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Maria Pia Guermandi
Franceschini, è tutto tranne che una riforma
17 Febbraio 2016
Beni culturali
Una riforma - quella del nostro sistema di tutela - "deformante" che nasconde obiettivi ben diversi da quelli che appaiono.

Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2016.

Nello storytelling governativo, la così detta seconda riforma Franceschini, è destinata ad occupare un posto di rilievo: illustrata come un'operazione di razionalizzazione e semplificazione della macchina ministeriale, ad una lettura poco meno che superficiale risulta essere tutto il contrario.

Basta cominciare dai numeri. Ministro e comunicazione Mibact sostengono che da 17 Soprintendenze si passerà a 39: in realtà le Soprintendenze attuali sono 50 e quindi 11 in più di quelle che ci saranno a riforma attuata. La differenza sta nel fatto che, mentre fino al 2014 le Soprintendenze territoriali erano suddivise per specializzazione (architettura, belle arti, archeologia), già con la prima fase della riforma si cominciò ad accorpare architettura e belle arti e con questo secondo decreto, incorporando anche quelle archeologiche, si arriverà ad ottenere delle Soprintendenze uniche, competenti per la tutela del patrimonio culturale e del paesaggio nel suo insieme su territori coincidenti grosso modo a 2-3 province o quello di alcune città metropolitane.
Alle Soprintendenze, già dal 2014 (DPCM 171), sono state sottratte, intanto, le competenze su tutti i musei e alcune aree archeologiche. La vecchia struttura del Mibact, già stressata da tagli lineari da 10 anni a questa parte, in asfissia di risorse sia economiche che di personale, verrà dunque sottoposta - sommando la prima e la seconda fase - ad una rivoluzione organizzativa radicale. Tutto questo - come precisa il decreto in corso di approvazione - a costo zero. E già questa mancanza assoluta di investimento mette fortemente in dubbio gli obiettivi sbandierati di razionalizzazione o addirittura di potenziamento della macchina ministeriale dichiarati da Franceschini: ad oggi l'attribuzione del personale - già di per sè insufficiente - alle nuove sedi è affidata a meccanismi di movimentazione volontaria tutt'altro che semplici e razionali. Questa movimentazione, attivata da una circolare delle scorse settimane, raggiunge vertici di surreale di cui sono capaci solo i burocrati ministeriali dal momento che elenca - fra le sedi per cui è possibile chiedere l'assegnazione - anche quelle Soprintendenze Archeologiche che il Decreto del Ministro aveva abolito qualche giorno prima. Nessuna indicazione è poi recuperabile nel Decreto, per quanto riguarda l'aggregazione/ripartizione delle biblioteche, laboratori di restauro, archivi di cui ognuna delle ex Soprintendenze specialistiche - comprendenti i musei statali - era dotata.

Con la digitalizzazione delle immani documentazioni storiche possedute ancora in fase embrionale (eufemismo) e il problema ormai fuori controllo della gestione di immensi depositi di materiale soprattutto archeologico, un processo di riforma serio avrebbe dovuto investire mezzi non trascurabili per permettere alla nuova struttura di tutela sul territorio di decollare e quindi di essere in grado di governare in tempi non biblici i delicatissimi processi di controllo e tutela territoriale. Al contrario, in questa situazione, con una prima fase della riforma scarsamente governata, questo secondo, ulteriore stravolgimento rischia di condurre alla paralisi operativa strutture di cui attualmente è impossibile per chiunque definire "chi fa cosa".
E dire che la necessità di fare presto e bene c'era eccome. Come ha dichiarato lo stesso Franceschini, la creazione delle Soprintendenze Uniche dovrebbe essere il rimedio ai rischi del silenzio-assenso e della subordinazione degli organismi di tutela ai Prefetti: meccanismi peraltro introdotti nel nostro ordinamento dallo stesso governo, attraverso la legge Madia di riordino della Pubblica Amministrazione.

Così, nel chiuso dei corridoi ministeriali, nel giro di pochi mesi, senza alcun dibattito pubblico che coinvolgesse non solo il mondo della cultura, ma anche solo quello degli operatori della tutela, è stato partorito questo provvedimento-tampone.

Ma forse, per arrivare al vero obiettivo di quella che tutto è tranne una riforma organica, basterebbe ricollegarsi a quell'emendamento della legge di Stabilità votato a dicembre che reintroduce per i Comuni la possibilità di fare cassa con gli oneri di urbanizzazione. Un ritorno al Testo Unico per l'edilizia di Bassanini e ai perversi effetti di speculazione territoriale che hanno innescato negli ultimi 15 anni.
Adesso, con questa riforma delle Soprintendenze, forse l'ultima debole arma di controllo rappresentata dagli organismi di tutela, è stata definitivamente spuntata.

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