«Intervista a Jean-Claude Juncker. Il presidente della Commissione europea critica il ritorno dei nazionalismi e ammette che è stata la paura a permettere l’accordo sulla Grecia, che tuttavia non deve sentirsi umiliata dalle nuove condizioni». dovrebbe sentirsi umiliato lui.
La Repubblica, 22 luglio 2015
Bruxelles. Otto giorni dopo il summit maratona della zona euro che ha concluso i negoziati tra la Grecia e i suoi creditori internazionali, il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, per la prima volta traccia il suo bilancio sulle trattative con Atene e la lezione che deve trarne tutta Europa. Juncker ci riceve nel suo ufficio del Berlaymont mentre è in corso la parata del 21 luglio. Dalla strada arriva un sottofondo di musica militare.
Presidente, ritiene che quello sulla Grecia sia stato un buon accordo dal punto di vista economico e morale?
«L’aspetto morale non è la cosa meno importante, però abbiamo evitato il peggio e lo abbiamo evitato non perché siamo stati particolarmente saggi, ma perché avevamo paura. E’ la paura che ha permesso l’accordo. Dopo la paura c’è sempre il sollievo».
Un accordo basato sulla paura è un buon accordo?
«Sì perché abbiamo evitato il peggio. Ma su questo punto, come sull’immigrazione, ho constatato una rottura di fatto – che fino a quel momento era virtuale – dei legami di solidarietà in Europa. E dunque esco da questa esperienza contento ma non felice. Ne esco molto preoccupato per il futuro. Non parlo solo della Grecia, c’è un insieme di elementi che ci fanno preoccupare molto. Ad ogni modo l’accordo è buono perché esiste. Nella vita di una coppia ci sono momenti difficili dove ci sono dubbi e ci interroghiamo sul nostro futuro insieme. Poi però torniamo in noi per paura del futuro. A un certo punto avevo detto che il nuovo governo greco si stava per suicidare per paura di morire. Abbiamo evitato la morte e abbiamo fatto di tutto per evitare il suicidio».
Molti stigmatizzano gli elementi duri per la Grecia contenuti nell’accordo.
«Credo sinceramente che la Grecia non abbia alcuna ragione di sentirsi umiliata perché la Commissione ha fatto di tutto per smussare gli angoli tenendo conto delle preoccupazioni, delle paure e delle aspettative degli uni e degli altri. La Commissione è una delle tre istituzioni con Fmi e Bce che ha preparato l’accordo finale, ma noi l’abbiamo fatto con maggiore entusiasmo e cuore. La Commissione ha fatto un buon lavoro e in me resiste l’ammirazione per la nazione greca».
Anche per il suoi governanti?
«Ho trovato Alexis Tsipras simpatico, l’ho accolto con molta amicizia. Ho sempre fatto del mio meglio per non fargli perdere la faccia, non sarebbe stato un modo di negoziare europeo».
Un approccio condiviso da tutti?
«No, ma ne sono infischiato perché bisognava lasciare a questa grande nazione uno spazio di autodeterminazione».
Il sentimento di umiliazione è tuttavia molto presente, non soltanto in Grecia.
«Gli europei non amano l’idea che i pensionati greci piangono seduti sulle scale di una banca, questa non è l’Europa! Ho scelto con grande convinzione di parlare apertamente ai greci rispettando la loro dignità. L’avevo fatto molte volte come presidente dell’Eurogruppo contro l’opinione di tutti gli altri, che invece volevano picchiare duro. Ma io non gli ho dato retta perché mi dicevo sempre che “in Europa serve qualcuno del quale i greci possano avere fiducia”, altrimenti avrebbero avuto l’impressione che l’Europa fosse un’invenzione che si era trasformata in una macchina antigreca. Ho sempre parlato della Grecia con tenerezza, a volte quando mi rileggo mi sembra di essere stato persino ridicolo».
Questo sentimento antigreco o antitedesco la preoccupa?
«Sì, temo il sentimento che si è diffuso in Europa dopo questa umiliazione e temo che le reazioni provocate da questa soluzione terranno alta la temperatura nel Continente. Ho notato in molti paesi una rabbia antigreca che si spiega con motivi di politica interna e si limita a vedere l’aspetto economico delle cose. Ci dimentichiamo gli aspetti sociali della crisi. C’è una storia di disamoramento perché molti paesi erano più concentrati sugli aspetti della propria politica interna che sulla soluzione del problema».
Di cosa ha avuto più paura in queste settimane?
«Della una rottura definitiva. Mi sono detto che se l’eurozona si fosse spaccata a quel punto tutto si sarebbe potuto disintegrare».
E’ saltato un tabù quando Schaeuble ha proposto il fondo per le privatizzazioni come alternativa alla Grexit. Non è molto grave?
«Non ho un giudizio così drammatico, quest’ultima frase (sulla Grexit, ndr) prodotta dall’Eurogruppo era contenuta tra due parentesi all’inizio del vertice dei leader. Non era la soluzione che volevamo, ma quella che sarebbe rimasta se tutto il resto fosse fallito. Fin dall’inizio ho detto a Tsipras: “Non credere che salverò la Grecia con una magia”».
Cosa ha fatto piegare Tsipras?
«Gli ho spiegato che nell’eurozona ci sono 19 democrazie, non solo una. Spesso mi hanno rimproverato di avere detto che le elezioni non cambiavano i trattati e i comportamenti degli altri».
Tsipras ha avuto paura dopo il referendum?
«Ha sottovalutato la volontà degli altri. Dopo il referendum alcuni paesi dicevano: “E’ finita”. Abbiamo dovuto superare questa situazione. Non si può mai dare più importanza ad una democrazia che a tutte le altre. Tsipras è diventato un uomo di Stato quando ha capito che se fosse andato fino in fondo per la Grecia sarebbe stata la fine. Gli ho spiegato in dettaglio il piano di aiuti umanitari da 1,8 miliardi che avremmo lanciato all’indomani della Grexit fino alla fine del 2015. Ho anche insistito sul fatto che la Commissione aveva offerto 35 miliardi di risorse per la crescita ma lui di questa proposta non aveva mai parlato ai greci».
Sul debito ci sono pareri differenti tra le diverse istituzioni, tra gli economisti e gli stati.
«Sono stato sorpreso dalle dichiarazioni del Fondo monetario internazionale (sulla ristrutturazione del debito, ndr) due o tre giorni prima del referendum che ha aiutato la campagna del “no” in Grecia. Hanno scelto un momento sbagliato e sono stati strumentalizzati. Ma non si può rimproverare all’Fmi di dire che il debito greco non è sostenibile. Da mesi avevo detto a Tsipras che la questione del debito esisteva e che potevamo risolverla appena avesse attuato le prime misure. Nel testo approvato dal Consiglio europeo c’è scritto che valuteremo il debito “dopo una prima valutazione” (delle riforme, ndr), io invece nel testo che i greci hanno rifiutato avevo scritto ad “ottobre” in modo da aiutare Tsipras. Ma poi abbiamo tolto la data perché Irlanda, Portogallo, Spagna non volevano questa formulazione prima delle proprie elezioni. Erano molto arrabbiati con me. Vede, a fine 2012 abbiamo già alleggerito il servizio del debito greco e quello del Belgio, ad esempio, oggi costa di più. Questo ha causato un grande problema, setto-otto paesi pensavano che in Grecia la situazione fosse migliore che da loro, ad esempio sul salario minimo. Chi descrive il programma come un massacro o un catalogo di crudeltà non conosce bene il dossier e nemmeno i livelli di protezione sociale di molti altri paesi dell’eurozona che sono inferiori a quelli dei greci. Se la Grecia avesse approvato le riforme strutturali, non saremmo arrivati fino a qui».
Per quanto tempo reggerà questo accordo?
«Se la Grecia manterrà gli accordi e immaginiamo che dopo la prima valutazione delle misure alleggeriremo il debito, il problema non tornerà a porsi per i prossimi tre anni».