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Tomaso Montanari
Galleria Borghese la società dei mecenatoni
12 Febbraio 2014
Beni culturali
Il racconto (di Elisabetta Ambrosi e David Perluigi) e il commento (di Tomaso Montanari) a proposito di una scandalo dell'era Renzusconiana. Il Fatto Quotidiano, 12 feb. 2014

Benefattori della cultura o commensali?
I dettagli della cena che ha fatto infuriare la sovrintendenza
di Elisabetta Ambrosi e David Perluigi,

Qualunque visitatore che oggi entri al Metropolitan di New York può apprezzare i magnifici mazzi di fiori che adornano la sala principale. Un legato testamentario di una signora che ha voluto donare a tutti un piccolo dettaglio di bellezza. Se oltreoceano il mecenatismo ha ancora qualche legame con l’antico significato di colui che aiuta gli artisti ridotti alla fame – o comunque i musei – ad esempio donando con discrezione una collezione privata – da noi il mecenate è l’invitato del salotto buono alla cena “cafona”, stile Grande Bellezza. Che si affitta nientemeno la Galleria Borghese, a Roma, uno dei più bei musei del mondo, utilizzandone l’esterno per una cena sotto enormi en dehors (d’altronde ne è piena la Capitale), di ferro e plastica. Con tanto di cucina abusiva e di danni ai basamenti di tufo del piazzale, denunciati da un furioso Sovrintendente capitolino, che ha preso carta e penna per scrivere al competente Soprintendente del ministero dei Beni culturali.

3 febbraio scorso: sotto gli enormi gazebo – anzi, pardon, sotto il jardin d’hiver firmato dall’esperto di allestimenti Jean Paul Troili – va in onda una cena a tema immortalata da un video esclusivo che pubblichiamo oggi su ilfattoquotidiano.i . Quale il leitmotiv? L’ineffabile agitazione vitale dei ritratti dello scultore Giacometti, la cui mostra veniva inaugurata proprio quel giorno? O il Caravaggio tormentato e ascetico del San Girolamo, presente in Galleria? Macché. Per la cena barocca e dall’età media avanzata meglio ispirarsi alle nature morte del Merisi, opulente solo per chi non sa leggerne la decadenza raccontata dai frutti imprecisi.

Ad affollarsi intorno ai centrotavola con uva e melograni, trecento soliti arcinoti, questa volta in veste di novelli mecenati dell’associazione onlus “Mecenati per Roma”, presieduta da Maite Carpio: produttrice e già finanziatrice di Sant’Egidio, ex veltroniana, già nel Cda dell’Opera di Roma, soprattutto sposata con Paolo Bulgari (a sua volta sostanzioso donatore dell’Accademia di Santa Cecilia).

Invitati? Oltre all’esuberante direttrice della Galleria Anna Coliva, insignita della Légion d’Honneur dall’ambasciatore di Francia Alain Le Roy, lo stesso Alain Le Roy, Gianni Letta, ça va sans dire, (“Stasera vi dovete accontentare dello zio”), i principi Ruspoli, Gaetano Caltagirone, Paolo Scaroni e Fulvio Conti, Sonia Raule, Ferdinando Brachetti Peretti e Rosi Greco, Ginevra Elkann e marito, Luigi Abete, Carlo e Lucia Odescalchi. E poi i fondatori-dei-mecenati Jacaranda Caracciolo Borghese, Silvia Venturini Fendi e Miuccia Prada, il sottosegretario al Mibac Ilaria Borletti Buitoni, Carlo e Lisa Vanzina, Joaquin Navarro Valls, l’Ambasciatore d’Israele Naor Gilon, gli immancabili coniugi Bertinotti e la presidente del Maxxi Giovanna Melandri, apprendista-Coliva del mix pubblico privato all’italiana.

In questa vicenda in cui, al solito, la sensibilità culturale si traduce in spaghettata tra potenti, ci sono vari aspetti. I danni, anzitutto, riportati da una dettagliata relazione della Sovrintendenza capitolina, allertata – insieme alla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico Artistico per il Polo Museale della Città di Roma e alla Sovrintendenza ai Beni culturali – dal presidente del II municipio Giuseppe Gerace. Come riportato sulle pagine romane di Repubblica , oltre ai danni al piazzale, nella relazione del Sovrintendente Claudio Parisi Presicce, è stato evidenziato come vi fosse addirittura una cucina mobile montata senza autorizzazione, così come la tensostruttura collegata al padiglione principale del museo. Anche se le normative spiegano che l’autorizzazione è concessa solo se le strutture utilizzate “sono posizionate a distanza dalle emergenze monumentali e non coinvolgano le alberature e gli arredi presenti in loco”. Ma c’è, soprattutto, una gigantesca questione di stile. Non si poteva, ad esempio, fondare prima l’associazione, di cui non c’è praticamente traccia in rete, e renderla operativa (ad oggi c’è solo una vaga idea di finanziamento per vaghi studi su Caravaggio), invece di buttarsi subito sul magna magna? “Perché rinfocolare l’odio di classe, quando la charity è diffusa in tutto il mondo? Perché alzare i forconi del populismo se il pubblico può esistere solo col Privato”, ha scritto un’indignata Paola Ugolini. Glielo diciamo noi: in Francia fanno pure i bed and breakfast nei consolati, per racimolare fondi. Ma i tubi innocenti e i tiranti legati alle statue del Bernini, fossero anche copie fatte nella Silicon Valley, sono tutt’altra cosa. Perché l’immagine che si dà ai cittadini impoveriti è indelebile: mentre i ricchi si comprano pure la bellezza, il beneficio di tanta “eccellenza” sembra arrivare più alle persone coinvolte che a quelle istituzioni che si vorrebbe difendere dai tagli.

Non troviamo scuse
La legge Ronchey è stata superata dal Codice del 2004
di Tomaso Montanari

La posta in gioco, materiale e simbolica, del padiglione per feste montato accanto alla Galleria Borghese si comprende guardando alle mille altre situazioni analoghe (anzi, per la verità, assai peggiori) che costellano l’Italia: dalle auto da corsa che rombano nel Teatro Greco di Siracusa ai Masai fatti sfilare agli Uffizi nell’ambito di una sfilata di moda con annessa cena esclusiva; dalla festa di capodanno all’Archivio centrale dello Stato alle partite di golf disputate nelle sale di lettura di una Biblioteca Nazionale, fino al Ponte Vecchio noleggiato alla Ferrari da Matteo Renzi.

Anni e anni di sistematico e pianificato massacro dei bilanci degli enti locali e del ministero per i Beni culturali inducono sindaci, assessori e direttori di biblioteche e musei a far qualche soldo attraverso la privatizzazione temporanea dei loro gioielli. Come ha detto la direttrice della Borghese: “Senza risorse, è l’unico modo di mantenerci”. Ma la prostituzione per indigenza è il modo peggiore per rapportarsi agli interessi privati che chiedono di legittimarsi attraverso l’appropriazione dello straordinario spazio pubblico del nostro patrimonio. E, infatti, in nessun paese del mondo l’apporto dei privati è necessario per garantire la sopravvivenza delle istituzioni culturali pubbliche: perché un simile situazione di ricatto genera necessariamente sudditanza, svendita dei beni comuni, arbitrio.

Se invece lo Stato facesse la sua parte – e cioè se destinasse alla cultura almeno il 3% della spesa pubblica (la media europea è il 2,2, in Spagna è del 3,3: da noi dell’1,1) – potrebbe poi decidere da una posizione di forza quali contropartite eventualmente concedere ai privati.

Nel frattempo, sarebbe vitale che il ministero per i Beni culturali facesse rispettare le regole: perché se è vero che dalla pessima legge Ronchey (1993) i privati possono, in vario modo, “entrare nei musei”, il Codice dei Beni culturali (2004) prescrive che “i beni culturali non possono essere ... adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione”. E i pregiudizi possono essere elevatissimi: nel 1997 abbiamo perduto per sempre la più bella architettura barocca italiana, la torinese Cappella della Sindone, distrutta da un incendio scoppiati dalle cucine provvisorie installate negli adiacenti locali del Palazzo Reale in vista di una cena offerta da Lamberto Dini e Gianni Agnelli a Kofi Annan. Ma c’è un rischio anche più grande: trasformare il patrimonio culturale – che la Costituzione vuole al servizio del pieno sviluppo della persona umana e della costruzione dell’uguaglianza sostanziale – in un potente fattore di legittimazione della disuguaglianza, del dominio del mercato, dell’arbitrio assoluto di una ricchezza disonesta, ignorante, grottesca. Trasformare uno strumento di inclusione in una location esclusiva sarebbe letale: la grande bellezza non sopravvive alla grande ingiustizia.

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