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Norma Rangeri
Giulio Regeni, una tragedia italiana
6 Febbraio 2016
2016 Giulio Regeni assassinio di stato
Riprendiamo alcuni articoli dal quotidiano che ha seguito con maggiore attenzione la tragedia che è avvenuta al Cairo, e che prosegua ancora, Articoli di Norma Rangeri, Giuseppe Acconcia, Mona Seil.
Riprendiamo alcuni articoli dal quotidiano che ha seguito con maggiore attenzione la tragedia che è avvenuta al Cairo, e che prosegua ancora, Articoli di Norma Rangeri, Giuseppe Acconcia, Mona Seil.

Il manifesto, 6 febbraio 2016



EGITTO,
IN MOTO LA MACCHINA DELL'OBLIO
di Giuseppe Acconcia

Egitto. Fonti di polizia in Egitto hanno riferito di due arresti legati al caso Regeni. Una nota degli inquirenti ha escluso che l’omicidio Regeni abbia riferimenti «terroristici o politici» ma «si tratterebbe di un atto criminale». Oggi alle 13 la salma arriverà a Roma

Vogliamo la piena verità sulla scomparsa di Giulio Regeni. Le autorità egiziane hanno già messo in moto la macchina dell’oblio sulla tragica vicenda del dottorando italiano, trovato morto al Cairo nel quartiere di 6 ottobre mercoledì scorso. Sono bastate le prime ricostruzioni del Capo dipartimento per le indagini generali del governatorato di Giza, Khaled Shalaby, per giustificare le ricostruzioni che hanno legittimato la pista dell’incidente stradale.

Le rivelazioni che erano emerse da una prima indagine sul corpo del dottorando friulano, effettuate dal procuratore Ahmad Nagi nell’obitorio Zeinum di Sayeda Zeinab, nel centro del Cairo, avevano fatto emergere particolari inquietanti. La stampa locale ha fatto riferimento ad un «corpo bruciato» a cui si erano aggiunte le atroci rivelazioni su segni di tortura e maltrattamenti. Questo quadro fa pensare senza dubbio ad un coinvolgimento della polizia nel fermo, scomparsa e uccisione di Giulio.

Un team di investigatori italiani seguirà le indagine al Cairo per stabilire la verità sul caso. Gli investigatori hanno fatto sapere che sarà effettuato un esame tossicologico sul corpo del giovane.

Il pm Sergio Colaiocco aveva ipotizzato il reato di omicidio volontario e avviato una rogatoria internazionale per avere dalle autorità egiziane copia degli atti compiuti dal momento del ritrovamento della salma.

Ma qui si impongono domande necessarie che sarà importante demandare all’equipe di medici che effettueranno l’autopsia italiana una volta che la salma sarà in Italia oggi alle 13. Per esempio, quando è stato ucciso Giulio? Subito dopo la scomparsa o qualche giorno dopo? Già questo potrebbe dare un’indicazione più precisa sulle cause della morte.

A quel punto bisognerebbe capire se i tagli sul corpo sono i segni di una detenzione prolungata. E quindi come è morto Giulio? Alcune ricostruzioni hanno parlato di un violento colpo alla testa.

Anche queste sono prove compatibili con le molestie che centinaia di persone comuni subiscono quotidianamente nelle carceri egiziane.

E poi ovviamente la domanda più importante è chi ha ucciso Giulio e perché lo ha fatto? Non ci sono legami certi tra la ricerca sul sindacalismo indipendente e le cause della scomparsa.

Eppure poche ore dopo la diffusione della notizia della sua sparizione, il quotidiano filo-governativo al-Ahram aveva già diffuso un identikit del giovane e degli ambienti che frequentava.

Fonti di polizia in Egitto hanno riferito di due arresti legati al caso Regeni. Una nota degli inquirenti ha escluso che l’omicidio Regeni abbia riferimenti «terroristici o politici» ma «si tratterebbe di un atto criminale».

Anche la pista della rapina finita male o dell’atto di criminalità comune sembrano un’offesa grave per la memoria di Giulio. La data del 25 gennaio è già di per sé un elemento chiaro che rende evidente la pista dell’arresto. Il dispiegamento di forze dell’ordine e la tensione era alle stelle a causa delle possibili manifestazioni.

E poi Giulio, solo perché straniero, era già passibile di fermi della polizia. Lo spiega bene su Twitter l’attivista Mona Seif, moglie di Alaa Abdel Fattah, socialista in prigione per le sue campagne contro i processi militari civili e il suo impegno anti-regime, più volte intervistato dal manifesto. «Se siete stranieri per favore non venite in Egitto. Almeno non adesso. Finché non saremo capaci di darvi un minimo di sicurezza e un trattamento adeguato da parte della popolazione e delle autorità», ha scritto Mona (v. a pagina 3 il testo integrale dell’appello). L’attivista fa riferimento proprio al clima di xenofobia instillato negli egiziani e che sarebbe alla base degli interventi sommari della polizia.

Un primo piccolo funerale egiziano si è svolto al Cairo prima della partenza della salma. È possibile che si tenga una veglia funebre a Roma nelle prossime ore.

Anche i social network si sono mobilitati per una dimostrazione di solidarietà nei confronti di Giulio Regeni chiedendo a compagni e amici di portare dei fiori ai cancelli dell’ambasciata egiziana a Roma in segno di solidarietà con il giovane. Il noto fumettista Carlos Latuff ha voluto ricordare Giulio rappresentandolo abbandonato in una pozza di sangue, assieme ad altri corpi esanimi, in un veicolo della polizia egiziana: «Un’altra vittima del regime di terrore di al-Sisi».


IL DOLORE E GLI AVVOLTOI
di Norma Rangeri

Tutto il manifesto in questo momento è accanto alla famiglia di Giulio Regeni, per condividere con i genitori il dolore di chi ha perso un figlio nel modo più crudele e violento. Un ragazzo che li rendeva orgogliosi perché studiava e univa l’impegno civile al suo lavoro di ricercatore. Una giovane persona curiosa del mondo, attenta ai problemi sociali di un paese dove il dissenso non solo non viene tollerato ma è selvaggiamente represso con il carcere, le sparizioni, le uccisioni.

Della sua profonda passione e della forte partecipazione alle vicende di quel paese è del resto piena testimonianza l’articolo che ieri abbiamo pubblicato sul nostro sito, e poi sul giornale. E’ il racconto, preciso e appassionato, di un’assemblea sindacale. Giulio spiega la difficoltà dei lavoratori del settore pubblico, la mancanza di democrazia nell’organizzazione del sindacato egiziano, e la fatica di opporsi al programma di privatizzazioni iniziato ai tempi di Mubarak in un paese ormai martoriato dalla repressione feroce di un regime sanguinario. Nel suo reportage si approfondisce l’analisi sociale e se ne ricava il giudizio politico, con la consapevolezza che tutto, libertà, lavoro e diritti, viene oggi giustificato, in quel paese, dalla guerra al terrorismo. E forse, leggendolo, la polemica nata attorno all’affrettata diffida scritta a nome della famiglia, potrà stemperarsi e trovare nella concitazione di quelle ore terribili, la sua unica, comprensibile spiegazione.

Ma nulla, purtroppo, può sfamare gli avvoltoi che hanno infierito in queste ore su Giulio Regeni. [q avvoltoi che vivono nella Rete e che lo hanno arruolato nei servizi segreti italiani coprendo la sua vita di fango, come a giustificare la sua morte [qui in calce uno degli ' avvoltoi' cui si riferisce Rangeri-ndr]. Purtroppo a questi bassifondi dell’informazione siamo abituati perché, come abbiamo scritto, siamo un giornale di frontiera che ha già vissuto sulle sue povere ma robuste spalle altri drammi e tragedie, sempre e solo legate all’impegno politico e giornalistico, al dovere di testimoniare. E così è stato anche nella terribile vicenda di questo ragazzo che aveva appena iniziato a scrivere per noi perché considerava «un piacere poter pubblicare sul manifesto», considerandolo «il giornale di riferimento in Italia», come scriveva nelle mail.

Oggi il suo corpo viene restituito al nostro paese. E mentre cominciano a emergere particolari sulle torture subite, il dittatore egiziano si mostra cortese e comprensivo verso il governo italiano messo nel grave imbarazzo di ritrovarsi il cadavere di un giovane italiano mentre discute di affari con il nostro ministro dello Sviluppo economico. L’incidente va archiviato, magari con la punizione esemplare di qualche poliziotto (si parla di due arresti). Uno di quelli indicati da Mona Seif, nota attivista dei diritti umani, autrice di un appello agli stranieri di non recarsi in questo momento nel suo paese dove «qualsiasi poliziotto di qualsiasi grado si sente in diritto di detenere e magari torturare chiunque cammini per strada».

Il caso Regeni va dunque risolto il più rapidamente possibile, così da riprendere presto le normali, anzi, le privilegiate, relazioni tra l’Egitto e l’Italia. Un punto fermo della nostra politica internazionale, una corsia preferenziale sullo scacchiere mediorientale, specialmente in vista di probabili, ravvicinati interventi militari in Libia, con il dittatore Al-Sisi schierato dalla parte giusta. Si chiama real-politik.


IL 'GIORNALE' GIOCA ALLE SPIE

Giulio Regeni «era un agente dei servizi segreti». Al Giornale è bastato aggiungere la parola «mistero» ed ecco un pezzo pronto per l’edizione online di ieri mattina, merce ideale da dare in pasto ai calunniatori del web.
Merce avariata, pescata dai bassifondi della rete (dal blog del «giornalista investigativo» Marco Gregoretti) secondo la quale Giulio «era un agente dell’Aise», cioè l’ex Sismi, che si occupa di terrorismo internazionale. Selezionato dall’intelligence «qualche anno fa» (Regeni al momento in cui è stato ucciso al Cairo aveva 28 anni) per le sue «buone conoscenze informatiche» e «master vari». Secondo Gregoretti e secondo il Giornale «si trovava in Egitto con la scusa della tesi di laurea» – si trattava in realtà della tesi di laurea per l’università di Cambridge.
E chissà che ad emozionare questi giornalisti investigativi non sia stata proprio l’università di Cambridge. Avranno visto anche loro qualche film sui «magnifici cinque» di Cambridge, gli agenti segreti inglesi che proprio in quel famoso college si erano incontrati e che facevano il doppio gioco per l’Unione sovietica, il più noto dei quali era Kim Philby. Tant’è che secondo il Giornale e la sua fonte era proprio «la collaborazione giornalistica» di Regeni «con il manifesto» a «funzionare da perfetta copertura». Peccato che Giulio aveva mandato i suoi pezzi al nostro giornale chiedendoci di pubblicarli con uno pseudonimo, cosa che abbiamo fatto: una ben strana copertura – il dettaglio dev’essere sfuggito a questi giornalisti investigativi. Che investigando investigando avrebbero scoperto altri spioni al manifesto: «È successo nel passato». Giornalisti spioni? Certo che è successo, e nella redazione di Sallusti dovrebbero conoscerne qualcuno.

E così ieri mattina, qualche ora dopo lo «scoop» del sito del Giornale, ecco la smentita «con stupore e costernazione» che arriva da fonti dell’intelligence italiana. Secondo le quali si tratta di «inqualificabili falsità e strumentalizzazioni». Sono fonti anonime, ovviamente. E del resto il giochino di questi giornalisti investigativi era fin troppo prevedibile: i servizi segreti avrebbero smentito in ogni caso. Ma al sito del Giornale poco dopo non è rimasto che prendere atto. Sparito il «mistero» accanto alla notizia è comparso un aggettivo: «Presunta»


L’APPELLO DI MONA SEIF:
«STRANIERI NON VENITE IN EGITTO»
di Mona Seif
Mona Seif, 29 anni, è tra le più famose attiviste per i diritti umani dell’Egitto post Mubarak. Il fratello Alaa Abd El-Fattah è stato più volte incarcerato come leader del movimento di piazza Tahrir e ha subìto l’ultima condanna a 5 anni di carcere nel 2015. Mona ha seguito lo sviluppo tragico del caso di Giulio Regeni e ieri è tornata su Facebook per rivolgere un appello agli stranieri che vogliono venire Egitto. È un duro atto di accusa del clima di violenza, diffidenze, intimidazione, che si vive in Egitto. Ecco l’appello:

«Questo è un messaggio sincero: Se siete uno straniero PER FAVORE non venire in Egitto. Almeno non adesso. Non venire finché non saremo capaci di darti un minimo di sicurezza e un trattamento adeguato da parte della popolazione e delle autorità. Non venire finché i media continuano a istigare le persone, spingendole a dubitare di qualsiasi straniero incontrato per strade come se fosse una spia potenziale che cerca di distruggere il loro Paese, non venire finché qualsiasi poliziotto di qualsiasi grado si sente in diritto di detenere e magari torturare senza motivo chiunque cammini per strada, e non finché questo stato di paura/dubbio spinge ognuno a prendere le questioni nelle proprie mani.

«Non venire finché la polizia si trova ad orchestrare molti dei rapimenti, e quando non è direttamente implicata è totalmente inutile nell’opera di prevenzione dei crimini, nel proteggervi, e persino nel rivelare quanto è accaduto dopo che è accaduto.

«Per favore state lontani da questo paese che è piagato dalla morte e dall’orrore in ogni suo angolo, finché non riusciremo in qualche modo a riconquistare uno spazio comune sicuro per tutti, per quelli che vivono qui e per coloro che vengono da fuori.

«Se insistete nel venire a studiare o anche solo a visitare o esplorare l’Egitto adesso, siate pienamente consapevoli dei veri rischi che si corrono anche solo camminando per strada, anche solo esistendo.

«Mi dispiace molto per la famiglia e gli amici di Giulio Regeni.

«Noi ci siamo così abituati alle notizie quotidiane di torture, rapimenti e morti che le abbiamo quasi accettate come parte integrante delle nostre identità, un prezzo inevitabile per il nostro essere cittadini. Ma non riesco a immaginare cosa si possa provare nel perdere una persona amata per questo orrore, e in un paese così lontano da casa. Mi dispiace molto che il calore e l’entusiasmo che Giulio aveva per l’Egitto siano stati ripagati con tanto dolore e tanta crudeltà».

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