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Geoff Christoph; Manaugh Gielen
Geometrie dello Sprawl
17 Agosto 2011
Dalla stampa
Un fotografo documenta in una sorta di tomografia virtuale il tessuto privo di identità – ma “parlante” - dell’insediamento disperso. Inquietante racconto illustrato daThe New York Times, 17 settembre 2010 (f.b.)

Titolo originale: The Geometry of Sprawl – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Nel suo romanzo L’incanto del lotto 49 (The Crying of Lot 49) Thomas Pynchon descrive un suburbio: “più che una città chiaramente identificabile era un agglomerato di concetti – padiglioni censimento, distretti cedole obbligazioni speciali straordinarie, centri commerciali, tutti attraversati da una rete di strade di accesso all’arteria principale”. La protagonista, Oedipa Maas, “guardò dall’alto di un pendio aggrottando gli occhi per il troppo sole, alla vasta distesa di fabbricati spuntati tutti insieme come un campo ben tenuto, dalla terra marrone e opaca” scrive Pynchon, “e pensò a quella volta che aveva aperto una radio a transistor per cambiare una pila e s’era incontrata col suo primo circuito stampato. L’ordinato vortice di strade e case, viste da quell’altezza, le saltava agli occhi con la stessa insospettata e stupefacente chiarezza del circuito stampato”. Questo sistema architettonico che le si dispiega davanti comunica, secondo Pynchon, un “senso e un geroglifico di significati riposti”.

Christoph Gielen, fotografo di origine tedesca, documenta geroglifici del genere da un elicottero — come le carceri o i suburbi — da cinque anni. Gli spazi che sceglie si distinguono per la chiarezza: scatole, nodi, labirinti, semicerchi, sottolineature della nuda topografia che li circonda.

Gli scatti fotografici di una prigione si devono fare in fretta, sottolinea Gielen, presi al volo durante l’equivalente aereo di un solo passaggio in auto: se no, la sigla di identificazione di un elicottero che sta fermo un po’ troppo potrebbe essere notata dalle guardie, e inevitabilmente susciterebbe domande. Così le sue visite sono calibrate un po’ come attacchi di guerriglia, anche se si tratta di cose formalmente legali, e sarebbero comunque facilmente disponibili al grande pubblico le vedute dal satellite dei medesimi luoghi.

Attraverso l’obiettivo di Gielen, il cortile dell’ora d’aria diventa solo un’altra gabbia, claustrofobica protesi dietro la prigione vera e propria; qualunque libertà o occasione fisica possa offrire, appare adeguatamente assurda da questa altezza.

Nelle spedizioni suburbane di Gielen, il metodo è di iniziare dalla ricerca via satellite, studiando il paesaggio dettagliatamente fin quando si individua una geometria adeguatamente e visivamente provocatoria. Poi ci si avvicina agli ambienti scelti con qualche sopraluogo in auto, fingendosi un potenziale acquirente di casa e facendo un giro insieme a un agente immobiliare, per capire le aspirazioni profonde dell’area: il suo modo di considerarsi, o quantomeno l’immagine che emerge dagli opuscoli promozionali e dagli annunci di vendita. Lungi dall’umanizzare un po’ l’argomento, tutto questo aggiunge un altro livello di astrazione, in cui l’estetica del paesaggio – o meglio la sua assenza - si fa calcolo economico. Infine la scelta di Gielen di mantenere anonimi i suoi spazi ne aumenta ancora di più ’s l’estraneità.

I suburbi dell’area Sun Belt (Arizona, Nevada ecc. n.d.t.) proposti da questi scatti sono “assolutamente compiuti” come spiega Gielen; in parecchi casi “non si trasformano più”. Statici, cristallini, inorganici. In realtà, le loro vie scorrono fra case di pensionati: luoghi in cui ci si trasferisce dopo essere stati ciò che si voleva essere. In senso proprio, non si tratta neppure di sprawl. Ma di luoghi a sé: terminali spaziali di un viaggio del destino.

Osservando il lavoro di Gielen, viene la tentazione di proporre una nuova branca delle scienze umane: la sociologia geometrica, studio di null’altro se non le forme degli spazi che non abitiamo. Il suo programma di ricerca sarebbe di chiedersi perché mai queste forme, angoli, geometrie, si ripropongano tanto coerentemente dagli insediamenti preistorici sino al suburbio estremo. Sono forse, spazi come questi, la ricerca di una estetica, una probabilità statistica, una consapevole manipolazione di confini di proprietà da parte della pianificazione urbanistica locale, o il risultato di un po’ di tutte queste componenti? Oppure ancora, si tratta dell’espressione di qualcosa di più profondo nella cultura e nell’inconscio umano, qualcosa che si riesce a vedere solo da grandi altezze?

QUI (sito del New York Times) le suggestive diapositive del lavoro di Gielen (f.b.)

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