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John K. McIlwain
Grande recessione: un taglio netto allo sprawl
21 Aprile 2012
Dalla stampa
Un fenomeno abbastanza chiaro in nord America, ma che - pur in forme diverse - è in corso anche in Europa, e in Italia. Urban Land, aprile 2012 (f.b.)

Titolo originale: The Great Recession: A Slayer of Sprawl – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

La dispersione suburbana, apparentemente inevitabile sparpagliamento di popolazione verso fasce metropolitane sempre più esterne, forse negli Stati Uniti è arrivata alla fine. Se è vero, sarebbe uno dei pochi risultati positivi di questa Grande Recessione e della bolla edilizia.Una analisi del quotidiano USA Today su dati censuari indica come la crescita di abitanti avvenga nelle zone più centrali, nelle circoscrizioni di contea più prossime ai nuclei urbani, mentre quelle verso i margini perdono popolazione dal 2006. Un sorprendente ribaltamento di tendenze, che avviene per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale più di sessant’ani fa. Quello che l’analisi evidenzia in dati dell’ufficio censimento conferma le osservazioni forse meno sistematiche condotte in tutto il paese. I due tipi di zone che appaiono più colpiti dalla crisi e dai pignoramenti sono, decisamente, insediamenti di fascia più esterna e quartieri degradati centrali con popolazione a bassissimo reddito.

Sino al crollo edilizio, erano invece le fasce esterne il luogo dove avveniva la maggior parte delle trasformazioni, dove si trasferivano le famiglie spesso utilizzando finanziamenti sub-prime o altre tipologie rivelatesi poi tossiche. Il crollo ha provocato nuovi quartieri lasciati a metà, spazi vuoti, strade e reti incomplete; case terminate cedute poi in affitto, o tornate a banche e investitori e lasciate vuote.In queste aree non avvengono più trasformazioni, e non è chiaro se e quando quelle lasciate a metà saranno mai terminate. Né si capisce che fine possano fare le case acquisite da banche e investitori, e men che meno se qualcuno costruirà mai nei lotti lasciati vuoti. Anche se quest’anno o il prossimo si stabilizzassero i valori immobiliari, si spera assai poco nel ritorno di un solido mercato della casa, almeno fino a fine decennio. Ciò sta a significare che le fasce suburbane più esterne resteranno in una situazione di stasi per parecchi anni a venire.

Ma l’analisi di USA Today [disponibile in italiano anche su eddyburg] ci mostra solo una anomalia causata dalla recessione, oppure indica un totale ribaltamento nelle modalità di crescita metropolitana? Si può rispondere che esistono ottimi motivi per ritenere superato il paradigma suburbano.Le trasformazioni sono spinte dal mercato, e quello che le ricerche concretamente mostrano è quanto i due gruppi demografici maggioritari, gli ultracinquantenni e la cosiddetta Generazione Y dei loro figli, preferiscano sempre più un modello di vita urbano. I più anziani sono quelli che anni fa nel suburbio ci sono andati, e intendono o invecchiare lì, o trasferirsi altrove, magari in città. Non esiste un mercato che li sposti a risiedere verso fasce più esterne.

La Generazione Y, la più ampia della storia Usa, che oggi ha dai venti ai poco più che trent’anni, in teoria sosterrebbe la classica trasformazione suburbana in quanto acquirente di prima casa. Ma a causa della recessione si compra sempre meno. Ciò è dovuto a un insieme di cause, dalle poco promettenti prospettive occupazionali, allo schiacciante debito contratto a suo tempo per studiare che devono sopportare, e all’ovvio desiderio di non acquistare in una situazione di precarietà del lavoro.E la generazione successiva, quella dei trenta-quarantenni? È la Generazione X che per la prima volta da 70 anni è meno consistente di quella che l’ha preceduta. Il senso di tutto questo per il mercato immobiliare è stato troppo a lungo sottovalutato: significa che la domanda sarebbe stata comunque più scarsa anche senza recessione.

In breve, non esiste alcun consistente gruppo demografico che sia in grado di spingere la domanda immobiliare, per parecchi anni. E ci sono molti che osservano come nei classici quartieri a cul-de-sac suburbani ci siano ormai già oggi case a sufficienza a anche per rispondere ad una eventuale domanda, per anni a venire. Quindi la scarsità nella costruzione di abitazioni unifamiliari da diversi anni potrebbe riflettere qualcosa di diverso dal semplice crollo da recessione.Anche la geografia conferma che quando il mercato dovesse riprendersi, si sarà meno pressione ad espandersi verso le fasce più esterne ai quartieri esistenti e oggi agricole. Ci sono già tante aree inedificate negli anelli urbanizzati esterni. E ci potrebbero volere parecchi anni per riempirle, così come per completare le trasformazioni oggi ferme.

Altro fattore determinante dello sprawl sono le finanze pubbliche. Le circoscrizioni di contea esterne hanno amministrazioni alle strette, senza soldi per nuove strade e altre infrastrutture. Ciò ha determinato un cambio nelle scelte di pianificazione urbanistica, favorevoli a insediamenti più compatti e sostenibili, soprattutto per i loro bilanci.Infine, ma non certo in ordine di importanza, c’è qualcosa che conferma una crisi di lungo periodo: l’immagine del suburbio esterno appare quella di una rosa sfiorita. Che sia per le preoccupazioni sul prezzo della benzina, per il tempo perso negli spostamenti, per la tristezza dell’abitare in posti dove metà delle case sono vuote, il quartiere suburbano esterno non brilla molto. Gli unici a comprare lì sono quelli attirati da prezzi davvero minimi. Ma scopriranno assai presto che credendo di risparmiare vedranno le proprie spese crescere, senza alcun servizio o posto di lavoro vicino. E al momento di venderla, quella casa, non sarà rivalutata, una scelta complessivamente sciocca.

Disastri e tempi difficili accelerano tendenze già in corso, la recessione e la crisi immobiliare non fanno eccezione. La tendenza ad un abitare più urbano cresce lentamente da una ventina d’anni, e oggi accelera. Quello che probabilmente ci dice l’analisi di USA Today è una anticipazione di tendenze di lungo termine: sempre più sviluppo in fasce centrali, sempre meno in quelle più metropolitane esterne. Appare sempre più chiaro che se il secolo scorso è stato quello della suburbanizzazione, quello attuale negli USA è un secolo urbano.

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