Il Fatto Quotidiano, 21 maggio 2016 (p.d.)
Se l’incarico è gratis la trasparenza può attendere. Tempo tre mesi e a Palazzo Chigi arriverà il commissario per il digitale e l’innovazione Diego Piacenti, vicepresidente di Amazon, il colosso americano dell’e-commerce sotto accertamento fiscale per i profitti realizzati in Italia. Nel frattempo il governo ha varato un decreto sulla trasparenza della Pa digitale ispirato al Freedom information act (Foia), la legge che negli Stati Uniti da cinquant’anni garantisce l’accesso ad ogni informazione in possesso dello Stato. Ma di Mr. Amazon, applicando i nuovi obblighi in capo alle amministrazioni, non saranno pubblicati l’atto di nomina, il curriculum, la dichiarazione dei redditi, eventuali partecipazioni insomma tutto quello che serve a rilevare eventuali conflitti d’interesse.
Per averli bisognerà bussare a Palazzo Chigi, sempre che non ci siano “eccezioni”e cavilli con cui verranno negati. Tutta colpa di un codicillo in filato all’ultimo, in perfetto italian style, a un testo che era stato raddrizzato in corsa dopo molte critiche e viene ora salutato come un importante passo avanti sulla trasparenza. Quel neo rischia però di segnarne mezzo indietro e di spalancare praterie a chi vorrà approfittarne.
L’anno scorso Renzi, per dire, ha designato 7 consiglieri economici, tutti rigorosamente a titolo gratuito. Erano davvero il meglio su piazza? Non si sa, ma sono gratis e tanto basta. Filippo Sensi è il suo portavoce, quello che con abilità e imperio detta agenda e agenzie ai giornali. Le sue incursioni per orientare titoli e spifferi non sono sempre gradite. Ma nel 2014 aveva fatto il suo ingresso alla Pcdm, insieme ad altri 27 professionisti, tutti titolari d’incarico a titolo gratuito, e tanto bastava. Certo, l’anno dopo si è rifatto con uno stipendio da capogiro (170 mila euro lordi l’anno) che supera perfino quello del premier. Anche nella spartizione delle poltrone nel cda della Rai è esploso il caso, quando si è scoperto che quattro consiglieri su sette erano pensionati. E dunque o rinunciavano al posto o all’emolumento. A scendere anche ministeri, regioni e comuni hanno scoperto la manna del consulente pro-bono, quello che non guasta perché non costa.
E così le amministrazioni di ogni livello sono permeate di frotte d'incompetenti, parenti ed eterni imbucati in ogni dove. Una pletora di lavoratori che non guarda al vil denaro ma in cambio ottiene beni anche più preziosi: favori, protezioni, le famose “entrature” che a volte nella vita fanno la differenza. Così, come ha ricordato pochi mesi fa Michele Ainis, si svuota a cucchiaiate il principio che fonda la Repubblica sul lavoro. Il primo articolo della Costituzione diventa l’ultimo, perché tutto è lecito se non costa. A questo lasciapassare, per effetto del Foia all’italiana, si aggiunge ora la copertura per eventuali situazioni di incompatibilità, un male endemico degli incarichi di nomina politica. Sotto questo profilo la nuova legge peggiora la vecchia del 2012. Fa calare un velo proprio sugli incarichi che, in assenza di un compenso in denaro, meglio si prestano a contropartite poco chiare. E che al motto “più trasparenza” saranno meno tracciabili.