A Gerusalemme, nel luogo sacro a più religioni, ciò che si oppone alla pace e fomenta lo scontro non è il contrasto tra le fedi, ma la lotta di Israele per imporre il proprio potere oltre ogni limite. Articoli di Michele Giorgio, Zvi Schuldiner e intervista a Uraib al Rintawi. il manifesto, 22 luglio 2017
«Gerusalemme. Scontri intorno alla Spianata delle moschee e in Cisgiordania. Oltre ai tre morti la Mezzaluna rossa parla di 390 feriti. E ora si parla di una nuova Intifada in risposta alle politiche di Netanyahu»
Quattro giovani palestinesi uccisi, 390 feriti o contusi. Per Gerusalemme Est è stata una delle giornate più insanguinate degli ultimi anni. Cariche della polizia israeliana contro manifestanti palestinesi, con fuoco ad altezza d’uomo, come quelle di ieri non si vedevano dal 2014, quando le tensioni e la rabbia innescate dall’omicidio del 15enne Mohammed Abu Khdeir, compiuto da estremisti israeliani per vendicare il sequestro e l’assassinio di tre adolescenti ebrei, per giorni trasformarono la zona araba di Gerusalemme Est in un campo di battaglia. Quanto si è visto ieri è stata la ovvia conseguenza della decisione del premier israeliano di non rimuovere – malgrado, secondo i media, il parere favorevole dei servizi di sicurezza – i metal detector installati ad alcuni degli ingressi della Spianata delle moschee di al Aqsa e della Roccia dopo l’attacco armato palestinese della scorsa settimana (due poliziotti uccisi).
GUIDA AI CONFUSI
SU ULTRADESTRA E ISLAMOFOBIA
di Zvi Schuldiner
Dunque, badarono a frenare i fondamentalisti ebrei che sognavano il ripristino del tempio, elemento centrale delle concezioni messianiche – il tempio la posto delle moschee. Ma nel 1996, poco dopo essere diventato primo ministro, Benjamin Netaniahu, ebbro del successo elettorale, ordina di aprire un tunnel che porta alla Spianata.
Esplodono gli scontri: cento palestinesi e 17 soldati israeliani rimangono uccisi. Il premier è costretto a fare alcune concessioni ad Arafat rispetto a Hebron. Nel 2000, il premier Ehud Barak autorizza la visita di Ariel Sharon alla Spianata e la provocazione innesca la seconda Intifada. Nel frattempo altri incidenti provocano non poche vittime.
La settimana scorsa, tre israeliani, arabi palestinesi della città di Um El Fahem, imbevuti di ideologia fondamentalista (oppure no) portano nottetempo armi nella moschea e il giorno seguente attaccano i poliziotti in servizio, uccidendone due; gli aggressori sono a loro volta uccisi.
Come se non bastasse, i tre poliziotti morti sono drusi; un fatto che aggiunge benzina al fuoco delle tensioni fra arabi israeliani e drusi israeliani.
L’impulsivo ministro della polizia Gilard Ardan, schierato all’estrema destra, è il nuovo eroe. Più veloce di qualunque pensiero – va detto che l’attuale governo israeliano si distingue per l’incapacità di riflettere – induce Netanyahu a compiere passi che aggravano la tensione in un luogo pericoloso come la dinamite.
Senza consultare i giordani – con i quali, seppure in modo semiufficiale, vengono in genere prese le decisioni rispetto alla Spianata –, il governo israeliano dichiara il divieto di accesso alle moschee per due giorni, «per ragioni di sicurezza» e fa disporre telecamere di sorveglianza e metal detector, destinati a controllare e a bloccare l’ingresso di altre armi.
I leader religiosi musulmani non accettano queste apparecchiature, sostenendo che si tratta di una violazione dello status quo deciso fra le parti – israeliani, palestinesi, giordani. La polizia – grazie al suo problematico ministro – sostiene che si tratta di un passo minimo necessario per questioni di sicurezza e che ci sono telecamere sul Muro del Pianto, a cento metri di distanza, come negli aeroporti, nei supermercati e via dicendo.
Ma l’esercito israeliano e i servizi segreti fanno notare che, benché in effetti le apparecchiature di sicurezza siano in uso in molti luoghi, nel caso specifico sarebbe raccomandabile rimuoverle perché provocano tensioni e potrebbero far deflagrare nuovamente la situazione. Insomma, suggeriscono una visione strategica e chiedono al primo ministro di trovare la formula per una «ritirata onorevole».
Sabato notte il premier va in Francia, baci e abbracci con il giovane presidente; poi si reca da amici veri, in Ungheria. Netanyahu si sente a proprio agio con gli ultrà di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Ebbene, l’Europa deve capire che Israele è la frontiera che bloccherà la barbarie musulmana; invece di criticare lo Stato ebraico, gli europei devono rendersi conto che è una ricetta per la vittoria, altrimenti saranno sconfitti. In soldoni, è questo l’ammonimento che il grande premier dà agli statisti europei che non capiscono troppo bene la situazione laggiù.
Poi Netanyahu torna in patria e si trova di fronte a un grave dilemma. L’ultradestra spiega che la discussione non verte intorno alle telecamere e ai metal detector; piuttosto, è in gioco la sovranità del paese e il governo deve sottolineare con forza che Israele è sovrana anche sulla Spianata, senza arrendersi alle pressioni dall’estero o alla minaccia di situazioni esplosive.
Netanyahu non può mostrarsi meno radicale dei suoi alleati di destra e va avanti nella direzione suggerita dalla polizia.
Un morto, due, venti? Non ha importanza. Il punto è come fare per impedire qualunque accordo suscettibile di portare a una pace israelo-palestinese. Stavamo dimenticando l’annuncio del ministro dell’habitat che ha un magnifico programma: costruire case secondo piani che dividerebbero ulteriormente la Cisgiordania occupata.
LA SPARTIZIONE DI AL AQSA
È UN PROCESSO GIÀ IN ATTO
intervista di Michele Giorgio
«Intervista. Parla l'analista Uraib al Rintawi: il governo israeliano punta a dividere la Spianata delle moschee ma le sue politiche aggressive a Gerusalemme frenano la "normalizzazione" con i Paesi arabi»
Sulle ragioni delle proteste palestinesi e le implicazioni in Medio Oriente della crisi a Gerusalemme e delle politiche del governo Netanyahu, abbiamo intervistato l’analista arabo ed editoralista del quotidiano al Dustour Uraib al Rintawi.
Le nuove misure israeliane per la Spianata delle moschee hanno innescato proteste e manifestazioni a Gerusalemme che non si vedevano dal 2014.
«L’escalation era inevitabile. Ed è destinata ad aggravarsi se il governo Netanyahu non revocherà subito le misure che ha annunciato per la Spianata della moschea di al Aqsa e non farà rimuovere subito i metal detector installare sul sito religioso. I palestinesi sanno che sul piatto c’è la difesa dello status quo per la Spianata delle moschee che è in vigore da 50 anni. Il fatto che Netanyahu descriva come temporanee le misure varato è un altro campanello d’allarme perché tutto ciò che per Israele ha un carattere transitorio nei Territori palestinesi occupati poi si è rivela permanente«.
I palestinesi denunciano un tentativo di Israele di creare sulla Spianata delle moschee una situazione simile a quella della Tomba dei Patriarchi ad Hebron, ossia la spartizione dell’area in cui sorgono le moschee di Al Aqsa e della Roccia di Gerusalemme considerata dall’Ebraismo il Monte del biblico Tempio.«Non si tratta di un tentativo ma di un piano a mio avviso molto concreto e in atto. La storia insegna come l’applicazione di presunte misure di sicurezza da parte Israele si sia poi rivelata il percorso per realizzare progetti politici. I segnali sono chiari, è sufficiente osservare in quali aree sono stati installati i metal detector sulla Spianata per rendersi conto, che di fatto, tracciano una bozza di divisione del sito. Ed è significativo che, nel frattempo, nonostante la tensione, sia garantito l’accesso sulla Spianata ai turisti israeliani che in realtà non sono turisti ma estremisti religiosi che spingono per la ricostruzione del Tempio ebraico, coloni ed esponenti della destra radicale. L’attacco armato della scorsa settimana in cui sono stati uccisi due poliziotti ha fornito alle autorità israeliane un pretesto per avviare la realizzazione di piani che erano nel cassetto da tempo».
LE CHIESE CRISTIANE
A DIFESA DEI LUOGHI DELL'ISLAM
di red.
«Gerusalemme. I patriarchi e gli arcivescovi delle chiese della Città Santa chiedono il rispetto di al-Aqsa e il diritto dei musulmani alla preghiera. E ieri, a pregare fuori dalla Spianata, accanto ai fedeli musulmani anche palestinesi cristiani»
«Noi, capi delle chiese di Gerusalemme, esprimiamo la nostra grave preoccupazione per la recente escalation di sviluppi violenti intorno a Haram ash-Sharif [la Spianata delle Moschee] e il nostro dolore per la perdita di vite umane». Così inizia il comunicato congiunto delle chiese cristiane della Città Santa, firmato dai patriarcati greco-ortodosso, cattolico, armeno ortodosso, copto, siriano ortodosso, etiope ortodosso, maronita, luterano evangelico, greco-melchita-cattolico, siriano cattolico e armeno cattolico e dalla Custodia di Terra Santa e la Chiesa episcopale di Gerusalemme e Medio Oriente