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Fitoussi e Rodotà. La crisi dell'Europa e il reddito di cittadinanza
13 Gennaio 2013
Articoli del 2013
Lo sbocco di questa crisi sarà quello catastrofico che ebbe quella del 29? c'è da temerlo, se la politica delle istituzioni politiche e sociali continuerà ad essere sorda e cieca. Continuando così, Cassandra avrà ragione ancora una volta. Interviste di Anna Maria Merlo e Roberto Ciccarelli.
Lo sbocco di questa crisi sarà quello catastrofico che ebbe quella del 29? c'è da temerlo, se la politica delle istituzioni politiche e sociali continuerà ad essere sorda e cieca. Continuando così, Cassandra avrà ragione ancora una volta. Interviste di Anna Maria Merlo e Roberto Ciccarelli.

Il manifesto, 12 gennaio 2013

JEAN FITOUSSI

La crisi dell'Europa non è economica. È politica
di Anna Maria Merlo

Jean-Paul Fitoussi, economista keynesiano, professore all'Institut d'études politiques di Parigi, dall'89 al 2010 presidente dell'Ofce (Osservatorio francese delle congiunture economiche), è pessimista per l'Europa nel 2013. «Sono pessimista perché cerchiamo di risolvere un problema economico, mentre siamo di fronte a un problema politico - spiega - è come se volessimo cambiare la gomma di una macchina che non è sgonfia mentre ne sgonfiamo un'altra senza poi volerla cambiare. E' la ruota politica che non funziona e il motore non parte perché questa gomma è sgonfia».

Il 2013 si annuncia difficile come il 2012 per l'Europa?
Le politiche condotte in Europa in tutti i paesi e quelle già approvate con le finanziarie per il 2013 sono cattive politiche per rimediare ai problemi che contano di più per la gente, cioè la disoccupazione e il livello di vita. In Europa vengono condotte politiche pro-cicliche che non danno nessuna possibilità alla crescita economica. Quindi non danno nessuna possibilità alla soluzione del problema dell'occupazione. Ci sbagliamo di obiettivo: l'obiettivo finale delle società è il benessere, il lavoro, l'integrazione sociale, non il livello del deficit di bilancio. Ma tutte le politiche condotte in Europa hanno lo sguardo fisso sui deficit di bilancio. Non ci può essere un miracolo, come ha detto recentemente anche l'Fmi in questo modo non si risolve il problema dell'occupazione, ma lo si aggrava. Siamo in una situazione vicina alle reazioni che hanno fatto seguito alla crisi del '29.
I vari governi, specie nel sud d'Europa in difficoltà, raccontano che non possono fare nulla perché sono penalizzati dallo spread, dal differenziale del tasso di interesse con la Germania.
Lo spread è una questione artificiale creata dall'assenza di volontà politica in Europa di mutualizzare i debiti. Se fosse stata decisa la mutualizzazione del debito, ci sarebbe un titolo unico, e quindi non ci sarebbe spread».
Bisognerebbe dire questo ai tedeschi, già in campagna elettorale, che non vogliono pagare per i «fannulloni»?
Ai tedeschi bisognerebbe dire che sono i fannulloni a pagare per loro. In realtà i trasferimenti non vanno dalla Germania verso il sud, ma dal sud verso la Germania, perché il fatto che lo spread cresca al sud ha come contropartita un calo del tasso di interesse pagato dalla Germania, che permette ai tedeschi di ridurre il loro servizio del debito. E' come se il sud sovvenzionasse la Germania. Ma dal momento in cui non abbiamo obiettivi politici chiari da perseguire in Europa - un'unione o solo una confederazione - allora è il paese creditore che guida il gioco. E' la Germania soprattutto, con alcuni paesi del nord. George Soros aveva detto alla Germania: leave or lead, o uscite o fate un piano Marshall per la zona euro.
La disoccupazione sta diventando insostenibile, ma perché nessuno si muove?
La situazione attuale è profondamente instabile e può avere conseguenze sociali assolutamente drammatiche. La disoccupazione in certi paesi è più forte degli anni '30, è ampiamente al di sopra per quello che riguarda i giovani. Ma la gente non è capace di combattere, non ha più poteri per negoziare.
Hollande è stato una delusione? Perché sembra non riuscire ad attuare una politica europea più incisiva? E' terrorizzato anche lui dalla minaccia dello spread?
Hollande fa come Sarkozy, fa come dicono i tedeschi. La Francia ha paura dello spread. Adesso ha tassi di interessi bassi, ma teme che, se si dissocia dalla Germania, questi aumentino. Alla fine i governi, quando arrivano al potere, finiscono sempre per obbedire alle regole della Ue. Bisognerebbe che una maggioranza di governi europei avesse il coraggio sufficiente per opporsi alla Germania, Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda ecc. dovrebbero dire «basta».
A febbraio ci sono le elezioni in Italia. La questione del rispetto delle regole europee è al centro del dibattito. Ci sarà un margine di manovra, secondo lei, dopo la stretta di Monti?
L'Italia è il paese che per ora ha completamente soddisfatto il Fiscal Compact. Se prendiamo il deficit strutturale, è allo 0,7%, cioè molto vicino ai dettami del Fiscal Compact, che sono dello 0,5%. Sarebbe quindi il solo paese europeo ad avere la possibilità di mettere in atto un piano di rilancio. Eppure il problema dello spread non è risolto. In altri termini, l'Italia in teoria soddisfa i vincoli europei ma l'assenza di unione in Europa fa sì che nessun paese possa rilanciare l'economia, salvo la Germania. O si va avanti nel federalismo o non risolveremo il problema.
L'Europa se non va avanti può indietreggiare?
Stiamo già andando indietro. Il pil per abitante in Italia è di 9 punti più basso di quello del 2007. Stiamo andando indietro come mai era successo dagli anni '30.
La crisi degli anni '30 è sfociata nella guerra, non sarà pessimista fino a questo punto?
La grande differenza con gli anni '30 è che adesso il resto del mondo non segue la politica europea, mentre allora, fino al '33, fino al piano Roosevelt, tutti i paesi avevano adottato la stessa politica. Oggi è l'Europa ad affondare nel marasma, mentre gli Usa vogliono rilanciare la macchina.
Eppure Usa e Giappone hanno un debito pubblico ben più ampio dell'Europa...

l problema del debito pubblico non è difatti nato in Europa, dove è più basso degli Usa o del Giappone. Ma i paesi europei prendono a prestito con una moneta, l'euro, su cui non hanno nessun controllo. Gli Usa, che controllano la loro moneta, possono sempre rimborsare. Mario Draghi può cercare di risolvere il debito, ma è in una situazione delicata perché il Consiglio europeo non vuole che vada fino in fondo. Il Consiglio può accettare che la Bce agisca, ma impone al tempo stesso condizioni drastiche che affondano i paesi ancora di più nella recessione.

STEFANO RODOTA'
Il reddito di cittadinanza è un diritto universale
di Roberto Ciccarelli

«In Europa - sostiene Stefano Rodotà, uno dei giuristi italiani che hanno partecipato alla scrittura della Carta di Nizza e autore del recentissimo Il diritto di avere diritti - siamo di fronte ad un mutamento strutturale che spinge qualcuno ad adoperarsi per azzerare completamente i diritti sociali, espellere progressivamente i cittadini dalla cittadinanza e far ritornare il lavoro addirittura a prima di Locke. Per accedere ai beni fondamentali della vita come l'istruzione o la salute, dobbiamo passare per il mercato e acquistare servizi o prestazioni. Il reddito universale di cittadinanza è il tentativo di reagire al ritorno a questa idea di cittadinanza censitaria».

Il reddito di cittadinanza, dunque, non il «salario minimo sociale e legale» chiesto dal presidente uscente dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker. Come spiega questa dichiarazione?
Juncker ha mostrato più volte un'attenzione rispetto ad una fase nella quale debbono essere ripensati una serie di strumenti anche partendo da una riflessione più profonda sulla dimensione dei diritti. A parte la sua citazione di Marx, credo che la sua dichiarazione dovrebbe essere valutata alla luce dell'articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali. In una delle sue carte fondative l'Ue si impegna a riconoscere il diritto all'assistenza sociale e abitativa e a garantire un'esistenza dignitosa ai cittadini. C'è un'assonanza molto forte con uno dei più belli articoli della nostra Costituzione, il 36. Considerati insieme, questi articoli offrono una chiave per considerare il reddito fuori dalla prospettiva riduzionistica con la quale di solito viene considerata. Diversamente dall'approccio del salario minimo, o di quello del «reddito di sopravvivenza» di cui parla Monti nella sua agenda, il reddito non può essere considerato solo come uno strumento di lotta contro la marginalità. In Europa non c'è solo la povertà crescente. Io credo che oggi la lotta all'esclusione sociale passi attraverso l'adozione del reddito di cittadinanza.
Riesce ancora a mantenere una fiducia ammirevole nelle istituzioni europee e a non considerarle solo come l'emanazione diretta della Bce o della volontà tedesca di imporre politiche anti-inflattive e di rigore nei bilanci pubblici. Come mai?
Ma perché l'Europa non può essere ridotta solo alle politiche dell'economia che assorbe tutte le altre dimensioni. Non è possibile ricordarsi degli aspetti virtuosi dell'Europa solo quando interviene per sanzionare i licenziamenti di Pomigliano oppure la legge italiana sul testamento biologico e dimenticarli quando impone di considerare l'economia come il Vangelo, con questa idea di mercato naturalizzato. L'Europa è un campo di battaglia. Io stesso ricordo la fatica di introdurre nella Carta di Nizza i principi di solidarietà e uguaglianza che prima mancavano.
Susanna Camusso (Cgil) sembra avere tutt'altra idea sulla proposta di Juncker e ha escluso il «salario minimo» perché danneggerebbe la contrattazione nazionale. Come lo spiega?
Capisco la sua volontà di salvaguardare la dimensione contrattuale, ma la trasformazione strutturale che viviamo ci obbliga ad andare oltre questo orizzonte. Il tema capitale e ineludibile è il reddito universale di cittadinanza. Martedì 15 a Roma presentiamo il libro Reddito minimo garantito del Basic Income Network dove discuteremo anche le proposte di Tito Boeri e Pietro Garibaldi, persone tutt'altro che ascrivibili ad un'orizzonte estremista. Il reddito è uno strumento fondamentale per razionalizzare un sistema altamente disfunzionale e sgangherato come quello italiano sulle protezioni sociali. Nei primi giorni di governo l'aveva citato anche Elsa Fornero, poi ha abbandonato questa prospettiva.
Di solito la sinistra e i sindacati considerano il reddito come un ammortizzatore sociale. Lei ritiene che sia un approccio corretto?
Assolutamente no. Oggi non è più possibile considerarlo come uno tra i tanti ammortizzatori sociali perchè dobbiamo cominciare a lavorare sulla distribuzione delle risorse. L'idea degli ammortizzatori sociali riflette un modo di guardare al precariato come un problema sostanzialmente transitorio che l'intervento dei governanti farà rientrare in una situazione di normalità. Oggi non è più così e il reddito è una precondizione della cittadinanza, uno strumento per affermare la pienezza della vita di una persona. Riguarda anche i lavoratori che si trovano in difficoltà, ma è un diritto di tutti i cittadini.
Quali sono le prime tappe del processo di una radicale riforma del Welfare?
Ripristinare l'agibilità democratica nelle fabbriche; difendere il diritto del lavoro dalla privatizzazione strisciante che non è una fissazione della Fiom o di Maurizio Landini; una nuova legge sulla rappresentanza sindacale ma soprattutto ripristinare il diritto all'esistenza che passa attraverso il reddito di cittadinanza. È una questione di cui non possiamo liberarci né con un'alzata di spalle come ha fatto Carlo Dell'Aringa, ma anche dicendo che il contratto funziona bene, il sindacato fa la sua parte, mentre invece nella società c'è più di qualcosa che non funziona. Dobbiamo pensare a una trasformazione radicale, proprio come accadde con lo Statuto dei lavoratori.
Perché non dovrebbe accadere oggi?
Perchè forse allora c'era l'autunno caldo, la migliore cultura giuslavoristica con Giugni, Romagnoli, Mancini sostenne l'avanzata del movimento operaio. Oggi non è così...C'è una certa sordità del sindacato perché ritiene che gli strumenti acquisiti siano sufficienti per fronteggiare qualsiasi situazione. Ricordo che Romagnoli gli ha rivolto critiche molto severe quando abbiamo elaborato e firmato il referendum contro le modifiche all'articolo 18 e contro l'articolo 8. In generale trovo spaventoso constatare i guasti della progressiva emarginazione del dialogo con la cultura politica. E questo non accade solo nel mondo del lavoro.
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