la chiusura delle banche seguita dal capital control e il limite dei 60 euro al giorno dai bancomat. Oggi apriranno i battenti a quasi mille filiali per pagare le pensioni ai clienti che non possiedono carte di credito, ma il clima è peggiorato rispetto ai giorni precedenti.
La confusione, l’ansia e il nervosismo sono evidenti sui volti delle persone, in gran parte pensionati, che sotto la pioggia fanno delle lunghe file di fronte ai bancomat, soprattutto quelli della National Bank of Greece. La polizia greca è stata posta in stato di allerta nel timore di attentati dinamitardi contro i bancomat o tafferugli tra i clienti in fila. Preoccupati pure i commercianti e le aziende di esportazione, perché oltre al calo pauroso delle vendite — già ridotte — hanno problemi di liquidità. 350 milioni di euro saranno persi questa settimana, secondo l’Associazione dei commercianti di Atene. Inoltre, il «fronte del sì» sta crescendo perché il governo non ha ancora chiarito cosa fare il giorno dopo il referendum nel caso vincesse il «no», rispetto alle proposte dei creditori. Il discorso generico «avremo un potere di negoziato più forte» convince i militanti di Syriza, ma non tanti altri elettori.
Un «no» forte sicuramente rafforzerà il potere contrattuale del premier greco, ma presentandosi a Bruxelles Tsipras rischia di non trovare i suoi interlocutori delle «istituzioni» perché semplicemente potrebbero dire che il negoziato è terminato. A quel punto la Grecia camminerà su «acque sconosciute». La Bce potrebbe chiudere i rubinetti –da ieri il Paese non è più nel programma di aiuti e l’agenzia di ratings Fitch ha declassato le quattro banche elleniche al grado Rd (fallimento in parte, Restricted default)- provocando in un primo momento il crollo del sistema bancario greco e in seguito, l’intervento dello stato. Con un’economia in ginocchio da parecchi anni causa recessione, il governo greco, anche se non lo vuole, non avrebbe altra possibilità che chiedere aiuti da paesi fuori dalla Ue, nazionalizzare gli istituti di credito e stampare la dracma.
Tsipras, il vero europeista
di Dimitri Deliolanes
Alexis Tsipras è un europeista. Non di quelli tutti retorica e finanziamenti: è un europeista vero, di quelli che ci credono. Lo si è visto nella sua lunga intervista alla tv pubblica Ert lunedì sera. I giornalisti gli avevano chiesto perché ha lasciato che la Grecia rimanesse fuori dal programma di “salvataggio” che scadeva ieri, in modo che la Bce non potesse stendere la sua copertura (Ela) sulle banche greche. Da qui lo sgradevole provvedimento di chiudere le banche per evitare il bank run.
La risposta del premier greco è stata una testimonianza di europeismo: «Non me lo aspettavo — ha ammesso Tsipras — il prolungamento era stato sempre concesso, non immaginavo che lo negassero per una settimana». In altre parole, Tsipras ha ammesso di non essersi aspettato l’atto di guerra annunciato sabato scorso con sorrisetto odioso da Diijsselbloem e finalizzato a far spargere la paura tra i greci e condizionare l’esito del referendum.
Un’operazione che ha avuto un certo successo: se prima della chiusura delle banche la vittoria del no era scontata, ora le cose sono cambiate. Una parte non trascurabile dell’opinione pubblica si è fatta condizionare: dalle emittenti oligarchiche che non perdono occasione di annunciare catastrofi cosmiche, dalla retorica su presunti grexit che rimbalza tra Atene e le capitali europee, ma anche dalla incertezza reale riguardante i rapporti tra la Grecia e l’Europa.
Tsipras non se lo aspettava perché pensa che l’Ue sia un’Unione di paesi di pari dignità, la patria della democrazia e dei diritti dell’uomo. Ma ora sembra abbia decisamente realizzato che l’Ue, e in particolare l’eurozona, sono il terreno di caccia di mostri finanziari, che hanno anche imposto una loro «Costituzione materiale». Non è ammissibile contestarla. Per questo è stato alzato un muro di intransigenza e menzogne: «Greci dite di sì a qualsiasi proposta venga dai creditori», è stata l’esortazione di Junker.
Tsipras potrebbe pigiare l’acceleratore della crisi dentro l’eurozona, minacciando apertamente di farla esplodere con tutti i filistei. Puntando, per esempio, sul fatto che la Bce e l’Ue sono i garanti del debito greco di fronte al Fmi. Debito greco che non sarà pagato nei prossimi mesi. Ma non lo fa perché è un europeista. Piuttosto che sparare, ha pensato bene di rilanciare la sua proposta di compromesso, pronto, sempre e in qualsiasi momento, a firmare un «accordo sostenibile» per dare indicazioni ai suoi elettori di votare domenica «sì».
La giornata tumultuosa di ieri ha segnato un punto in favore degli sforzi europeisti di Tsipras. Tra conferme e smentite, proposte più o meno attendibili da parte di Juncker e un acceso attivismo da parte di tutti, del gruppo socialista a Strasburgo, del Presidente cipriota, del ministro francese e di quello irlandese (perfino di Renzi che ha concesso una lunga intervista al Sole 24 Ore, perdendo una splendida occasione di tacere) alla fine si è arrivati alla riunione dell’eurogruppo ieri sera, ancora in corso mentre scriviamo.
Egualmente importante è anche la decisione di Atene di risolvere i suoi problemi di liquidità ricorrendo al Mse, il meccanismo di stabilità instaurato alcuni anni fa. In sostanza, si tenta di aggirare le difficoltà create dal dominio di Schauble dentro l’eurogruppo, per instaurare le nuove misure su un piano completamente nuovo. In altre parole, né no né sì ma una terza proposta, ancora tutta da negoziare. Con il vantaggio che ai negoziati non parteciperà il Fmi.