Una sfida capitale per la filosofia politica è quella del dileguarsi di un affidabile "noi". Il soggetto collettivo subisce attacchi, deformazioni, rimescolamenti che lo sottopongono a una geografia variabile. Diventa così più difficile costruire un edificio concettuale liberaldemocratico con solide basi e capace di ospitare progetti politici di lunga durata. La tendenza del noi a liquefarsi è un effetto dell´accelerazione della vita sociale e della caduta di barriere, come le distanze, le abitudini e i ritmi regolari di crescita economica, tutti fattori che davano forza e stabilità a diversi "noi": la nazione, la cittadinanza, la classe, la fabbrica, il posto fisso, il gruppo politico, la città, la parrocchia. Il vacillare di tanti pilastri smentisce i teorici che ritengono il liberalismo dottrina pura e cristallina, immunizzata rispetto alla storia.
Seguiamo allora lo sforzo di due dei più maturi e affermati filosofi italiani per rinnovare l´attrezzatura concettuale: Salvatore Veca con le sue quattro lezioni in L´idea di incompletezza, (Feltrinelli) – e Alessandro Ferrara con il suo saggio Democrazia e apertura (Bruno Mondadori). La sfida è il pluralismo radicale che rende difficile anche parlare di "bene comune". "Comune" a chi? A noi italiani? europei? precari? indignati? umanità tutta, boat-people compresi? o solo padani?
Omnia mutantur, tutto si trasforma – seguiamo Veca sotto l´insegna delle Metamorfosi di Ovidio –, ma non è solo la realtà cangiante intorno a "noi" a dare spettacolo; la parte più sorprendente del cambiamento, quella che fa talvolta inorridire è il mutamento del "noi", che trasfigura miracolosamente gli esseri, come nei miti umano e divino, animale e vegetale, l´uno nell´altro. Riprendiamo allora, con Veca, la lezione di Isaiah Berlin sulla pluralità dei valori e sui «diversi modi di essere umani» e facciamocene una ragione anche in questa parte del mondo, l´Europa, che ha di più protetto una certa "purezza"nelle nicchie nazionali. La purezza, sostiene il pensiero pluralista, si addice all´olio d´oliva, ma non alle faccende sociali, mentre l´orizzonte dell´umanità è meticcio e creolo. Il che ci appare quasi ovvio se guardiamo al passato: chi può negare oggi i benefici dell´immigrazione dal Sud e l´apporto che ha dato al miracolo italiano e all´identità nazionale? Eppure all´epoca a Torino negli annunci immobiliari si leggeva: «non si affitta a meridionali». Troviamo naturale non riconoscere per il presente e il futuro quello che riconosciamo per il passato. Non ci dispiace vedere rappresentate le variazioni del noi, più o meno drammatiche e foriere di tanti successi, che avvennero allora, ma quelle di oggi fanno male. Così un giorno (tra vent´anni?) ci racconteremo ridendo la Lega e la sua retorica segregazionista. E che cosa diremo del milione di romeni che intanto saranno diventati italiani?
Anche per questo il filosofo "colleziona storie" che documentano il nostro stato di perenne provvisorietà e se ne vale per esplorare nuove connessioni, nel tentativo di trovare in questa contingenza le risorse per alimentare empatia: siamo intrinsecamente "insaturi" e la nostra identità è fatta di cose prese a prestito. Lo sguardo sul passato aiuta a metabolizzare il presente indigesto.
Fin qui Veca, mentre il percorso filosofico di Ferrara è più direttamente rivolto alla ricerca dell´ethos democratico per un "noi" ad assetto instabile. Abbiamo imparato che la democrazia vive non solo di regole ma anche di uno spirito sottostante e che di questo spirito fa parte una certa passione per il rispetto reciproco, per l´individualità, per l´eguaglianza. Tanto bastava in una situazione coerente del "noi", ma adesso la grande debolezza delle nostre lealtà e l´affacciarsi di tante altre possibili lealtà al supermarket del mondo globale con le sue continue offerte speciali, di confessioni e miscredenze, missioni e appartenenze a scadenza breve, la passione che serve è quella per l'"apertura", la disponibilità al nuovo, la prontezza nel fronteggiare l´inatteso.
Quanti anni (o generazioni) ci sono voluti per sviluppare lealtà a una religione, a un progetto politico, a un sindacato, a un movimento? Non abbiamo più tanto tempo. Non possiamo permetterci lunghe fasi di navigazione col pilota automatico, serve la capacità di esplorare nuove possibilità, di considerare alternative cognitive e pratiche diverse da quelle cui siamo abituati. L´«infrastruttura affettiva ed emotiva della democrazia», che Ferrara va cercando, ha bisogno di questa dote, che fa parte da sempre del corredo umano, ma può addormentarsi per lunghi cicli narcolettici. Serve allora chi cerca di risvegliare l´attitudine a gestire l´imprevisto, come certi esercizi muscolari, più utili se fatti su una piattaforma traballante che su un pavimento immobile. La società aperta ha bisogno di quei muscoli che sono le menti allenate al pluralismo radicale, che è diventato il nostro orizzonte quotidiano.