L’aggressione scatenata dall’Italia contro l’Etiopia nel 1935 come guerra 'coloniale' è in ritardo sui tempi, sostanzialmente ‘antistorica’, dichiarata in un’epoca in cui altrove in Africa già cominciano a mostrare i primi segni di crisi impianti coloniali ben più solidi e sperimentati.
L’impresa tuttavia è ritenuta da Mussolini un’utile carta da giocare sia sul fronte del prestigio internazionale che su quello interno, dove il recupero di antiche suggestioni imperiali diventa utile strumento di compattamento, soprattutto dopo i guasti causati dalla crisi del ‘29.
D’altro canto egli è anche consapevole - come in effetti ripetutamente dichiara - che la guerra debba essere rapida e, soprattutto, vittoriosa.
Il ricordo delle dolorose disfatte italiane in Africa è ancora vivo nel paese al punto da potervisi richiamare, nella fase preparatoria della guerra, come a un un’onta da cancellare: “vendicare Adua” diventa l’abusata giustificazione ma anche l’efficace spinta ideologica che fa del fascismo il vindice della débâcle dell’Italia liberale, legittimando per questa via la superiorità del regime, capace finalmente di realizzare l’antico sogno di annettere l’impero negussita riscattando l’onore del paese. Per altri versi nella memoria di Adua si raggruma anche un timore mai sopito nei riguardi di un avversario che, per quanto male equipaggiato, è numericamente imponente e può contare su una grande mobilità su un terreno impervio e difficile ma familiare. Anche per questa ragione, per non correre rischi, il regime non bada a mezzi, non lasciando nulla al caso e avvalendosi di una superiorità tecnica indiscutibile che include, pur di allontanare ogni possibilità di fallimento, anche il ricorso all’uso dei gas.
Al riparo dai controlli normalmente garantiti in un governo democratico (oltre che duce del fascismo e capo del governo, Mussolini all’epoca ricopre la gran parte delle cariche politiche: è ministro della Guerra, della Marina, dell’Aeronautica, delle Colonie, degli Esteri, dell’Interno), e disponendo del controllo pressoché totale dei media anche come formidabile strumento di produzione del consenso (non a caso la guerra d’Etiopia, vanamente denunciata da fogli clandestini come “L’Unità”, diviene la più popolare delle guerre italiane), il fascismo può assicurare alla campagna d’Etiopia, e a chi militarmente la conduce, di godere di una totale copertura politica.
Già a partire dalla fase preparatoria della guerra, in un Promemoria segreto di Mussolini, si fa riferimento esplicito all’uso dei gas, prospettato come una normale necessità di guerra.
Datato 30 dicembre 1934 e inviato alle autorità politiche e militari dello Stato, dal documento emergono direttive e scenario dell’imminente guerra all’Etiopia e di una vittoria che si vuole “rapida e definitiva”. A questo scopo Mussolini precisa che si devono predisporre grandi mezzi. “[...] Superiorità assoluta di artiglieria e di gas. Più sarà rapida la nostra azione e tanto minore sarà il pericolo di complicazioni diplomatiche”.
E difatti durante il conflitto Mussolini autorizza, in una serie di telegrammi indirizzati ai generale Graziani e al Maresciallo Badoglio, rispettivamente comandanti del fronte meridionale e comandante superiore in Africa orientale, il ricorso a “qualunque mezzo”, facendo costantemente riferimento alla necessità di operare con la “massima decisione” ed esplicitamente riferendosi all’ “impiego gas qualunque specie et su qualunque scala” (Mussolini a Badoglio, il 29 marzo 1936) pur di piegare la resistenza etiopica, autorizzandone il ricorso anche “per ragioni di difesa” o per rappresaglia. Il duce sembra prendere in considerazione anche l’eventualità di ricorrere, se necessario, all’uso di armi batteriologiche, venendone dissuaso, tuttavia, da Badoglio.
L’uso delle armi chimiche e batteriologiche era stato proibito dal trattato internazionale di Ginevra del 17 giugno 1925 sottoscritto dal governo italiano, che tuttavia lo vìola, in occasione delle sue campagne africane, già in Libia, tra il 1923 e il 1930 (con i governatori De Bono e Badoglio), per piegare la resistenza delle popolazioni locali. Ma è con la campagna d’Etiopia che il ricorso all’uso dei gas da parte italiana si fa sistematico, come risulta esplicitamente da una nota dell’epoca, controfirmata da Mussolini, in cui risulta soprattutto la preoccupazione del regime di trovare possibili giustificazioni alle proprie reiterate e massicce violazioni del trattato di Ginevra, consapevole dell’impossibilità di poter continuare a celarle o negarle a lungo.
In realtà, nonostante le denunce immediate del governo etiopico e di buona parte della stampa internazionale, la consapevolezza del crimine mette in moto, a partire dagli anni del conflitto e fino ad anni assai recenti, una fitta rete di censure, silenzi, rimozioni ma anche di reazioni scomposte nei riguardi di chi cerca di far luce su quelle pagine di storia nazionale. “La guerra chimica - scrive G. Rochat - fu cancellata dalla stampa, dalla produzione documentaria e memorialistica e dalla coscienza popolare con un’efficacia che ha pochi precedenti”.
Ne è risultato, a livello di comune sentire, una sorta di addomesticamento della memoria di estrema efficacia nel rimuovere colpe e responsabilità che l’inaccessibilità degli archivi ha a lungo contribuito a sottrarre allo studio e alla ricerca.
E’ solo nel 1996, a distanza di sessant’anni dagli eventi e a seguito di polemiche durate decenni che, in risposta ad una serie di interpellanze parlamentari e ad un appello sottoscritto da buona parte degli storici italiani, il Governo italiano ammette ufficialmente attraverso il ministro della Difesa, generale Domenico Corcione, l’impiego di bombe e proiettili d’artiglieria caricati ad iprite e arsine in occasione della guerra d’Etiopia.
La recente apertura degli archivi militari ha consentito agli storici una prima stima che, senza pretesa di completezza, valuta in almeno 500 tonnellate il totale di iprite e fosgene utilizzato contro militari e civili etiopici in azioni effettuate anche negli anni successivi alla proclamazione dell’Impero.
Qui il link al Museo Virtuale delle Intolleranze e degli Stermini (f.b.)