il manifesto 1° aprile 2017
Il lacerante grido di dolore denuncia poi l’inaudito, perché fissare un tetto agli stipendi pubblici «significa affermare che il settore pubblico deve rinunciare alle eccellenze professionali che il mercato può offrire».
Il tetto maledetto di cui si discute corrisponde alla miseria di 240mila euro lordi l’anno, più o meno 10mila euro netti al mese per i dirigenti Rai come per tutti i dirigenti pubblici.
Va da sé che il teleutente, obbligato a pagare il canone per assicurare un piatto di minestra a questi poveri lavoratori, sarà certamente preso da un sentimento di solidarietà verso questi dipendenti così ingiustamente colpiti da mamma Rai. E d’ora in poi guarderà ai fazio della tv come a dei poveri perseguitati.
Il coraggioso conduttore mostra finalmente il petto, e con sprezzo del ridicolo afferma di aver fatto una scoperta ancora più sconcertante dell’assalto al portafoglio, di aver cioè constatato «un’intrusione della politica nella gestione della Rai senza precedenti, chiedono di mandare via l’amministratore delegato, danno i voti ai servizi dei telegiornali…». Cose dell’altro mondo accadono alle nostre latitudini televisive e se non fosse per questa voce critica del piccolo schermo, saremmo rimasti a cuocere nella nostra italica ignoranza e non avremmo mai saputo che la politica dirige le danze del cavallo e del biscione.
Una cosa giusta, tuttavia, Fazio la dice: «Siamo pagati dalla pubblicità, non dal canone». Ecco sarebbe ora che chi è pagato dalla pubblicità andasse dove lo porta il conto in banca e che chi, invece, lavora in Rai lo facesse perché vuole offrire a chi paga il canone un servizio, informativo, culturale, di intrattenimento diverso dalla melassa che ci tocca vedere ogni giorno. A cominciare dalla domenica sera.
E non basta dire che c’è il telecomando per cambiare canale perché l’incestuoso rapporto tra partiti e televisione è semplicemente iscritto nel dna del sistema mediatico nazionale. Da Bernabei a Berlusconi la Rai è sempre stata il braccio ideologico del partito di maggioranza relativa, capace di permettersi anche qualche opposizione a sua maestà. Poi dagli anni ’80 del secolo scorso, polo pubblico e polo privato sono stati vasi comunicanti di un mercato inesistente, in un sostanziale duopolio-monopolio imperante. Alla Rai un canone e un tetto per la pubblicità, a Mediaset pubblicità senza confini, in un mercato fittizio presidiato dai partiti. Vasi comunicanti e indistinguibili nella comune rincorsa dell’audience.
In pratica Fazio sostiene che i programmi di cucina della Rai sono di ineguagliabile qualità rispetto a quelli della concorrenza e per questo è giusto che chi li conduce sia pagato anche fino a 3 milioni di euro. E che anche il suo programma, che cucina altri tipi di ingredienti, dall’ultimo presidente del consiglio all’ultimo disco, meriti di essere considerato un valore aggiunto dell’azienda pubblica. Un valore aggiunto senz’altro. Per lui e i suoi cari.
«Tv. Dopo il no dell’avvocatura a limiti dei compensi, la parola passa ora al governo. Il conduttore di «Che tempo che fa» contro il tetto dei compensi fissato a 240 mila euro l’anno. Giletti lo segue a ruota»
Fino a che non si arriva ai quattrini lo sfogo di Fabio Fazio su Repubblica è ineccepibile. Come si fa a negare che negli ultimi anni, non mesi come dice la star di Che tempo fa, si sia assistito a «un’intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti»? Solo che Mr. Valium, come ebbe a definirlo Bono degli U2, non allude alla tasformazione del servizio pubblico, con il suo programma in primissima fila, in grancassa personale di Matteo Renzi. Quella non sembra creargli anzi alcun problema. La nota dolente è che «la politica si è intromessa nella gestione ordinaria di un’azienda, addirittura nei contratti tra viale Mazzini e gli artisti». Tradotto in italiano significa che la politica minaccia la sua cospicua prebenda, con l’obiettivo di tagliarla fino a 240mila euro. Una miseria.
I conduttori a rischio di drastico impoverimento premono su una breccia già aperta dal parere dell’Avvocatura dello Stato, richiesto dal governo. Verdetto drastico: benissimo il tetto in questione per manager e dipendenti Rai, ma non per le star dal momento che, in forza di una norma varata con la Finanziaria del 2007, «la prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato» non deve essere soggetta a vincoli di sorta. Poco male se il risultato è un paradosso per cui i superpagati dall’azienda pubblica sono apprezzati grazie alle imperiose leggi del mercato, ma allo stesso tempo sono anche messi al riparo dalle intemperie proprie del mercato stesso.
La politica replica al j’accuse di Fazio almeno in apparenza a muso duro. Anzaldi, il renzianissimo segretario della Commissione di vigilanza, giura che «il Pd non ha smarrito la strada: non abbiamo riformato il canone per permettere a una piccola casta di sopravvivere». Brunetta compensa il noto malanimo di Forza Italia per il presentatore più apertamente Pd che ci sia chiamando in causa anche il ben più amato da Arcore Bruno Vespa: “Vogliamo chiarezza sui maxstipendi della Rai, per i dj come Fazio e per i giornalisti come Vespa. Se vogliono il mercato che vadano sul mercato». I toni più duri arrivano dall’M5S, che ironizza sul «coraggio da leone» che il solitamente mansueto Fabio scopre «solo quando gli toccano i soldi: non risulta che per lui la lottizzazione fosse un problema», e soprattutto da Sinistra italiana.
Per la capogruppo al Senato Loredana De Petris, “la rivolta delle star è scandalosa. Sarebbe però ancora più grave e invierebbe un messaggio devastante se il governo cedesse a pressioni e ricatti». Il governo farà sapere se intende cedere oppure no solo il 15 aprile. Per ora mantiene il silenzio ed evita di replicare all’intemerata di Fazio. Nel cda, dal quale proviene la delibera della discordia, ci sono posizioni diverse. Franco Siddi ammette sì che «tetto o no i compensi milionari dovranno essere valutati con grande attenzione», però boccia la strada sin qui indicata perché “ha introdotto una camicia di forza», rischia «di privare la Rai dei migliori talenti sul mercato» e «di essere un favore alle componenti commerciali del sistema».
Arturo Diaconale, anche lui consigliere Rai, è di parere opposto: «Le dichiarazioni di Fazio e Giletti sono la conferma che dobbiamo mantenere la posizione. Se vogliono stare sul mercato, allora ci stiano. Se ci sarà un intervento del governo ci atterremo, ma da solo il parere dell’Avvocatura per noi non basta. Per l’applicazione della delibera la deadline è aprile. Il governo ha un mese».
Entro il mese, quasi certamente, l’intervento del governo ci sarà. In fondo, ben prima delle star, era stato il Mef a suonare l’allarme. Urge smerciare all’estero, e di fronte a questo imperativo non c’è tetto che tenga.