reset, 3 febbraio 2017 (c.m.c.)
Una ragazza vestita di rosso che viene investita in pieno dai lacrimogeni, durante le proteste di Gezi Park, in Turchia, nel 2013; la giovane manifestante col reggiseno blu picchiata dai poliziotti, durante gli scontri in Piazza Tahrir al Cairo. Queste immagini, dopo aver fatto il giro del mondo, sono divenute simboli delle rivolte che hanno animato il Medio Oriente e il Nord Africa, a partire dal 2009, con le proteste del movimento dell’Onda Verde in Iran, poi in maniera sempre crescente durante le sollevazioni popolari della cosiddetta “Primavera Araba”, fino ad arrivare alle manifestazioni del 2013 in Turchia.
Questi scatti fotografici sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo internazionale, tramutando le ignare giovani protagoniste in icone del proprio tempo. Quanto è stato immortalato in quei fotogrammi, infatti, rappresenta esattamente la cifra dei cambiamenti e delle trasformazioni socio-politiche avvenute negli ultimi anni nella regione mediorientale: il ruolo e la presenza femminile e giovanile in prima linea all’interno di quei movimenti di contestazione e dissenso politico che hanno sfidato e, in qualche misura, sovvertito l’ordine politico costituito di alcuni paesi dell’area.
Questa nuova soggettività politica della donna deve, tuttavia, essere messa in relazione con la lunga storia di lotte e movimenti femministi di cui è stata testimone la regione mediorientale. Infatti, sebbene la condizione delle donne nei paesi arabo-musulmani venga per lo più descritta in Occidente, attraverso narrazioni mediatiche generalizzanti, come immobile e retrograda, occorre sottolineare invece che l’attivismo delle donne nei paesi dell’area MENA (Middle East and North Africa) risale alla fine dell’800 e si interseca con la costruzione degli Stati-Nazione nel corso del ‘900, attraverso una storia fatta di percorsi plurali e di differenti anime: dai gruppi che adottano un approccio “secolare” che riconduce la religione alla sfera privata, a quelli che, invece, la pongono al centro delle rivendicazioni di uguaglianza, considerandola il principale strumento per reclamare e ottenere diritti.
Lo studio dell’evoluzione nel tempo dei movimenti femminili suddetti e della loro relazione con l’attivismo femminile attuale è stato il motore che ha portato avanti la ricerca di due studiose italiane, Renata Pepicelli, docente presso l’Università LUISS Guido Carli e l’American University of Rome, e Anna Vanzan, dell’Università degli studi di Milano. È appena stato pubblicato, infatti, sul numero 1/2016 della rivista “Afriche&Orienti” il dossier, da loro curato, “I movimenti delle donne in Nord Africa e Medio Oriente: percorsi e generazioni ‘femministe’ a confronto”.
Il volume raccoglie al suo interno diversi saggi che, attraverso approcci diversi, raccontano le esperienze dei movimenti femminili in Marocco, Tunisia, Egitto, Iran e Turchia, ponendo l’accento sia sugli obiettivi comuni, sia sulla pluralità dei percorsi che caratterizzano le rivendicazioni delle donne nei diversi paesi. Oltre a Renata Pepicelli e Anna Vanzan, sono autrici dei saggi anche tre studiose che vivono, fanno ricerca e insegnano sulle rive nord e sud del Mediterraneo: Maryam Ben Salem, docente all’Università di Sousse e ricercatrice del CAWTAR (Center of Arab Woman for Training and Research); Mulki al-Sharmani, dell’Università di Helsinki; e Leila Şimşek-Rathke dell’Università di Marmara, Istanbul.
Attraverso approcci diversi, basandosi su metodologie storiche e sociologiche, le ricercatrici descrivono l’utilizzo, da parte delle giovani donne, di nuovi modelli di attivismo di cui sottolineano gli elementi di frizione, influenza e tensione in relazione a quelli usati dalle generazioni precedenti. Infatti, il filo conduttore che tiene insieme i diversi saggi è il tema del confronto tra differenti generazioni di attiviste e diverse forme di azione politica delle donne. Un confronto che a volte si caratterizza per elementi di continuità, a volte di rottura.
Ciò che emerge dalle ricerche contenute in questo volume è la diffusa e generale difficoltà per le nuove generazioni di ritrovarsi all’interno di un discorso femminista “tradizionale”. Infatti, secondo Renata Pepicelli, durante il periodo delle recenti proteste «una nuova generazione di attiviste è emersa al di fuori dei tradizionali spazi di azione delle organizzazioni femministe storiche»: il femminismo non costituisce più la principale identità militante di queste giovani, ma, piuttosto, un’identità tra molte altre.
Le loro rivendicazioni di genere sono, infatti, calate in una più ampia cornice di rivendicazioni di democrazia, libertà e giustizia. Come descrive Anna Vanzan nel suo saggio, durante la recente ondata rivoluzionaria che ha sconvolto la regione mediorientale «le donne, nonostante la loro cruciale presenza nelle piazze e nelle fasi della transizione, sembrano partecipare soprattutto come cittadine, ovvero senza articolare le proteste in una vera e propria cornice di genere».
In questo momento storico di transizione e cambiamenti, le donne sembrano aver momentaneamente accantonato le istanze femministe, per dare, invece, la priorità a obiettivi politici e sociali che riguardano l’intera società in cui esse vivono. Come afferma una giovane attivista marocchina, durante un’intervista, alla Prof.ssa Pepicelli: «non abbiamo bisogno di domandare, di scrivere, di trattare la donna in un contesto a sé stante, separato dalla società. Quando si dice democrazia automaticamente si parla di cittadini, donne e uomini, tutti uguali davanti alla legge».
Quello che è certo, dunque, è che le donne con il loro impegno nel costruire nuove forme di organizzazione e aggregazione, sono in prima linea nel tracciare la via verso il raggiungimento di una piena cittadinanza.