Il programma di sinistra
È il tempo delle scelte. I metalmeccanici invitano le forze politiche a battersi contro «un'ingiustizia sempre più profonda». Dall'articolo 8 alla scuola: le tute blu hanno un piano. In mancanza della Cgil
La concretezza delle tute blu non sopporta giri di parole fumose. E la politica italiana, anche a sinistra, è abituata da troppo tempo al tatticismo, agli «schieramenti elettorali» che prescindono dal «che fare?» una volta in Parlamento; senza più attenzione agli interessi materiali e politici dei «rappresentati». Specie per quanto riguarda i lavoratori.
La Fiom ha rovesciato l'ottica. «Non aspetteremo che i politici, in piena campagna elettorale, vengano a prometterci il possibile e l'impossibile». Li «chiamiamo noi» per dire con chiarezza cosa vogliamo e «chiedere risposte». Perché «non consentiremo che i lavoratori vadano a votare senza sapere come si potrà recuperare la profonda ingiustizia che anche in queste ore si sta legiferando».
Nella grande sala del Parco dei Principi, il segretario generale Maurizio Landini espone un vero e proprio programma di governo per una sinistra «necessaria», più che possibile. Fatto di punti concretissimi, che ribaltano come un guanto le politiche del lavoro e industriali applicate finora. È stato sciocco chi ha provato a descrivere l'appuntamento come la trasformazione di questo sindacato in una nuova forza politica. «Noi siamo un sindacato autonomo e indipendente, ma non indifferente», che «può parlare alla pari con tutti: imprese, partiti, governi». Un sindacato che da oltre un secolo è parte integrante della sinistra, ma non ha più un partito di riferimento. «Vogliamo discutere di un programma alternativo a quello del governo Berlusconi, ma anche del governo Monti». Perché «la crisi è molto profonda e non se ne vede la fine; quindi «va avviata una fase costituente in cui tutti si rimettono in gioco».
Di conseguenza, mette giù una griglia di argomenti che devono selezionare gli interlocutori, testarne la serietà. Sarebbe stato logico che l'avesse fatto tutta la Cgil, ma ieri era presente e solidale solo uno dei segretari confederali, Nicola Nicolosi.
Legge sulla rappresentanza sindacale. L'unità sindacale sarebbe una buona cosa, ma quando non c'è - come oggi - i lavoratori debbono avere il diritto di scegliersi il sindacato e soprattutto di votare accordi e contratti che poi loro saranno chiamati a rispettare. Il rischio, altrimenti, è che le aziende si scelgano o si facciano il loro sindacato finto.
Cancellazione dell'art. 8. La «manovra d'agosto» di Berlusconi-Sacconi ha inserito una bomba a tempo nelle relazioni industriali, con questo articolo che consente agli accordi aziendali - firmati magari da sindacati di comodo - di andare «in deroga ai contratti e alle leggi». Anti-costituzionale, ma conservata da Monti.
No a questa riforma del mercato del lavoro. L'art. 18 è stato svuotato completamente, togliendo la possibilità reale del reintegro (al contrario di quanto sostengono sia il Pd che Susanna Camusso, ndr). Va ripristinato nella sua forma originaria ed esteso, perché da questo dipende il diritto del singolo lavoratore di poter aprire bocca e di fare il delegato senza timori. Va ridotto drasticamente il lavoro precario; introdurre il principio che a parità di lavoro e mansione ci deve essere parità di salario e diritti.
Ammortizzatori sociali. Vanno estesi, non ridotti (come sta facendo il Parlamento); le risorse vanno trovate facendo pagare il contributo anche a quelle categorie economiche che oggi non hanno la cig, ecc.
Reddito di cittadinanza. Un principio europeo che il nostro paese non ha mai reso attivo, che può garantire il diritto allo studio e ridurre il ricatto sul salario.
Pensioni. I lavori non sono tutti uguali; stare in fonderia o in corsia non è come fare il prof. universitario. Va riconosciuto il peso che hanno sulle aspettative di vita, altrimenti è una tassa sulla vita. Il «metodo contributivo» non può esser l'unico; già con Prodi si era fissato il criterio (non rispettato) di portare l'assegno pensionistico minimo almeno al 60% del salario di categoria. I soldi dei fondi pensione andrebbero investiti solo per rilanciare l'economia interna.
Fisco. Patrimoniale, progressività delle imposte, tassazione delle rendite finanziarie, combattere la criminalità nell'economia.
Occupazione. Ridurre l'orario di lavoro (come in Germania) per non perdere competenze.
Nuovo modello di sviluppo. Cosa, come, per chi produrre, e in modo ambientalmente sostenibile. Politica industriale. Non se ne parla più. Ma Finmeccanica (pubblica) vuol tenere solo la produzione militare e dar via tutto il civile avanzato (treni, nucleare, ecc).
Riforma della scuola. Garantire parità di condizioni di partenza per aumentare la «mobilità sociale».
Europa. Dopo 20 anni, il sistema rischia di esplodere. Servono regole per la finanza, intervento pubblico: No al pareggio di bilancio in Costituzione.
E intanto ci si mobilita ancora. Il 13 e il 15 a livello territoriale (scioperi e presidi); il 14 sotto il Parlamento, a Roma, contro la riforma del mercato del lavoro e lo spacchettamento di Finmeccanica. Un programma da imporre con la lotta, insomma, non una lista di richieste a una politica distratta.
L'INTERVENTO DEI «PROFESSORI»
La Costituzione non basta più La cultura di fianco al conflitto
Parole dure contro la politica da Rodotà, Revelli, Pianta, Flores. Tronti: «Rompere le compatibilità»
Gli intellettuali. Se ne riscopre l'indispensabilità quando l'orizzonte diventa confuso e si cerca una bussola. I migliori tra loro tornano dentro la «rude razza pagana» quando quella domanda diventa un tuono. Ieri mattina sono stati in diversi a prendere la parola. Differenti per scuola e specializzazione, tutti hanno finito per confrontarsi con gli «sbreghi alla Costituzione» apportati in successione da Berlusconi e Monti. Stigmatizzando la retorica che accomuna sotto la presunta «antipolitica» l'universo delle critiche ragionevolissime contro questa classe politica, il governo che sostiene, gli interessi che difende e quelli che calpesta. Un universo che, per esempio sull'acqua pubblica, ha messo in piedi un'altra politica. Per di più vincente.
Stefano Rodotà scatena l'applauso ricordando «la riforma costituzionale fatta all'insaputa dei cittadini», quella modifica dell'art. 81 che introduce il «pareggio di bilancio» nella Carta e impedisce qualsiasi azione pubblica in deficit. Ma la lista è lunga. C'è la «svalutazione dell'art. 41», quello per cui la libertà d'impresa «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»; ma che prima Berluska, ora Monti, vorrebbero riscrivere mettendo come «valore» la competizione e la concorrenza. Mentre la dignità svanisce come nelle risposte di quegli operai costretti a votare «sì» al «modello Pomigliano» per pagare il mutuo o mandare il figlio all'università.
Un ragionare che ritorna anche nelle parole di Marco Revelli e Mario Pianta, sempre a cavallo tra aggressione ai diritti costituzionali dei lavoratori e andamento della crisi economica. Da qui, infondo, parte quell'«imbarbarimento pazzesco della società europea» obbligata a forza a cancellare le sue conquiste costate secoli., Frutto anche di una «costruzione dell'integrazione europea» fondata su due assi: «la «totale libertà di mercato per la finanza globale» e «l'illusione nella razionalità del libero mercato».
Il risultato? Nel 2012 l'Italia impegnerà il 10% della propria spesa pubblica per il pagamento dei soli interessi sul debito pubblico. Naturalmente questa è l'unica quota della spesa che «non si può tagliare»; tantomeno dopo che sarà stato reso funzionante il «fiscal compact, quel vincolo che costringe a ridurre il debito pubblico al 60% del Pil in 20 anni. Per l'Italia significa una finanziaria di tagli da 45 miliardi l'anno, da qui al 2033. Altro che barbarie, «sono gli effetti di una vera e propria guerra».
La speranza, qui viene in parte dalla vittoria di Hollande, che «ha spezzato l'asse neoliberista con la Merkel». Ed è sorprendete che siano gli intellettuali a dover far notare che mentre la nuova Francia e la Germania merkeliana hanno grosso modo deciso il via libera a una Tobin Tax europea (contraria solo l'Inghilterra, al momento), il prode Monti si guarda bene dal premere su questo tasto con i suoi partner della Ue.
Tocca a Mario Tronti ripercorrere l'intreccio continuo tra movimento operaio e sviluppo, facendo notare che - statisticamente - «nella storia c'è stato sviluppo capitalistico quando c'è stata piena occupazione, diritti, salari alti». Al contrario, disoccupazione di massa, caduta della credibilità della classe politica e crisi economica hanno spesso aperto le porte alla reazione e al declino. Alle nostre spalle, negli ultimi anni, «c'è stato un terremoto di magnitudo 10», una «distruzione creatrice» furibonda e cieca. Il compito oggi, a suo giudizio, è «recuperare capacità offensiva». Un concetto che riguarda prima di tutto la cultura politica: bisogna essere in grado di «rompere le gabbie d'acciaio delle compatibilità di sistema», quelle che rendono impossibile difendere gli interessi dei lavoratori».
Sull’argomento vedi anche l’eddytoriale 144 e la bozza di “visita guidata Il lavoro su eddyburg