Sulla facciata del Palazzo di giustizia di Milano, in corso di restauro, cono stati montati due giganteschi pannelli pubblicitari (per la Lancia). Ventiquattro riflettori li illuminano in maniera accecante dalle 20-21 (quando è ancora chiaro) alle tre-quattro, quando da ore non transita più nessuno che possa goderseli. Semmai li subiscono i pochi abitanti resistenti (termine che propongo di usare al posto di residenti nei centri urbani spopolati) quasi dirimpettai, se non calano le serrande delle finestre senza lasciare il minimo distacco fra le stecche. Ogni fonte assorbe non meno di 5.000 watt, in tutto si tratta di 120.000 watt impiegati per circa otto ore allo scopo di farci sapere anche di notte, se abbiano il coraggio di alzare lo sguardo, che “loro” (chi, la fallimentare Fiat?) “sono contro il brutto” (questo lo slogan ripetuto sul margine inferiore dei pannelli). Impianti simili, tutti egualmente impressionanti per dimensione e/o per quantità di fari e loro potenza, ce ne sono dappertutto in città, dal centro alla periferia. A Milano l’odierna attività edilizia dominante e diffusa consiste nei restauri-ristrutturazioni, nella pulizia e ridipintura delle facciate, negli orribili sopralzi e trasformazione dei sottotetti in bei palazzi: tutte opere che, quand’anche non implichino lavori particolarmente gravosi, richiedono incastellature a tutta facciata che, appunto, diventano struttura del colossale cartellonismo. Inoltre c’è la piena disponibilità, per pannelli iperilluminati, di migliaia di metri quadri di cesate di cantieri in avvio o sospesi o di aree “in attesa”. Anni fa si cominciò a discutere della terza forma di inquinamento dopo quella atmosferica e quella da rumore: l’inquinamento luminoso, appunto, da considerare sia entro la questione del risparmio energetico, sia riguardo ai danni visivi. E non imperversava ancora in pieno questo tipo di pubblicità. Semmai si lamentavano tre fenomeni: l’eccesso di illuminazione pubblica in certe zone, e di quella privata nelle vetrine; la presenza, al di là di ogni effettiva utilità, degli apparati luminosi potentissimi su pali da venti metri per rendere sicuri – pretendeva l’amministrazione pubblica – determinati incroci, rotonde, cavalcavia, spazi più o meno verdi frequentati da homeless e immigrati (si voleva ostacolare l’uso delle panchine per la notte); la trasformazione dei monumenti più rilevanti in architetture fantasmatiche a causa di assurde luci dirette o riflesse. Tutto è andato in mona. Dell’aria si sa, sono mesi che i livelli dei diversi gas non sono misurati per evitare gl’interventi obbligatori; quanto al rumore (problema peraltro connesso all’uso di energia), non solo non si è adottato alcuna regola, ma si è assistito e si assiste ogni giorno a un incredibile peggioramento dovuto specialmente all’aumento dei motorini fuori legge e di ogni tipo di motociclette. Intanto, in questa città dotata di migliaia di magazzini d’abbigliamento, di altrettanti bar deputati a sfamare gl’impiegati nella sosta del mezzodì, di migliaia di palazzi destinati esclusivamente ad uffici, di grandi cinema, multisala e no, sono partiti gli impianti di condizionamento dell’aria. I quali, se non raggiungono il primato del differenziale fuori/dentro di una Phenix (Arizona), fino a venti gradi!, si battono bene all’italiana con un 10, 15 se la temperatura esterna raggiunge i 35 gradi.
Tutto questo ho pensato dopo aver letto certi articoli e la nuova discussione in eddyburg intorno al problema energetico e al caso particolare dell’ energia eolica. In primo luogo, la deprimente ennesima divisione, se non lo scontro, fra i movimenti ambientalisti. In secondo, il solito gioco delle accuse immotivate di conservatorismo a chi perora cautela nelle scelte, a chi non è disposto ad accettare danni irreversibili al territorio e al paesaggio in nome del dio Saoc (il nuovo Moloch Sviluppo ad ogni costo – economico ma più che altro cementizio). In terzo, contrapposte, la stranezza della posizione di un Edo Ronchi (il responsabile delle politiche della sostenibilità per i Democratici di sinistra), e l’irritazione di un Vittorio Emiliani, il presidente del Comitato per la bellezza. Il primo ha minimizzato la violenza d’impatto dei mulini a vento sul paesaggio italiano a causa della… mancanza di quest’ultimo: vale a dire, non facciamone un dramma, giacché poco resta del Bel Paese. Il secondo ha rimbeccato il primo ricordandogli che qui siamo in “quello che era ritenuto il Giardino d’Europa” e che fortunatamente vi governano regionalmente tipi come i Soru e i Vendola fautori di politiche energetiche non avulse dall’obbligo di tutelare il paesaggio. Da che parte stai? Qualcuno potrebbe domandare. La risposa è fin troppo scontata, stante l’ingenua idiozia della posizione di Ronchi. Tuttavia, se vogliamo utilizzare il pretesto energetico per discutere della bellezza sì/no del nostro paese, dovremmo aprire un’inutile discussione, giacché ampiamente superata da un mucchio di articoli, lettere, interventi, eccetera; per parte mia, poi, metto a disposizione l’intera raccolta degli scritti in eddyburg da quando vi intervengo. Il termine Malpaese, coniato da Giovanni Valentini ormai da un paio d’anni, è entrato nell’uso corrente. Emiliani, poi, rappresenta, insieme a Francesco Erbani, il meglio della cultura dedita a denunciare, come fossero novelli Cederna, le incredibili malefatte che il territorio e le città italiane hanno dovuto sopportare, anzi, che a un certo punto non hanno più potuto sopportare. Ultimo tocco, sul quale meditare, la relazione di questi giorni proprio del presidente Emilani riguardo all’incessante fenomeno di spopolamento e depauperamento di valori umani dei centri storici, contraltato dallo sprawl periferico di raggio sempre maggiore e dalla distruzione pura e semplice del paesaggio agrario. Allora? Dato per acquisito il giudizio su un’Italia disgraziato paese che ha mangiato in gran parte se stesso, è doveroso cercare di trasmetterne i residui nobili alle nuove generazioni (anche se potrebbero non sapere che la bellezza esiste...) e dunque preservarli da qualsiasi insolenza sviluppista, alias sovraimpiego di energia spacciato come irrinunciabile. Non sta a me, qui, non competente in fisica energetica, dare contributi alla soluzione del problema in senso tecnico, ma tengo a dichiararmi completamente in sintonia con la Carla Ravaioli (rileggi Energie rinnovabili e capitalismo, 12 giugno). Come compito generale “individuare la radice dell’insostenibilità sociale non meno che ecologica del nostro paese, e su questa base impegnarci”. Come scelta particolare prioritaria, semplice, pratica, facile da attuare perché non solo diminuisce i danni ma aumenta la qualità della vita, “risparmio energetico”, ma “non solo quello della sola ‘cosiddetta’ efficienza”, bensì “quello di un forte e progressivo contenimento della crescita, razionalmente pianificato e gradualmente attuato: insomma un modello economico e sociale diverso da quello oggi ovunque vincente”. Tuttavia si parta da quella “follia del nostro tempo” di cui fanno parte gli avvenimenti milanesi da me descritti, rispecchianti accadimenti analoghi in tutte le città: purché gl’indirizzi che le autorità deputate dovranno individuare, e i nuovi responsabili comportamenti dei cittadini che dovranno affermarsi non approdino a mere illusioni, dichiarazioni prive di atti davvero incisivi per bloccare e poi alleggerire l’insostenibile pesantezza dello spreco e dell’abuso. Una specie di lotta all’evasione fiscale, la lotta per ricuperare l’energia buttata via senza costrutto; poi per trasformarla in effettivo bene d’uso, coerente al bisogno sociale reale, misurato anche in rapporto alla povertà in buona parte dei paesi del mondo e allo scambio ineguale cui sono costretti dal dominio del capitalismo occidentale. Sperando che i risultati saranno all’opposto di quelli ottenuti nella lotta all’evasione fiscale, condotta senz’armi e soprattutto senza volontà di farla sul serio. Forse temevano, le autorità, che un forte ricupero di risorse monetarie (l’evasione totale ammonta a circa 130 miliardi di euro, cioè oltre 250.000 miliardi di vecchie lire) avrebbe gettato il paese in una condizione deflazionistica, con gran terrore dei produttori, ancor oggi rimpiangenti l’alta inflazione garanzia di esportazione per prodotti mediocri, e degli speculatori d’ogni risma (finanziaria, fondiaria, edilizia, commerciale…). Così, il ricupero energetico di una forte quota di MW troverà molti nemici, dal momento che il modello economico-energetico-sociale d’oggigiorno soddisfa troppi appetiti, è troppo redditizio (la pelle dei cittadini non conta) perché i poteri che contano decidano di limarne gli assetti inaccettabili, tanto appaiono assurdi, stupidi a un cittadino ancora dotato di un barlume di sentimento critico.