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Andrea Fabozzi
Firmato il Tirannicum
7 Maggio 2015
Democrazia
Con la nuova legge elettorale sembra concludersi il ciclo di distruzione della democrazia in nome della governabilità, iniziato sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso. Ultima speranza istituzionale, la Corte costituzionale: prima che il tiranno riesca a cambiarla. Articoli di AndreaFabozzi e Alfio Mastropaolo.

Con la nuova legge elettorale sembra concludersi il ciclo di distruzione della democrazia in nome della governabilità, iniziato sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso. Ultima speranza istituzionale, la Corte costituzionale: prima che il tiranno riesca a cambiarla. Articoli di AndreaFabozzi e Alfio Mastropaolo. Il manifesto, 7 maggio 2015

MATTARELLA FIRMA DOPO RENZI
di Andrea Fabozzi,
Promulgata la nuova legge elettorale. Il capo del governo anticipa il capo dello stato. Entrambi i presidenti diffondono via twitter l’annuncio. Palazzo Chigi aggiunge una dedica entusiasta
Mat­teo Renzi ha fir­mato alle nove del mat­tino, Ser­gio Mat­ta­rella nel pome­rig­gio. Entrambi i pre­si­denti hanno imme­dia­ta­mente dif­fuso la noti­zia via twit­ter, ma il pre­si­dente del Con­si­glio ha aggiunto una foto — la mano destra con la biro, il foglio fer­mato con l’indice della sini­stra — e una dedica: «A tutti quelli che ci hanno cre­duto, quando era­vamo in pochi a farlo». Delle due firme quella impre­vi­sta è la prima, quella di Renzi. Ha anti­ci­pato il pre­si­dente della Repub­blica, quando è noto che il capo del governo deve con­tro­fir­mare le leggi una volta pro­mul­gate dal capo dello stato. La for­mula che si intra­vede sul foglio twit­tato da Renzi è la clas­sica che accom­pa­gna la pub­bli­ca­zione in Gaz­zetta Uffi­ciale — «La pre­sente legge, munita del sigillo dello stato, sarà inse­rita nella Rac­colta uffi­ciale degli atti nor­ma­tivi…» — ma la firma di Mat­ta­rella ancora non c’era. È arri­vata, ine­vi­ta­bil­mente, poco dopo.

Il pre­si­dente della Repub­blica non ha accom­pa­gnato la pro­mul­ga­zione con un breve mes­sag­gio, al modo in cui qual­che volta aveva fatto Gior­gio Napo­li­tano, così smen­tendo quanti ave­vano pre­vi­sto qual­che parola dal Colle sul neces­sa­rio col­le­ga­mento dell’Italicum alla riforma costi­tu­zio­nale. La legge che il par­la­mento ha man­dato al pre­si­dente si sarebbe pre­stata a qual­che osser­va­zione, visto che è pre­vi­sto che resti sospesa per oltre un anno (fino al luglio 2016). La Corte costi­tu­zio­nale (con il voto dello stesso Mat­ta­rella) anche nella sen­tenza del 2014 che ha abbat­tuto il Por­cel­lum aveva ricor­dato come il paese non può restare un solo giorno senza una legge elet­to­rale appli­ca­bile. Eppure il par­la­mento scri­ven­done una nuova ha deciso di lasciarla tra paren­tesi. E non si è pre­oc­cu­pato nem­meno di fare gli inter­venti neces­sari a ren­dere appli­ca­bile da subito il Con­sul­tel­lum, cioè il sistema resi­duato dalla sen­tenza della Corte (e dalla Corte stessa pre­vi­sti). La sospen­sione, infine, è addi­rit­tura senza limite per il senato, posto che l’Italicum vale per la sola camera e il sistema è desti­nato a restare incom­pleto fino a che non sarà abo­lito il senato elet­tivo. Su tutto que­sto Mat­ta­rella non ha rite­nuto di pre­ci­sare nulla.

Il pre­si­dente non ha avuto alcuna osser­va­zione da fare nean­che sulle più volte sol­le­vate que­stioni di inco­sti­tu­zio­na­lità della legge, ma in que­sto secondo caso si tratta di una scelta assai più pre­ve­di­bile e com­pren­si­bile alla luce delle pre­ro­ga­tive del capo dello stato. È invece pro­prio su que­sto, cioè sul non aver rifiu­tato del tutto la firma, chie­dendo alle camere una nuova deli­be­ra­zione, che il Movi­mento 5 Stelle ha preso imme­dia­ta­mente — e pesan­te­mente — ad attac­care il pre­si­dente della Repub­blica, al quale pure si era rivolto con grandi spe­ranze nell’ultimo inter­vento alla camera prima del voto finale. Men­tre dal pre­de­ces­sore di Mat­ta­rella, Gior­gio Napo­li­tano, è arri­vato un pre­ve­di­bile mes­sag­gio di con­senso: «È un rag­giun­gi­mento impor­tante, era ine­vi­ta­bile appro­vare l’Italicum che del resto non è arri­vato in un mese ma in oltre un anno».

Sono pas­sati in realtà tre mesi scarsi da quando il testo della legge elet­to­rale è stato cri­stal­liz­zato in senato, imme­dia­ta­mente prima dell’elezione di Mat­ta­rella. Nulla è cam­biato da allora, il pre­si­dente lo cono­sce bene e dun­que non ha senso giu­di­care «rapida» la sua firma, arri­vata il giorno stesso in cui la legge è uffi­cial­mente appro­data sulla sua scri­va­nia. Dieci anni fa Carlo Aze­glio Ciampi lasciò tra­scor­rere otto giorni prima di pro­mul­gare il Por­cel­lum, ci pensò bene, ma la legge fu ugual­mente giu­di­cata inco­sti­tu­zio­nale dalla Con­sulta, molti anni più tardi.

In attesa dei giu­dici della Corte Costi­tu­zio­nale davanti ai quali sarà cer­ta­mente por­tata (prima o poi) anche que­sta legge elet­to­rale, si sono fatte sen­tire le agen­zie inter­na­zio­nali di rating. Fitch ha scritto che l’approvazione dell’Italicum «nel medio ter­mine raf­for­zerà il pro­filo di cre­dito del paese ridu­cendo i rischi poli­tici che gra­vano sulle poli­ti­che eco­no­mi­che e di bilan­cio». Men­tre secondo il Finan­cial Times con la nuova legge elet­to­rale si mette fine all’«ossessivo sistema di pesi e con­trap­pesi che ha rego­lar­mente pro­dotto coa­li­zioni di governo insta­bili» e si «accre­sce la forza dell’esecutivo». Forse per­sino troppo: One worry is that it may place too much power in the hands of the executive

LA DEMOCRAZIA «NORMALE»

di Alfio Mastropaolo

L’esecutivo decide, il parlamento finge di controllare, ma registra, la popolazione si adegua. Non tutta: quella piccola parte che paga, detta le sue condizioni

Stiamo final­mente diven­tando una demo­cra­zia “nor­male”. Cioè una demo­cra­zia in cui l’esecutivo decide, il par­la­mento finge di con­trol­lare, ma regi­stra, la popo­la­zione si ade­gua. Se non è con­tenta, cam­bierà governo alle pros­sime elezioni.

Non tutta la popo­la­zione si ade­gua. In realtà c’è una pic­cola parte che detta all’esecutivo le sue con­di­zioni. Le detta, forte del fatto che è lei a soste­nere i mostruosi costi delle cam­pa­gne di per­sua­sione elet­to­rale. Con l’abolizione del finan­zia­mento pub­blico della poli­tica li sosterrà ancor di più. E quindi det­terà con­di­zioni ancor più strin­genti. Pos­siamo senza fatica fare ipo­tesi su quali poli­ti­che attuerà l’esecutivo. Di destra o di sini­stra che sia, o che si dica, le dif­fe­renze sta­ranno nei par­ti­co­lari, non irri­le­vanti, ma sem­pre par­ti­co­lari. L’essenziale delle scelte poli­ti­che lo deci­derà chi paga. E poi­ché, dato lo stato del nostro sistema impren­di­to­riale, a pagare saranno soprat­tutto imprese stra­niere, la pres­sione inter­na­zio­nale si accen­tuerà ulte­rior­mente. Si ade­guerà il grosso della popo­la­zione, ma si ade­guerà l’intero paese. Desti­nato a diven­tare sem­pre più mar­gi­nale e sot­to­messo nella divi­sione del lavoro planetaria.

Abbiamo già avuto qual­che avvi­sa­glia del destino che ci aspetta. Ma finora ser­vi­vano le peren­to­rie impo­si­zioni di Bru­xel­les e Fran­co­forte. D’ora il poi basterà loro sol­le­vare un soprac­ci­glio. La cupi­di­gia di ser­vi­li­smo è iper­tro­fica nelle classi diri­genti ita­liane. Ciò lascia pen­sare che riu­sci­ranno per­fino a pre­ve­nirle. Resterà qual­che pic­colo osta­colo, come la Corte costi­tu­zio­nale. Ma non durerà troppo a lungo. I giu­dici pas­sano, d’ora in poi li sce­glierà l’esecutivo, in com­butta con un’opposizione che sarà il suo dop­pio, e i giu­ri­sti pronti a met­tersi a ser­vi­zio sono una folla. Le sen­tenze capric­ciose e imba­raz­zanti come l’ultima sulle pen­sioni potremo scordarcele.

Sarebbe inge­nuo attri­buire la respon­sa­bi­lità — o il merito — di que­sta infau­sta nor­ma­liz­za­zione a Renzi. Renzi e la sua lea­der­ship sono figlie delle cir­co­stanze, lui ha pro­fit­tato delle cir­co­stanze favo­re­voli e ha ope­rato coe­ren­te­mente con la sua cul­tura, ma la nor­ma­liz­za­zione arriva da lon­tano. È dai primi anni 80 che poli­tici e intel­let­tuali per­se­guono que­sto dise­gno con grande deter­mi­na­zione. Con le parole e coi fatti. Qual­cuno si dichiara al momento insod­di­sfatto. In effetti c’è ragione per discu­tere sulla totale rimo­zione di ogni garan­zia che si veri­fi­cherà una volta con­clusa la para­bola delle riforme ren­ziane. Ma si tratta di det­ta­gli. La sma­nia di deci­sio­ni­smo sovra­sta que­sti det­ta­gli ed è molto antica.

Qual­cuno di coloro che sma­niano da quasi mezzo secolo dirà che la demo­cra­zia dei par­titi era alla para­lisi. Ma a que­sto argo­mento si può repli­care che quel modello demo­cra­tico si poteva ade­guarlo senza stra­vol­gerlo. E che le dosi mas­sicce di deci­sio­ni­smo già iniet­tate nel nostro regime demo­cra­tico hanno pro­dotto solo effetti disa­strosi. Così come non bril­lanti sono i risul­tati con­se­guiti dalle demo­cra­zie nor­mali che stanno intorno a noi. Così poco bril­lanti da met­ter in dub­bio l’idea stessa di nor­ma­liz­za­zione. La quale sicu­ra­mente con­viene ad alcuni — i poten­tati economico-finanziari — ma non alla mag­gio­ranza della popolazione.

Il signi­fi­cato della parola demo­cra­zia è incerto. O con­tro­verso. Dac­ché i regimi demo­cra­tici hanno sosti­tuito quelli libe­rali è comin­ciata una guerra per cir­co­scri­verlo è che ha avuto suc­cesso. Demo­cra­zia, si dice, è il suf­fra­gio uni­ver­sale, le libere ele­zioni, la con­cor­renza tra i par­titi. Il resto avanza. Nes­sun dub­bio che que­ste cose ci stiano. Ma la demo­cra­zia e il suf­fra­gio uni­ver­sale li si era voluti pro­prio per can­cel­lare il pri­vi­le­gio delle oli­gar­chie libe­rali e per fina­liz­zare in maniera più egua­li­ta­ria l’azione di governo. Ebbene, le demo­cra­zie sono state svuo­tate e siamo tor­nati indie­tro di oltre un secolo. In nome della demo­cra­zia nor­male.

Che farà il grosso della popo­la­zione, che è a ben vedere gros­sis­simo, come la crisi ha dimo­strato? Un esito certo è la cre­scita dell’astensione. La fru­stra­zione aumen­terà la sfi­du­cia. Gli imbe­cilli diranno che capita ovun­que ed è quindi nor­male. Cre­sce­ranno anche i sen­ti­menti di rivalsa, la cui mani­fe­sta­zione più evi­dente è il raz­zi­smo. Con que­sto sistema elet­to­rale - la Fran­cia inse­gna - il rischio che un par­tito raz­zi­sta, quan­tun­que mino­ri­ta­rio, vinca le ele­zioni, è piut­to­sto alto.

Vedremo. C’è però una terza pos­si­bi­lità. Che il grosso della popo­la­zione si ribelli. Che intenda che la demo­cra­zia nor­male serve a fre­gare ulte­rior­mente i gio­vani, gli ope­rai, gli impie­gati, gli inse­gnati, se l’è già presa coi pro­prie­tari di case e pre­sto se la pren­derà con gli avvo­cati, i pro­fes­sio­ni­sti e quant’altri. Il capi­ta­li­smo finan­zia­rio se ne infi­schia di tutti. Punta a pel­le­gri­nare infor­ma­ti­ca­mente per il pia­neta, per spe­cu­lare dove meglio con­viene. Bassi con­sumi per i più, cibo di qua­lità sca­dente e con­sumi di lusso per le vedette dello spettacolo.

Di con­tro, se que­sta por­zione lar­ghis­sima di società non cadesse nella trap­pola della guerra tra poveri e si met­tesse insieme, sarebbe un modo di difen­dersi. Biso­gna ridursi come la Gre­cia per capirlo? È vero che la Gre­cia non rie­sce a sot­trarsi ai suoi spie­tati aguz­zini. Ma è vero anche che se la Gre­cia non fosse sola, se la lotta con­tro la demo­cra­zia nor­male e il capi­ta­li­smo di rapina si allar­gasse, la par­tita si riaprirebbe

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