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Tomaso Montanari
Giacimenti miraggio
2 Marzo 2012
Beni culturali
Dietro il così detto “manifesto per la cultura”, molta retorica e opachi interessi. Corriere del Mezzogiorno, 2 marzo 2012 (m.p.g.)

A Napoli, duecento lavoratori del patrimonio culturale protestano contro la loro condizione precaria, e chiedono di essere stabilizzati: «Senza di noi –dicono – il Museo Nazionale Archeologico sarà costretto a chiudere». Davvero un brusco ritorno alla realtà, dopo la retorica stantia e nebulosa del cosiddetto ‘manifesto per la cultura’ lanciato in pompa magna dal supplemento culturale del quotidiano di Confindustria.

A trent’anni dalla nascita della ‘dottrina del petrolio d’Italia’ fondata da Gianni De Michelis, siamo ancora in piena ideologia dei giacimenti culturali: guardiamo al patrimonio come a qualcosa da sfruttare per ricavarne la massima rendita possibile. La conseguenza è un’economia dei beni culturali essenzialmente parassitaria, ben simboleggiata dalle strapotenti società di servizi che lavorano grazie a un sistema di concessioni a dir poco opaco, e che stanno cambiando radicalmente in senso commerciale la stessa politica culturale del Ministero per i Beni culturali.

Questo sistematico drenaggio delle risorse pubbliche verso tasche private non ha neanche la legittimazione della creazione di posti di lavoro: tutto si basa su un cinico sfruttamento di lavoratori precari, spesso anche molto qualificati (come gli storici dell’arte e gli archeologi che escono dai dottorati delle università italiane).

Se vogliamo davvero aprire una riflessione sui rapporti tra pubblico e privato nel mondo dei beni culturali, il punto di partenza non può essere la fantasiosa celebrazione delle magnifiche sorti e progressive di un nuovo mecenatismo italiano (di cui, francamente, non si vede traccia), ma una seria analisi della sorte dei duecento precari di Napoli.

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