La Repubblica, 3 marzo 2016
La spoliazione più vasta e sfacciata inferta, in età moderna, a una storica biblioteca italiana, lo splendido complesso monumentale che si apre nel cuore della Napoli antica a due passi dal Duomo, deve essere ripagata così come stabilito già in primo grado dai magistrati contabili campani a carico dell’ex direttore del complesso, Marino Massimo De Caro, e dell’ex conservatore Sandro Marsano, già condannati dalla sezione campana al pagamento di oltre 19 milioni di euro, in favore dei Girolamini.
Per i giudici, l’opera di spoliazione architettata e realizzata da De Caro è stata «tanto scientifica e pianificata da inglobare e travolgere ogni possibile pregressa incuria o disattenzione». D’altro canto, per le responsabilità di De Caro come regista del clamoroso saccheggio, parlano interi faldoni di atti processuali a carico dell’ex direttore così benvoluto dall’allora ministro Galan, e amico devoto del noto bibliofilo ed ex potentissimo senatore Marcello Dell’Utri, anch’egli coinvolto nello scandalo e indagato per concorso in peculato. De Caro è infatti già stato condannato a sette anni, con sentenza passata in giudicato, per peculato, mentre è ancora imputato in un altro processo con le accuse di associazione per delinquere, devastazione e saccheggio.
Una storia che aveva sconvolto il mondo della cultura internazionale, e i più grandi studiosi del libro antico. E parallelamente all’inchiesta penale, il sostituto procuratore Francesco Vitiello della magistratura contabile mette nel mirino l’enorme danno originato dalla spoliazione pianificata da De Caro, complice don Marsano. Almeno 4mila testi preziosi volati via dagli antichi scaffali. Spuntano varie intercettazioni. E ora il Senato dà l’ok al loro utilizzo. In una, Dell’Utri chiede sornione a De Caro: «Massimo, fammi il prezzo ». Stavolta lo hanno deciso i giudici.
La Corte dei Conti condanna i saccheggiatori per «l’amputazione delle pagine recanti note di possesso; la devastazione patita dai libri malamente stipati in scatoloni o esposti alla luce, o all’umidità; l’asportazione di tavole; i tagli, abrasioni, strappi, scompaginamenti, lavaggi corrosivi...». Quale ‘bibliofilia’ anima quel mercato internazionale che ha tanto beneficiato del massacro dei Girolamini? C’è bisogno di un amore diverso: non il possesso esclusivo, ma la condivisione più larga. Altrimenti, quando la Procura toglierà i sigilli alla Biblioteca, il rischio è che essa ricada nella marginalità che è stata la premessa della devastazione.
Questa volta, l’università potrebbe fare la differenza. Andrea Mazzucchi (filologo della letteratura italiana presso la Federico II di Napoli) sta lavorando ad un progetto che collochi ai Girolamini la prima Scuola di filologia materiale d’Italia: dove ogni anno una ventina di laureati si formi sullo studio dei manoscritti (paleografia, diplomatica, filologia), catalogando (e dunque mettendo in sicurezza) l’enorme quantità di codici conservati nelle biblioteche meridionali, a partire proprio dai Girolamini. Accanto a questo cuore pulsante, una struttura che redistribuisca la conoscenza: le sale e i chiostri dell’enorme complesso tra Via Duomo e il decumano si aprirebbero alla cittadinanza. Non un museo, ma il primo grande centro per il libro del Meridione: dove i ragazzi delle scuole, i pensionati e i bambini possano partecipare a letture pubbliche, spettacoli, caffé letterari. Il progetto ha il sostegno dell’Ateneo, e ha un parziale finanziamento: se il Ministero per i Beni culturali vorrà, potrà partire subito.
In fondo era il sogno di Giuseppe Valletta (1636-1714), padre del pensiero illuminista napoletano: che spiegò ad un papa che l’In-quisizione si era incattivita perché finalmente «si erano fuori de’chiostri dilatate le lettere, e propagata nella nostra patria la filosofia». I libri di Valletta sono ai Girolamini: a perorarne l’acquisto fu il più illustre frequentatore della biblioteca, Giovan Battista Vico. Dilatando fuori da quei chiostri l’amore per i libri si avvererebbe anche un altro sogno. Nell’ottobre del 1980 il governo decise di fare dei Girolamini una scuola di studi filosofici, diretta da Gerardo Marotta: «un provvedimento coraggioso — scrisse Luigi Firpo — illuminato dalla fede laica nell’intelligenza e nella volontà rivolte al bene comune ». Nemmeno un mese dopo, il terremoto dell’Irpinia cancellò quella svolta, riducendo i Girolamini a ricovero per gli sfollati.
Stavolta ci si deve riuscire. Roberto Saviano ha spiegato perché Napoli è un buco nero, che inghiotte il proprio futuro. Poche cose possono cambiare il destino di una comunità quanto la produzione di conoscenza: non il marketing dei capolavori che sradica i Caravaggio, non la fabbrica degli eventi. Un centro per la formazione alla lettura piantato nel cuore di Napoli, invece, sarebbe più potente di qualunque presidio militare, più carico di futuro di qualunque tattica politica.