Sullo scandalo esploso a partire dai rapporti tra affari e politica a Venezia tre articoli di Edoardo Salzano ("la grande emergenza"), Ernesto Milanesi ("La Laguna del malaffare"), E.M. e Sebastiano Canetti ("La criccaGalan"). Il manifesto, 11 giugno 2014
Il cataclisma giudiziario che ha squassato Venezia e il Veneto non era inaspettato per chi aveva criticato il sistema Mose e il Consorzio Venezia Nuova fin dal loro nascere. Ciò che da allora si criticava era, da un lato, la scelta del sistema Mose, per la sua incompatibilità con la natura stessa della Laguna di Venezia e con il suo delicatissimo equilibrio ecologico, dall’altro la scelta della concessione a un unico soggetto privato, il Consorzio Venezia Nuova, del compito di studiare, sperimentare ed eseguire l’insieme degli interventi previsti.
Nessuno immaginava l’enormità della corruzione che l’attuazione di quel progetto e l’istituzione di quel soggetto avrebbero provocato. Per comprendere lo stato delle cose, cioè la dimensione del danno subito e i rischi che si profilano, occorre distinguere i tre aspetti fondamentali della situazione svelata dall’indagine della procura veneziana.
Corruzione
Il primo aspetto è quello della corruzione. I risultati dell’indagine sono davvero strabilianti. Le somme di denaro distratte illegittimamente per essere impiegate nelle varie forme, legittime e illegittime, è stupefacente. La pervasività della corruzione è un segnale preoccupante sull’ampiezza sociale del morbo: sembra che in Italia corrompere o essere corrotti sia la regola, e l’essere onesti l’eccezione. Da decenni per molti adempiere a un dovere d’ufficio non è un obbligo ma un piacere, che deve essere ricambiato. Nell’ultimo trentennio quel «vizietto» originario è cresciuto in modo abnorme, quasi come effetto collaterale della crescita della società opulenta e del disfacimento delle ideologie (cioè della capacità di credere in un progetto di società da costruire con gli altri). L’indagine giudiziaria Mani pulite svelò l’inferno in cui l’Italia era precipitata e condusse alla crisi di quella politica che aveva promosso e alimentato Tangentopoli.
Ma non riuscì a manifestarsi, contro la vecchia cattiva politica, una nuova buona politica. Poche novità positive furono introdotte per riparare i danni. Fra le poche, la buona legge Merloni per gli appalti delle opere pubbliche fu subito annacquata e, poco a poco, interamente rimossa. Il primo impegno che dunque si pone è, a livello nazionale, quello di restaurarla. Ma quale legislatore ha la forza, la competenza e la volontà di farlo? E quale istituzione a livello subnazionale compirà il primo passo necessario, quello di esautorare dal loro potere istituzionale quelli che sono fortemente indiziati di “complicità col nemico”, a partire dal sindaco di Venezia?
Grandi opere
Il secondo aspetto è quello delle Grandi opere. Molti dicono oggi: le grandi opere sono necessarie, non si può rinunciare a farle; non è la grandezza dell’opera che la rende necessariamente fonte di corruzioni. Quindi, avanti con le grandi opere limitandoci a colpire solo quelli che Benito Craxi chiamava «marioli». È un atteggiamento che si sta rivelando prepotentemente anche adesso.
Bisogna uscire dalle affermazioni generiche ed esaminare i casi concreti. Se si farà così si scoprirà subito che c’è un nesso profondo tra corruzione e grandi opere. Più grande e costosa è un’opera, più è complessa, più è necessario l’asservimento del decisore formale (il partito, l’istituzione) agli interessi dell’«impresa»: è necessario ungere rotas, distribuire tangenti reali (moneta) o virtuali (assunzione di amici e parenti, viaggi e altri sollazzi). Più l’opera cresce, più risorse ci sono per ungere le ruote. I due interessi del donato e del donatore s’incontrano: più l’opera è grande più ciccia c’è per i gatti.
Lo strumento che più spesso viene adoperato per rendere Grandi le opere è l’emergenza. Già lo si vide ai tempi di Tangentopoli. L’alibi sistematico è la rigidità del sistema delle garanzie, la conseguente lungaggine delle procedure, la sovrabbondanza di controlli. Invece di metter mano a una seria riforma delle procedure, e dei conseguenti apparati tecnici e amministrativi che devono gestirle, si inventano le droghe per scavalcare i controlli. Anziché riformare lo Stato, che si è proceduto astutamente a imbastardire, se ne pratica lo smantellamento: «via lacci e laccioli», «meno Stato e più mercato», «privato è bello». Slogan che sono stati vincenti anche a sinistra. In questa logica l’effettiva utilità dell’opera non conta nulla, né contano i suoi «danni collaterali», e neppure la sua priorità. L’unica utilità è la dimensione dell’opera e la sua possibilità di giustificare l’impiego di procedure eccezionali, dotate di due requisiti: l’opacità e la discrezionalità.
Una moratoria di tutte le Grandi opere in corso di esecuzione o decisione e un attento esame, sono le decisioni che in un paese civile dovrebbero esser prese. Ma l’Italia è un paese serio? Da decenni le cassandre dicono di no; e Cassandra, come è noto, ci azzeccava sempre.
L’oligarchia
Il terzo aspetto rilevante sul quale lo scandalo veneziano offre utili elementi di analisi e valutazione, che sarebbe necessario approfondire per tentar di correggere le storture che ha reso evidenti, è il sistema di potere che ha svelato. L’indagine non è ancora conclusa e si spera che vada fino in fondo. Ma già da quanto ha svelato appare chiaro che le decisioni sugli interventi che trasformano il territorio non erano assunte dai poteri istituzionali, che avrebbero dovuto esprimere l’interesse generale, ma da un gruppo di aziende private: aziende che, avendo abbandonato ogni spirito «imprenditoriale», avevano sostituito al «libero mercato» una spietata oligarchia.
L’indagine aperta dai magistrati veneziani illumina però una parte soltanto del gruppo di potere politico-economico che domina lo scenario veneto. E sarebbe difficile comprendere l’egemonia che il Consorzio Venezia Nuova ha conquistato nell’opinione pubblica veneziana e veneta, nazionale e internazionale senza indagare nella trama dei rapporti tra il mondo delle attività immobiliari, quello delle banche e relative fondazioni, quello dei mass media e quello della cultura e dell’università. Per costruire una mappa precisa del potere a Venezia e nel Veneto non sarebbe però giusto affidarsi solo al lavoro della magistratura, la cui responsabilità si arresta al limite tracciato dalle azioni contrarie alla legge. Non sono solo le truffe e la corruzione diretta le uniche armi di cui dispongono i poteri economici per conquistare il consenso.
Per avviare il risanamento occorrono scelte coraggiose. La prima è quella di mettere ai margini dei processi decisionali gli attori che hanno dato luogo al nuovo perverso sistema di potere. La responsabilità della politica e quella delle persone e delle istituzioni che hanno partecipato a quel sistema di potere sono gravissime. Non colpirle severamente con atti politici contribuirebbe ad accrescere il baratro che già separa i cittadini dalla democrazia
Ernesto Milanesi
La carta dei verbali controfirmati da Mazzacurati, Baita e Claudia Minutillo restituisce il mare di guano. Con schizzi (salvo querele o sviluppi) per tutti. Il padre-padrone del Consorzio Venezia Nuova ha ricostruito il «sistema Mose». Apparentemente l’ex presidente della Mantovani Spa si è levato tutti i pesi dalla coscienza sporca. E l’ex segretaria di Galan ha rivelato cosa c’era dietro la facciata di società come Bmc a San Marino con William Colombelli.
Così in laguna spurgano nomi eccellenti e racconti indicibili. Il “doge” berlusconiano aspetta il verdetto della Camera: oggi alle 13 è convocata la giunta per le autorizzazioni sulla richiesta d’arresto per Galan, presidente della commissione Cultura, trasmessa a Montecitorio il 3 giugno. E per Altero Matteoli ci sarà quello del Tribunale dei ministri: la Procura della Repubblica ha già spedito i fascicoli. Però la lista si infarcisce. Baita allunga l’indice su Gianni Letta («assicurazione sulla vita di Mazzacurati») che respinge le accuse al mittente e prepara le carte bollate. Ma le deposizioni sono piene di politici: Milanese (cioè l’allora braccio destro di Tremonti), l’ex ministro Lunardi, l’avvocato Ghedini. Gli sfidanti delle ultime Comunali, Orsoni (preferito dal Consorzio) e Brunetta. Un contributo, per altro registrato, al leghista Tosi. Fino al sostegno alla Fondazione del patriarca ciellino Scola. O alla rete delle coop e al ruolo di Brentan sul fronte…sinistro.
Ci sono anche intercettazioni comiche, con l’inversione delle parti. Come quando Minutillo ordina all’assessore Chisso di «alzare il culo» dal ristorante e tornare al lavoro. Sarebbe la stessa che, secondo Baita, si fa fare la casa dall’impresa Carron che poi batte cassa e vuole entrare nel giro degli appalti che contano.
Di certo, faldoni destinati a rimpinguarsi. E i magistrati stanno anche «rileggendo» gli atti di vecchie indagini, soprattutto collegate alle Grandi Opere viarie e ai project della sanità veneta. Senza dimenticare la matassa che si dipana dentro e fuori gli studi dei commercialisti padovani arrestati: Francesco Giordano, fiduciario di Mazzacurati, e Paolo Venuti per i coniugi Galan.
Intanto ieri mattina nuova perquisizione in un cantiere e negli uffici della Mantovani Spa (ora presieduta dall’ex questore Carmine Damiano, alle prese con Expo 2015). Oggetto di verifiche da parte della Direzione nazionale antimafia il nuovo terminal dell’«autostrada del mare» a Fusina. Con replica a Meolo in un cantiere della A4 affidato ad un’altra impresa.
Poi c’è la denuncia di Gianfranco Bettin, assessore all’ambiente: «Apprendiamo dalle carte e dagli sviluppi dell’inchiesta che da parte di politici, ministri e funzionari in particolare dei ministeri dell’Ambiente e delle Infrastrutture si sarebbe lucrato sulle bonifiche di Porto Marghera. Se così è stato hanno lucrato, come vampiri, su una immensa tragedia sociale e umana, su un enorme disastro ambientale. Si capiscono anche, così, la violenza degli attacchi dei reggitori di questo “sistema” contro chi si è sempre opposto , le querele infinite e milionarie, le intimidazioni, le accuse di voler smantellare Marghera quando invece erano proprio loro a impedirne il risanamento e quindi la rigenerazione».
A Ca’ Farsetti, dopo la rissa nell’ultima seduta di consiglio, sembra profilarsi la soluzione «democratica» alla crisi politica. Niente dimissioni della giunta per poter approvare il bilancio e evitare il commissario prefettizio alla vigilia delle Comunali 2015. La Procura, comunque, ha negato l’incontro fra l’ex sindaco Orsoni (agli arresti domiciliari) e il vice «reggente» Sandro Simionato. Forse già lunedì all’ordine del giorno il documento che sollecita un’inchiesta parlamentare e lo scioglimento del Consorzio Venezia Nuova: è stato firmato da Beppe Caccia e Camilla Seibezzi (lista “In comune”), Sebastiano Bonzio (Rifondazione), Claudio Borghello, Carlo Pagan, Gabriele Scaramuzza e Jacopo Molina (Pd), Simone Venturini (Udc), Luigi Giordani (Ps), Giacomo Guzzo e Andrea Renesto (Federalisti e riformisti).
L’isola di Poveglia resta pubblica
La buona notizia, almeno, arriva dal Demanio. L’isola di Poveglia resta ancora di proprietà pubblica. Si erano mobilitati centinaia di cittadini per l’asta, raccogliendo 300 mila euro. Ma Luigi Brugnaro (titolare di Umana, presidente della Reyer Basket ed ex di Confindustria) l’aveva vinta con un’offerta di 513 mila. Respinta con lettera ufficiale, perché ritenuta «non congrua» al valore dell’isola lagunare.
FOTOGRAFIA DELLA CRICCA GALAN
Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
È una domenica d’estate del 2010. In riva al mare di Croazia si celebra l’ottava edizione del «Premio Brioni»: riunisce il giro di imprenditori che ruota intorno all’assicuratore Gianni Pesce, titolare della Pesce and partners Insurance srl.
Sono sbarcati per lo più dagli yacht con il tricolore «marinaro», la bandiera della Santa Sede e il vessillo del meeting. Sono stati ospitati al Bi Village di Fazana e sono reduci da una cena a buffet allargata ad altri vip: dal direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Padova Adriano Cestrone al notaio Nicola Cassano accompagnato da Monica Manto (avvocato, con un curriculum di dirigente in società partecipate come Conzorzio Zip, Attiva Spa e Cvs), dalla famiglia indiana specialista in gioielli ai Luxardo storici produttori di maraschino, fino a Fabio Franceschi di Grafiche Venete che stampa best seller e frequenta i vertici di Confindustria.Un appuntamento informale, fra amici con le famiglie al seguito. Un week end che si ripete puntuale, con tanto di souvenir a beneficio dei protagonisti. Tutto alla luce del sole, niente da nascondere e con l’orgoglio di gruppo consolidato.
Ovviamente, la trasferta di Brioni 2010 non rientra nei faldoni dell’attuale inchiesta della Procura di Venezia che il 4 giugno ha chiesto al Parlamento l’arresto dell’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan per lo scandalo del Mose. Tuttavia, proprio perché coglie in relax all’estero il cerchio ristretto dei fedelissimi, restituisce al naturale un frame del «modello veneto».
La cerimonia è affidata alla presentatrice ufficiale, ma la vera anima della serata si rivela monsignor Liberio Andreatta, attuale vice presidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi che nel dicembre scorso ha organizzato — con la benedizione di Papa Fracesco — una missione anche archeologica in Iraq. Al ministro delle Politiche agricole Galan (che ha appena dovuto cedere la presidenza della Regione al leghista Luca Zaia) spetta l’inedito ruolo di… valletto. In polo azzurrina griffata e pantaloni blu mare, non si sottrae; anzi, si preoccupa che i nomi degli sponsor siano ben visibili…
Il Premio Brioni possiede una filosofia precisa: «Sorveglia le tue amicizie perché vivano fino a sera. Dona l’amicizia alle anime che intuisci vicine alla tua. E se l’amico zoppica, giudicalo sempre quand’è seduto» ammonisce la prolusione. Si comincia con lo speciale riconoscimento a Fabio Biasuzzi: la riproduzione degli affreschi di Raffaello nella Stanza della segnatura dei Musei Vaticani. L’inguaribile milanista Biasuzzi è l’erede dei cavatori di ghiaia del dopoguerra, alla testa del gruppo di Ponzano Veneto (Treviso) e fresco presidente dell’Atecap che associa l’industria italiana del calcestruzzo preconfezionato.
Per gli altri premiati la custodia di pelle riserva il mosaico del I secolo di un… pesce del museo nazionale di Napoli. Il «valletto» Galan con monsignor Andreatta lo assegnano insieme alla magnum delle cantine Provenza a tre simboli tipici dell’imprenditorialità veneta. Paolo Gazzola della Padana Ortofloricoltura di Paese (Treviso) tradisce l’imbarazzo nel sintetico ringraziamento. In bermuda e maglietta viola si presenta Tiziano Gottardo: a Piazzola sul Brenta (Padova) gestisce la distribuzione di prodotti per la casa e l’igiene, ma recita già un ruolo da protagonista nel comparto della logistica che verrà «attenzionato» dalla Guardia di finanza. Infine, Michele Tosetto che si occupa di allestimenti (mostre, fiere, congressi) di esposizioni e trasporti di opere d’arte con la sua società all’interno del Vega di Marghera. Made in Italy in versione Nord Est, come evidenzia monsignore con un pacchiano errore di pronuncia: «Io l’inglese lo odio e lo leggo così com’è scritto, per dispetto agli inglesi…». In compenso, Andreatta non perde il piglio del conduttore e ricorda a tutti che la Biblioteca Vaticana, chiusa da tre anni per restauri, verrà riaperta con la grande mostra degli incunaboli nel braccio Carlo Magno di San Pietro per esplicita volontà di Benedetto XVI. «E l’allestimento è curato da Tosetto!!!».
Ma a Brioni c’è anche un premio «piccolino». Una moneta storica in oro zecchino che Gianni Pesce dona all’amico Giancarlo che finalmente parla al microfono: «In questi mesi si vede chi è opportunista o chi si comporta in modo schifoso. Ma non ho mai dubitato dell’amicizia vera di molto pochi fra cui Gianni. E anche se su di me si fosse abbattuto lo spettro della disoccupazione, ero certo che comunque sarei stato qui con lui e con voi…».
Ecco: proprio sul servizio pubblico della salute in project financing e sulla «concertazione» di ristorazione, pulizie, manutenzioni si dovrebbero riaccendere presto i riflettori. In particolare, spicca il Centro di terapia protonica per la cura dei tumori immaginato a Mestre dal dg dell’Usl 12 Antonio Padoan. Operazione bocciata fragorosamente dall’Unità Ricerca e Innovazione dell’Agenzia regionale sanità con una puntuale, dettagliata e documentata relazione firmata da Costantino Gallo. Giace dal 1 febbraio 2011 sulle scrivanie di Leonardo Padrin, presidente galaniano della commissione Sanità della Regione, e di Domenico Mantoan, massimo dirigente della sanità veneta. Non solo la terapia protonica è ancora sprovvista di evidenze scientifiche per preferirla a quella «convenzionale», ma soprattutto «non è possibile confermare l’ipotesi di 1.900 pazienti annui, estensibili a 4.000, su cui vengono basati tutti i calcoli di convenienza dell’operazione». Nemmeno con la vaga promessa del governo dell’Ungheria di «dirottare» in Veneto i pazienti oncologici che si curano in Germania… E poi Costantino Gallo mette nero su bianco calcoli da brivido: «A fronte di un investimento dei privati di 159.575.000 euro l’Usl 12 verserà nei 19 anni della convenzione 615.571.000 euro più Iva per un totale di 738.685.200 a cui va aggiunto il costo del personale di 34.500.000 euro». Un affare, ma a senso unico.
Eppure, lo stesso «schema» è stato replicato a Trento dall’allora presidente della Provincia Lorenzo Dellai affiancato dall’assessore alla salute Ugo Rossi e dal direttore dell’Agenzia provinciale per la protonterapia Renzo Leonardi. Mega-cantiere nell’area ex Caserme Bresciani (la stessa del progetto di nuovo ospedale) con appalto tecnologico affidato alla belga Iba ed un pool di banche a garantire i 40 milioni di finanziamenti al project delle imprese italiane. I primi test di collaudo della «camera rotante» sono stati completati il 29 luglio scorso: il dossier trentino è stato trasmesso al ministro Beatrice Lorenzin. Si tratta di un’operazione che prevede una spesa complessiva di oltre 92 milioni di euro. L’edificazione edile della nuova struttura di Trento era stata affidata alla Mantovani Spa con in calce al contratto di “partenariato” datato 2009 la firma di Piergiorgio Baita. Oggi grande accusatore dei cannibali della laguna…