Il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2016.
Nello storytelling governativo, la così detta seconda riforma Franceschini, è destinata ad occupare un posto di rilievo: illustrata come un'operazione di razionalizzazione e semplificazione della macchina ministeriale, ad una lettura poco meno che superficiale risulta essere tutto il contrario.
Con la digitalizzazione delle immani documentazioni storiche possedute ancora in fase embrionale (eufemismo) e il problema ormai fuori controllo della gestione di immensi depositi di materiale soprattutto archeologico, un processo di riforma serio avrebbe dovuto investire mezzi non trascurabili per permettere alla nuova struttura di tutela sul territorio di decollare e quindi di essere in grado di governare in tempi non biblici i delicatissimi processi di controllo e tutela territoriale. Al contrario, in questa situazione, con una prima fase della riforma scarsamente governata, questo secondo, ulteriore stravolgimento rischia di condurre alla paralisi operativa strutture di cui attualmente è impossibile per chiunque definire "chi fa cosa".
E dire che la necessità di fare presto e bene c'era eccome. Come ha dichiarato lo stesso Franceschini, la creazione delle Soprintendenze Uniche dovrebbe essere il rimedio ai rischi del silenzio-assenso e della subordinazione degli organismi di tutela ai Prefetti: meccanismi peraltro introdotti nel nostro ordinamento dallo stesso governo, attraverso la legge Madia di riordino della Pubblica Amministrazione.
Così, nel chiuso dei corridoi ministeriali, nel giro di pochi mesi, senza alcun dibattito pubblico che coinvolgesse non solo il mondo della cultura, ma anche solo quello degli operatori della tutela, è stato partorito questo provvedimento-tampone.
Ma forse, per arrivare al vero obiettivo di quella che tutto è tranne una riforma organica, basterebbe ricollegarsi a quell'emendamento della legge di Stabilità votato a dicembre che reintroduce per i Comuni la possibilità di fare cassa con gli oneri di urbanizzazione. Un ritorno al Testo Unico per l'edilizia di Bassanini e ai perversi effetti di speculazione territoriale che hanno innescato negli ultimi 15 anni.
Adesso, con questa riforma delle Soprintendenze, forse l'ultima debole arma di controllo rappresentata dagli organismi di tutela, è stata definitivamente spuntata.