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Sandro Mezzadra
Frammenti di polis. Il rovescio urbano per la segregazione delle città globali
7 Febbraio 2011
Recensioni e segnalazioni
Cerchiamo sempre meglio di comprendere com'è la "città" neoliberista e come trasformarla. . il manifesto, 6 febbraio 2011

Nel saggio «Geografia politica urbana» (Laterza) Ugo Rossi e Alberto Vanolola sostengono che la critica dell'ideologia neoliberale sulla metropoli si arricchisce se fa suo il punto di vista dei movimenti sociali urbani. Come d'altronde emerge nel pionieristico saggio su Las Vegas di Robert Venturi, Denise Scott Brown, Steven Izenour e nel recente «Singapore Songlines» di Rem Koolhaase che la casa editrice Quodlibet ha da poco pubblicato.

«Negli ultimi decenni - scriveva nel 2006 Agostino Petrillo (Villaggi, città, megalopoli, Carocci) - la città si è fatta mondo con una potenza che non conosce precedenti nella storia dell'umanità». Soltanto negli ultimi dieci anni del Novecento il numero di uomini e donne che vivono in città è cresciuto di oltre un miliardo, mentre nei primi anni del nuovo secolo la popolazione urbana ha superato la fatidica soglia del 51% della popolazione mondiale. «Sono nate metropoli - proseguiva Petrillo - lì dove c'erano giungle, e l'urbanesimo è diventato la maniera di vivere per la maggioranza dell'umanità, non solo per quella che vive nei paesi sviluppati. Proprio nei paesi meno sviluppati la crescita è stata anzi vertiginosa».

Avveniristici grattacieli e sconfinati slum sono le effigi complementari di questi inauditi processi di urbanizzazione, che coinvolgono in particolare quelle che un tempo l'Occidente viveva come le sue periferie. E mentre nuove metropoli emergenti, soprattutto in Asia, scalano le graduatorie delle «città globali», nei modelli prevalenti di sviluppo urbano vengono messi in discussione sia i rapporti tra il «centro» e la «periferia» sia quelli tra la metropoli e il suo hinterland, fino a configurare sconfinate regioni metropolitane: inedite sfide ne derivano, tanto sotto il profilo urbanistico quanto sotto il profilo sociale, economico e politico.

A questi mutamenti di scala che hanno investito la dimensione urbana negli ultimi decenni vanno del resto sommate le trasformazioni qualitative che hanno rimodellato la città, facendone - anche nei paesi in cui la produzione industriale ha contemporaneamente conosciuto un'enorme crescita - una sorta di icona del capitalismo «post-industriale», forgiata dall'operare congiunto della finanza e della «cultura», della rendita immobiliare e delle «industrie creative». È la «città neoliberale», la cui ascesa ha accompagnato il tumultuoso dispiegarsi dei processi di globalizzazione, prescrivendo nuovi paradigmi di governance e determinando la circolazione planetaria di nuove retoriche e nuove ideologie dell'urbano (da quelle accattivanti della creatività a quelle feroci della tolleranza zero). Comprendere il funzionamento di questi paradigmi e di queste retoriche, portare alla luce il tessuto di conflitti e antagonismi su cui si distendono e individuarne i limiti è un compito tanto più urgente oggi, quando da molti segni sembrerebbe che la crisi globale in cui stiamo vivendo da ormai tre anni sia destinata a scuotere dalle fondamenta lo stesso modello della città neoliberale.

Un libro appena pubblicato da Ugo Rossi e Alberto Vanolo (Geografia politica urbana, prefazione di Ola Söderström, Laterza, pp. 226, euro 20) offre a questo proposito una serie di strumenti davvero preziosi, combinati all'interno di una griglia analitica di grande efficacia. Pensato come un manuale, che dà conto in modo esauriente degli sviluppi più recenti dei dibattiti sulle trasformazioni urbane soprattutto tra i geografi critici di lingua inglese, il volume di Rossi e Vanolo presenta tuttavia motivi di interesse che vanno ben oltre il «genere» del manuale.

La geometria variabile della governance

«La città - dichiarano fin dall'introduzione i due autori - rappresenta un terreno cruciale nel quale il processo di globalizzazione assume modalità concrete e riconoscibili di realizzazione, ma al tempo stesso anche conflittuali e basate su rapporti di forza tra spazi e gruppi sociali in costante evoluzione». Questa enfasi sui conflitti (che costituisce anche l'esito di una opportuna rivisitazione della sociologia urbana degli anni Settanta, e in particolare dei lavori di Henri Lefebvre sul «diritto alla città» e sulle lotte per la «giustizia sociale urbana») assume nel libro un rilievo di metodo, distinguendolo da molte analisi critiche del neoliberalismo anche al di fuori dell'ambito strettamente urbano: i temi fondamentali attorno a cui si snoda l'analisi dei due autori - la trasformazione delle tecniche di governo urbano, il ruolo di «cultura» e «creatività» nello sviluppo delle città contemporanee, il ricorso alla forza e la sua spettacolarizzazione come modalità ordinarie ed eccezionali di organizzazione delle relazioni sociali urbane - vengono presentati una prima volta seguendo il filo conduttore dei paradigmi di governance e delle retoriche dominanti. Ma subito dopo (ed è quasi superfluo aggiungere che i due momenti sono raramente distinti con questa nettezza) vengono «letti e reinterpretati nel loro "rovescio"», dal punto di vista delle lotte e dei movimenti che mettono in questione il «contenuto di giustizia sociale presente nell'esperienza urbana contemporanea».

La nozione di giustizia e di lotte per la giustizia è in particolare al centro della terza parte del volume («La politica come contestazione»), dove - sullo sfondo di una ricostruzione dei dibattiti teorici più generali sui temi della giustizia e della cittadinanza - è presentata una mappa, necessariamente parziale, dei più significativi movimenti sociali urbani degli ultimi anni su scala globale: da quelli contro le privatizzazioni di aziende municipali a quelli contro i processi di gentrification, da quelli negli slum e nelle banlieues a quelli di minoranze discriminate su basi «razziali» o «sessuali» per fare qualche esempio.

Ma il principio di metodo che si è indicato sostiene l'analisi di Rossi e Vanolo anche nelle altre due parti del libro. La prima è dedicata a «La politica come rappresentazione», e propone un'analisi delle retoriche neoliberali che va ben oltre il piano di una semplice critica dell'ideologia, per porre il problema della funzione e del ruolo «performativi» dei discorsi e delle rappresentazioni della città: per richiamare cioè l'attenzione sui loro effetti immediatamente materiali, nella misura in cui assecondano e impongono trasformazioni degli assetti di potere e della distribuzione della ricchezza che vanno indagate nei diversi contesti locali (l'esempio portato a questo proposito è quello della retorica della «città culturale e creativa» e del cosiddetto «marketing territoriale», che assume come criterio di riferimento le graduatorie che classificano le città in base alla loro capacità competitiva). La seconda parte è infine dedicata a «La politica come governo», e studia - in una prospettiva foucaultiana - i molteplici processi attraverso cui la «razionalità governamentale» neoliberale si è imposta ed è stata tradotta in diversi contesti urbani, chiamando le città a costituirsi in attori collettivi operanti secondo una logica imprenditoriale di competizione e cooperazione con altre città e rimodellando in questo senso la propria immagine, il proprio territorio e le relazioni sociali prevalenti al proprio interno (e un'attenzione particolare è qui prestata alla «politica della paura» nonché ai processi di auto-segregazione e zoning a cui essa fornisce alimento).

Indagata secondo le tre dimensioni della rappresentazione, del governo e della contestazione, la politica urbana emerge dal libro di Rossi e Vanolo nella sua intera complessità, nel suo dritto e nel suo rovescio per riprendere l'immagine utilizzata dagli autori. L'esplosione della bolla immobiliare nel 2008, vero e proprio elemento di congiunzione tra i processi di finanziarizzazione dell'economia e lo sviluppo urbano su scala globale, segna indubbiamente un punto di non ritorno e di crisi per la città neoliberale.

Riprendersi la città

D'altro canto, è giusto rilevare, con Rossi e Vanolo, che se il campo urbano si configura come carico di potenzialità in un'ottica di trasformazione sociale e di «democrazia assoluta», tre decenni di politiche e retoriche neoliberali ne hanno fatto «uno spazio governato in profondità, e in modo sempre più sofisticato, mediante l'attribuzione selettiva di libertà e facoltà di agire». Reinventare il «diritto alla città», la «cittadinanza come luogo comune», significa fare i conti con questi processi di governo, ma soprattutto - approfondendo l'analisi del loro «rovescio» - individuare i soggetti, le filiere di cooperazione sociale, gli istituti politici e giuridici che possono materialmente rendere effettivo quel diritto e incarnare quella cittadinanza.

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