«Se mi convocheranno parlerò alla commissione d’inchiesta: in Parlamento, non sui giornali, risponderò ovviamente a tutte le domande che mi faranno». Il muro del no comment regge, ma un forellino per guardarci attraverso si nota. Federico Ghizzoni, il banchiere più inseguito d’Italia, dribbla i tanti giornalisti venuti ad aspettarlo sotto la casa di campagna. Ma a chi insiste di più fa capire meglio il suo stato d’animo, la sua voglia di togliersi quello che è diventato un peso. Quando il campo sarà sgombro dalle strumentalizzazioni mediatiche, che a ore alterne lo vogliono ariete dell’opposizione o parafulmine del governo, darà il suo contributo di cittadino perchè si chiariscano i rapporti tra la maggioranza, la sua icona Maria Elena Boschi e la Banca dell’Etruria, saltata nel 2015 mentre il padre e il fratello dell’allora ministra operavano ai piani alti. «Adesso non parlo, perché non si può mettere in mano a un privato cittadino la responsabilità della tenuta di un governo – si è sfogato Ghizzoni dopo il pranzo domenicale, consumato prudenzialmente in casa -. E’ un caso della politica, sarebbe dovere e responsabilità della politica risolverlo ».
Il manager ha cercato di santificare le feste. È andato a messa come ogni domenica nella frazione dove abitavano i genitori sui colli del fiume Trebbia. Poi ha avuto l’idea “normale” di andare far la spesa per il pranzo: e s’è accorto, dalla schiera di cronisti che l’aspettava in paese per interrogarlo, di dover reggere suo malgrado le sorti del renzismo redivivo, ruolo cui l’ha chiamato Ferruccio de Bortoli nel libro Poteri forti ( o quasi). Sono bastate 13 righe, dove si legge che a inizio 2015, quand’era amministratore delegato di Unicredit, avrebbe valutato su diretta richiesta di Maria Elena Boschi l’acquisizione di Banca Etruria, in dissesto e prossima al commissariamento.
La linea di Ghizzoni non è cambiata: volare basso, lontano da riflettori e polemiche. «Qualsiasi cosa dicessi ora, sarebbe strumentalizzata da una parte politica contro l’altra, e contro di me - si limita a dire ai giornalisti che saliti in collina -. Oltre poi al fatto che quando studiavo da banchiere mi hanno insegnato che la riservatezza è una virtù». L’orientamento di fondo emerso da giorni non va tuttavia scambiato per reticenza, o disinteresse verso i temi di primo piano: Ghizzoni lo ha chiaro in testa, e non lo nasconde agli intimi. «Anche se sono una persona emotiva, e in questi giorni la pressione mediatica su me e la mia famiglia è notevole, mi sento assolutamente sereno – ha confidato il banchiere che guidò Unicredit dal 2010 al 2016 -.
Se mi convocheranno sono disposto a rispondere a tutte le domande della commissione d’inchiesta parlamentare: ho letto che partirà presto, mi auguro sia vero». Non ha nessuna voglia, il figlio del grande latinista emiliano Flaminio, di strumentalizzazioni usate per secondi fini. Vorrebbe tanto, Ghizzoni, che il pallino tornasse nelle mani delle istituzioni, mentre lui aspetta defilato che la polvere si posi, studia agende e carte passate con il legale di fiducia (anche se finora delle querele annunciate da Boschi ci sono solo gli annunci), e soprattutto si tuffa con entusiasmo nei nuovi incarichi, molto operativi e pieni di viaggi e rapporti con i clienti, nel fondo Clessidra e nella banca d’affari Rothschild.
Tuttavia nella prima settimana del caso “la politica” è sembrata curarsi più degli effetti mediatici che di ricostruire ruoli e responsabilità degli attori nel crac di Banca Etruria. Finora non sembra che i politici abbiano imitato i giornalisti, nel chiamare Ghizzoni per chiedergli se abbia ricevuto richieste dirette da Maria Elena Boschi in quei giorni, quando la ministra stava in pena per il padre vicepresidente della “banca dell’oro”; o per sapere se è vero che affidò il dossier Etruria alla dirigente di Unicredit Marina Natale, e come l’ipotesi di rilevarla venne rapidamente accantonata a inizio 2015. Ai giornali Ghizzoni ribatte con una fila di “no comment”, senz’altri dettagli: anche se le mezze parole e le mancate smentite di questi giorni fanno supporre che qualche scambio di idee con la ministra Boschi sul dossier ci sia stato davvero. «E’ normale che politici e banchieri si parlino, specie nelle situazioni di crisi» è un’altra frase che Ghizzoni ripete questi giorni.
La Commissione d’inchiesta sul credito può rivelarsi dunque una macchina della verità preziosa. Anche se la cornice - tra Renzi che invoca chiarezza, Boschi che smentisce e annuncia querele, de Bortoli che conferma la versione e non le teme, Ghizzoni prudente in attesa di testimoniare in Parlamento - fa somigliare sempre più il caso Etruria a un poker dove qualcuno sta bluffando.