«Ma alla autorità e sovranità di una nuova Europa politicamente unita chi oggi sta seriamente pensando e lavorando? Soltanto costui potrebbe assumerne in futuro anche la guida politica. Tranquilli, non sembra proprio poter essere la Germania. Purtroppo».
La Repubblica, 21 luglio 2015 (m.p.r.)
La crisi che attraversa la costruzione dell’unità politica europea sta avendo, se non altro, il benefico effetto di farci comprendere che le relazioni tra popoli e culture investono problemi leggermente più complessi di quelli che sono in grado di affrontare non solo banche e ragionerie centrali, ma anche diplomazie e politici di professione. Il realismo degli stenterelli lascia qualche varco a considerazioni, per così dire, meta-politiche, indispensabili per interpretare la visione che un Paese ha di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri. Certo, la storia insegna poco, poiché tutto muta (fuorché l’uomo), ma può tuttavia orientarci. Se gli “exempla” del passato non possono avere il peso che un Machiavelli attribuiva loro, nemmeno dobbiamo rassegnarci a un guicciardinismo in sedicesimo.
Raccontantoci che tutto è nuovo e solo conta l’esperienza attuale. Così sulla questione decisiva della relazione tra Berlino e mondo latino-mediterraneo è altrettanto sbagliato ricorrere a immagini di maniera, evocando una germanica volontà di potenza, quanto ripetere l’ovvietà che la storia tedesca dell’intero dopoguerra rende culturalmente inconcepibile, prima ancora che concretamente impercorribile, ogni velleità imperiale. Il dilemma proposto da Thomas Mann, “Europa germanica o Germania europea?”, appartiene certo al mondo di ieri, ma ciò non significa che esso non debba essere ripensato. Come storicamente la Germania si è immaginata europea? E tale immagine è ancora efficace? Come l’Europa può essere oggi germanica? O è necessario lottare perché non lo sia?
Che tra cultura tedesca (cultura non in senso letterario o vetero-umanistico, ma come senso comune e “forma mentis”) e mondo mediterraneo la relazione sia sempre stata quella tra distinti inseparabili, in costante e fecondo alternarsi di amore e odio, di nostalgia e repulsione, è un fatto che non ci spiega ancora come tale inseparabilità venga interpretata e vissuta. Intanto, essa si pone in termini completamente diversi nei confronti del mondo latino (die Welsche!) e di quello greco. Lo stesso “viaggio in Italia” non è, a ben vedere, che tappa di un itinerario verso l’Ellade. E si tratta di un’anabasi alle fonti della propria stessa lingua! Il mito della consanguineità della “più perfetta delle lingue”, come Herder riteneva la greca, con quella tedesca percorre l’intera cultura germanica dal ‘700 fino alla grande filologia dei Wilamowitz e degli Jaeger, da Hegel a Heidegger.
Tuttavia, nessuno forse ci aiuta a intenderne il vero senso meglio del più grande lirico tedesco, Hoelderlin. Gli dèi della Grecia sono fuggiti; andavano un tempo tra i mortali, ma ora vivono nella stessa assenza. Ciò che verrà non è quell’Ellade, non sono quegli dèi. Verrà il loro erede. E questo è la Germania. Il viaggio in Grecia significa, in realtà, la trasmigrazione in Germania dello spirito greco. La Grecia non è più in Grecia, e soltanto il grembo tedesco potrà rigenerarla. Dove il genio di Atene sarà fatto di nuovo valere? Sulle rive dei fiumi tedeschi, nelle sue nobili città. E perché qui soltanto? Perché questo è il luogo “dove il lavoro si svolge silenzioso negli opifici” e la scienza, il sapere, illumina e orienta lo stesso artista zum Ernste, alla serietà.
Queste visionarie parole del grande inno Germanien forniscono la traccia più preziosa per intendere, nella sua sostanza meta-politica, il vitale rapporto della cultura tedesca con il mondo classico-mediterraneo. Questo mondo appare in sé un mero passato, e soltanto “traslato” in lingua tedesca (e cioè armonizzandolo con l’intera storia culturale e religiosa che in essa si custodisce) ha un avvenire. Facciamola finita, dunque, con gli irenistici discorsi intorno ad un generico “amore” per esso da parte della “serietà tedesca”. Amore certamente è stato, ma un amore che assimila, che fa proprio e si ama per questa sua capacità.
Facile intuire quanto una tale immagine sia ancora efficace. Essa comporta necessariamente velleità egemoniche? Nient’affatto – il che non significa sottovalutare l’efficacia demagogica in chiave micro-nazionalista delle chiacchiere sui “quarti Reich”. Ma è impensabile che la Germania possa affrontare la crisi greca, oggi, o qualunque altra crisi mediterranea in futuro, se non alla luce dell’idea-guida della sua storia, almeno dal dopoguerra: il valore etico assoluto attribuito alla “serietà” del proprio lavoro, che ha reso possibile la ricostruzione prima e la riunificazione dopo, sempre in condizioni di sicurezza e stabilità finanziaria. E proprio questo contraddice dalle fondamenta ogni pretesa o istanza di dominio!
La prospettiva di un’Europa germanica non esiste per il semplice motivo che qualsiasi volontà di potenza, per esprimersi, non può assumere a proprio valore guida la stabilità! Una Germania che volesse dominare in Europa dovrebbe svolgere politiche opposte a quelle cui spesso è tentata: politiche di sviluppo, di crescita, che le attirino interessi e simpatie da parte dei popoli europei. Forse il nostro dramma è esattamente l’opposto di quello che temono le anime belle ancora “incantate” da mitologie imperialistiche. Non è l’eccesso di auctoritas tedesca a distruggere l’Europa, ma piuttosto l’assenza di ogni auctoritas. Si continuano ad annusare in giro volontà di potenza, quando proprio tali volontà mancano del tutto, e ci si limita a fronteggiare le emergenze senza alcuna strategia geopolitica. Insorgeranno le anime belle: lo spirito europeo non tollera l’”ex pluribus unum”! la diversità dei suoi linguaggi non potrà mai essere cancellata e ridotta ad uno!
Certo; ma altrettanto poco funziona l’”ex pluribus plures”; anzi, questo motto altro non è che la più vuota delle tautologie. Possiamo parlare dei molti, soltanto se essi si presentano “raccolti” in una qualche forma, soltanto se una struttura li governa. Soltanto, insomma, se una qualche sovranità opera efficacemente. L’unica al momento disponibile è quella delle strutture tecnico- amministrativo-finanziarie, che mai ha avuto e mai avrà legittimità e autorità culturale-politica. Tantomeno potranno averla gli staterelli europei ognuno per proprio conto. Ma alla autorità e sovranità di una nuova Europa politicamente unita chi oggi sta seriamente pensando e lavorando? Soltanto costui potrebbe assumerne in futuro anche la guida politica. Tranquilli, non sembra proprio poter essere la Germania. Purtroppo.