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Epilogo
11 Aprile 2011
”L’inganno federalista”

L'unico lavoro saggistico di Iannello vede la luce pochi giorni prima della sua morte. Si intitola L'inganno federalista ed è pubblicato dall'editore Vivarium per conto dell'Istituto italiano per gli studi filosofici (la prefazione è di Giovanni Russo). Gli costa un'immensa fatica.

A giugno del 1997 viene ricoverato d'urgenza. Ha fortissimi dolori intestinali. Gli diagnosticano una peritonite acuta. Nel giro di poche ore finisce sotto i ferri di un chirurgo che gli asporta una lunga parte di colon, sostituita con un ano artificiale. In ospedale vengono a trovarlo molti amici.[…]

La sua vita cambia bruscamente. Durante tutto l'autunno lo affliggono fastidi e dolori. A fine novembre inizia una serie di accertamenti. In quegli stessi giorni giunge da Roma una nuova convocazione nella Commissione tecnico-scientifica del ministero per l'Ambiente. E' Edo Ronchi a volerlo con sé. Ma gli eventi precipitano. Una prima diagnosi arriva a metà dicembre e non gli lascia scampo: ha un tumore maligno ai polmoni, con metastasi diffuse al fegato e alle ossa. E' difficile nascondergli la verità. Avvia un ciclo di chemioterapia che lo sfibra. I dolori sono insopportabili.

[…]

Il giorno di Natale, mentre la moglie e il figlio Francesco sono a pranzo da un parente, Antonio comincia a dettare a Carlo, il suo secondo figlio, le prime pagine di un saggio. Ha già in mente di dividerlo in due parti. La prima è di tipo storico-politico. Nella seconda vuole riprodurre parte del dibattito sull'ordinamento regionale che si svolse in seno all'Assemblea costituente: una sua antica passione.

In una lunga prefazione condensa la sua strenua opposizione al progetto federalista così come è stato formulato dalla Bicamerale. Il federalismo visto non solo dal punto d'osservazione della difesa del suolo, delle coste, della qualità dell'aria e dei fiumi, dell'integrità dei monumenti, appare a Iannello uno sfregio, un'inaudita leggerezza, il rovesciamento di ogni logica, perché si fonda sul trasferimento di poteri a istituti, le Regioni, che molto male hanno esercitato già quelli che ampiamente sono stati attribuiti loro. Le Regioni hanno preteso di pianificare il territorio, ma non sono mai riuscite a praticare una seria programmazione, per le inefficienze burocratiche, ma anche perché soggette a una pressione da parte dei potentati locali. E così, annota Iannello, sono proliferati l'abusivismo e lo scempio delle bellezze paesaggistiche, ai quali si è cercato di porre rimedio con la legge Galasso, che ha imposto i piani paesistici, senza riuscire a scalfire l'insensibilità di quelle amministrazioni. Ma il federalismo non è ; un'improvvisazione pericolosa solo per la tutela ambientale: maneggiando testi giuridici e di dottrina politica Iannello mostra quanto questa intrapresa riformatrice si fondi su un equivoco lessicale (la confusione fra federalismo e decentramento); imponga un'inversione rispetto alla rotta sempre seguita nella storia per cui piccoli stati scelgono di federarsi fra loro dando vita ad una istituzione centr ale; segua un tragitto in contrasto rispetto a quello avviato per l'Unione europea; si ancori a ragioni di interesse, malintese e di corto respiro; rincorra confusi malesseri; peschi i suoi antecedenti in zone oscure della storia italiana.

Il centralismo non è un demonio infernale, non è quel Moloch totalitario e oppressivo che viene spesso evocato. Il giudizio storico su di esso, scrive Iannello, è positivo, "dal momento che ha permesso il consolidamento del processo di unificazione e ha sventato i tentativi eversivi degli ex Stati italiani di ripristinare le antiche divisioni. Né si può ignorare che il tanto vituperato Stato centralista è quello che ha reso possibile, dopo la fine della disastrosa guerra fascista, la risostruzione dell'Italia e quel 'miracolo economico' che ha consentito a un paese prevalentemente agricolo di diventare la quinta potenza industriale. Lo stesso Stato centralista (...) è quello che ha consentito al governo Prodi e al ministro Ciampi di portare a termine l'opera di risanamento dei conti pubblici paragonabile a quella memorabile di Quintino Sella".

L'autore che più frequentemente cita è Croce, dal quale recupera il concetto di paesaggio - un concetto che, abbiamo visto, circola abbondantemente in altre pagine di Iannello - come "rappresentazione materiale e visibile della Patria, con le sue montagne, le sue foreste, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo". L'insieme di elementi contribuisce a formare l'identità nazionale, che dunque è un bene indivisibile. L'autorità dello Stato assume tratti di solennità mitica. Niente feluche o coccarde. Lo Stato e i suoi organi periferici, le prefetture, le sovrintendenze, sono il deposito del bene pubblico e della legalità, due elementi che non posseggono nulla dell'armamentario retorico, essendo un fine da perseguire. Le sue parole sono irrorate di cultura umanistica, un sapere nel quale cerca un insegnamento, un modello di vita, un'etica.

Il lavoro di dettatura va avanti con regolarità quasi quotidiana per i mesi di gennaio e febbraio. La voce si fa più debole. Insieme a Carlo, c'è un'altra persona inviata dall'Istituto di Marotta che raccoglie elementi e collaziona. Il libro è ormai pronto. A fine aprile escono le prime copie dalla tipografia. Il 2 maggio Iannello si spegne.

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