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Emma Bonino
Emma Bonino: «Nessun muro li fermerà»
18 Giugno 2015
Articoli del 2015
«In Europa la classe dirigente non è in grado di affrontare l’immigrazione». Il manifesto, 18 giugno 2015 (m.p.r.)

«C’è un’amnesia totale. Nes­suno si ricorda più di quando a emi­grare era­vamo noi ita­liani: milioni di per­sone in cerca di futuro e anche loro a bordo di carrette».

Emma Bonino ne è sicura, non ci sarà nes­suna bar­riera in grado di fer­mare chi è dispo­sto a lasciarsi alle spalle tutto ciò che ha pur di sal­varsi la vita o pro­vare o ricrear­sela in un altro continente.

«L’Unhcr ci dice che a breve ci saranno 50 milioni di rifu­giati veri e pro­pri. Poi biso­gna con­si­de­rare le migra­zioni di altro tipo - spiega -. Quello migra­to­rio è un feno­meno strut­tu­rale e anche se ci sono delle punte emer­gen­ziali nei vari con­ti­nenti, con­vive da sem­pre con l’umanità. Noi ita­liani ne siamo stati grandi pro­ta­go­ni­sti in pas­sato, tra la prima e la seconda guerra mon­diale. Dico sem­pre che una delle cose migliori che potreb­bero fare le scuole ita­liane è por­tare i ragazzi a visi­tare i musei dell’emigrazione ita­liana. C’è un epi­so­dio che mi piace citare: una volta un museo ha fatto un espe­ri­mento met­tendo a con­fronto due foto­gra­fie. Una rap­pre­sen­tava una nave di emi­granti ita­liani, l’altra la prima nave carica di alba­nesi che arrivò in Ita­lia nel 1991. Poi hanno chie­sto ai ragazzi quali erano gli ita­liani e quali gli alba­nesi. I ragazzi non hanno quasi mai indovinato».

I demo­grafi spie­gano come l’immigrazione sia sem­pre più impor­tante per le popo­la­zioni occi­den­tali. Eppure alziamo muri, fac­ciamo bloc­chi navali, respin­giamo le per­sone. Il nostro è egoi­smo o inca­pa­cità di capire quanto que­ste per­sone pos­sono essere pre­ziose per noi?
Secondo me c’è una inca­pa­cità della classe diri­gente di gover­nare il feno­meno e di man­dare i mes­saggi giu­sti. E’ chiaro che se una per­sona vede solo Sal­vini che sbraita in tele­vi­sione finirà per cre­dere che se suo figlio non trova lavoro è per­ché c’è un keniota che glielo ha rubato. Par­lare alla pan­cia fun­ziona sem­pre, spe­cie in un periodo di crisi vera. Eppure abbiamo tutte le infor­ma­zioni per capire che l’immigrazione può essere una risorsa. Oggi gli immi­grati (lega­liz­zati) in Ita­lia sono circa 5 milioni, con­tri­bui­scono all’8.8% del Pil, con­tri­bui­scono all’Inps, pagano le nostre future pen­sioni che loro godono molto poco per­ché la stra­grande mag­gio­ranza rien­tra al suo Paese appena può. Quindi cosa siamo, egoi­sti o inca­paci di capire? Io direi che siamo vit­time del popu­li­smo della classe diri­gente, ma per quanto riguarda l’opinione pub­blica in gene­rale par­le­rei di igno­ranza. Hanno creato una guerra tra poveri che fun­ziona benis­simo. La verità è un’altra, ed è che noi non vogliamo i poveri, ita­liani o non ita­liani che siano.

Lei in pas­sato ha sem­pre sot­to­li­neato la neces­sità di avere rap­porti di par­te­na­riato con i paesi del Medi­ter­ra­neo e ha spon­so­riz­zato la costi­tu­zione di un com­mis­sa­rio euro­peo per il Medi­ter­ra­neo invece di uno per l’Immigrazione. Per quello che val­gono i ragio­na­menti fatti con i senno di poi, se tutto que­sto si fosse attuato sareb­bero diverse le cose?
Par­liamo un attimo prima di quanto accade oltre il Medi­ter­ra­neo. In Asia c’è un gran­dis­simo movi­mento di cui i Rohin­gya sono solo la punta dell’iceberg. Pensi inol­tre ai Karen che, pove­racci, stanno nei campi pro­fu­ghi della Thai­lan­dia ormai da tre gene­ra­zioni e non rie­scono a rien­trare a Myan­mar né Myan­mar - che ha un cen­ti­naio di etnie - li vuole. Poi c’è la fron­tiera tra Mes­sico e Stati uniti, che ora è diven­tato il pro­blema Gua­te­mala, Mes­sico, Stati uniti, o l’esodo dalla Colom­bia per esem­pio. C’è il Vene­zuela… Molti sono movi­menti migra­tori pre­va­len­te­mente inter­la­tini, per­ché il Bra­sile va piut­to­sto bene eco­no­mi­ca­mente. Anche le migra­zioni del Medi­ter­ra­neo le pos­siamo con­si­de­rare intra­con­ti­nen­tali, per­ché il Medi­ter­ra­neo è poco più di un grande lago che ci uni­sce all’Africa. E qui cosa abbiamo? Da una parte un con­ti­nente in rapido declino demo­gra­fico, l’Europa, ma che è ancora il più ricco per quanto riguarda wel­fare, istru­zione, siamo anche più equi­li­brati degli Stati uniti. A Sud invece c’è un giar­dino d’infanzia, un con­ti­nente con una cre­scita demo­gra­fica ovun­que per­lo­meno del 3–4%. Poi c’è la parte Sahel tor­men­tata da guerre, dit­ta­ture, Boko Haram, Sha­baab (movi­mento isla­mi­sta somalo, ndr). Dove vuoi che vada que­sta gente? In Botswana? Non è che uno sic­come è pove­rac­cio e senza pro­spet­tive di vita nel suo Paese, è anche igno­rante. Quindi va dove pensa di avere una spe­ranza, una pos­si­bi­lità, cioè in Europa. Dove magari ha già fami­glia o cono­scenti o amici.

Il pro­blema è che il numero dei con­flitti pre­senti a Sud aumenta quotidianamente.
Que­sto è un momento della sto­ria che pos­siamo defi­nire di risve­glio arabo e di con­ta­mi­na­zioni di vario tipo, per­ché c’è anche il ter­ro­ri­smo. Noi euro­pei era­vamo abi­tuati a lavo­rare solo con le élite, ne cono­sce­vamo vita, morte e mira­coli, le mogli, le amanti e con loro trat­ta­vamo. Ricordo che quando mi sono tra­sfe­rita al Cairo, nel 2001, dopo un po’ comin­ciai a fare una ras­se­gna stampa del mondo arabo per Radio Radi­cale nella quale pro­vai a dire: guar­date che qui c’è vera­mente una bomba a oro­lo­ge­ria. Par­lavo dal punto di vista sociale demo­gra­fico, non inte­re­li­gioso. In que­gli anni l’Egitto era pieno di bam­bini, ma con nes­suna cre­scita eco­no­mica, un milione di nuovi ragazzi che si affac­cia­vano al mer­cato del lavoro ogni anno, pro­spet­tive zero, tutti inter­con­nessi e la stra­grande mag­gio­ranza di loro non aveva mai visto un’altra fac­cia oltre alla foto­gra­fia di Muba­rak appeso al muro di casa sua. Mi sem­brava che ci fosse un sub­bu­glio, un popolo che in qual­che modo bron­to­lava. Avevo la stessa impres­sione anche per la Tuni­sia per dire la verità, ma quando pro­vavo a dirlo mi rispon­de­vano che no, erano popoli stabili.

Per­ché vive­vano sotto dit­ta­ture che li obbli­ga­vano a essere stabili.
Certo, ma erano come una pen­tola a pres­sione senza val­vola e quindi pronti a scop­piare. Non ave­vano nes­suna agi­bi­lità poli­tica, o sin­da­cale. Niente di niente. All’epoca si poteva fare poli­tica solo il venerdì nelle moschee, unico spa­zio che veniva dato, con tutte le com­pli­ca­zioni che ne pote­vano deri­vare. Non sapevo quando e dove tutto que­sto sarebbe sfo­ciato, ma avevo l’impressione che tutta la regione fosse così: un giar­dino d’infanzia, senza sfo­ghi poli­tici né pos­si­bi­lità di alter­na­tive poli­ti­che, nes­suna pro­spet­tiva eco­no­mica salvo ovvia­mente le monar­chie del Golfo, ma que­sto è un altro discorso. E infatti sia l’Egitto che la Tuni­sia fin­ché hanno potuto hanno fatto una grande poli­tica di sus­sidi, al pane, alla ben­zina, a qua­lun­que cosa. Però non hanno retto, nono­stante i poten­tis­simi ser­vizi segreti. Tor­niamo allora alla mia pro­po­sta di un com­mis­sa­rio per il Medi­ter­ra­neo. Quando la lan­ciai ho pen­sato che sarebbe stato impor­tante – e lo penso anche ora — fare una poli­tica di con­te­ni­mento, cer­care di aiu­tare quei Paesi che ancora non sono nel bara­tro: Tuni­sia, Marocco, Alge­ria. Vogliamo par­lare dell’Algeria, capire un attimo cosa sta suc­ce­dendo lì? Qua­ranta milioni di per­sone, tan­tis­simi gio­vani, quasi tutti nati dopo o durante la guerra civile, un bilan­cio dello Stato che si è ridotto del 50% per il crollo del petro­lio. E’ vero che hanno riserve per due o tre anni, ma anche in Alge­ria - che non esporta nulla - hanno sem­pre tenuto calma la popo­la­zione con sus­sidi che prima o poi dovranno comin­ciare a ridurre. E allora cosa accadrà?

Certo che di fronte a un simile sce­na­rio l’Europa che litiga per divi­dersi 40 mila pro­fu­ghi fa pensare.
Il piano Junc­ker è impor­tante dal punto di vista del prin­ci­pio, per­ché in defi­ni­tiva rimette in discus­sione il trat­tato di Dublino. Non è tanto quindi il risvolto pra­tico della vicenda. Nella timi­dezza com­ples­siva bru­xel­lese a cui siamo abi­tuati, in par­ti­co­lare della com­mis­sione Bar­roso, devo dire che la com­mis­sione Junc­ker è stata piut­to­sto decisa e ha posto almeno in discus­sione tre o quat­tro argo­menti con­si­de­rati finora un tabù, anche se per ora una revi­sione del rego­la­mento di Dublino non passa, per­ché non ci sono i numeri necessari.

L’Italia aveva salu­tato come un suc­cesso la pro­po­sta della com­mis­sione Junc­ker di divi­dere 40 mila pro­fu­ghi tra gli Stati mem­bri, ma l’entusiasmo è durato poco.
Il fatto è che i migranti sono una prio­rità per noi, ma non per i Paesi che si tro­vano dall’altra parte del Medi­ter­ra­neo. Non pos­siamo andare in Tuni­sia a dire: tene­tevi i migranti, anzi aprite un campo pro­fu­ghi e un uffi­cio per gestire l’emigrazione legale per­ché noi prima o poi apri­remo le quote. La rea­zione è scon­tata: oltre al milione di libici che già abbiamo, e che in un Paese di 11 milioni di abi­tanti sono un pro­blema non da poco, dovremmo ospi­tare anche tutti gli afri­cani che ver­reb­bero in attesa di avere un canale legale? E non basta pro­met­tere ulte­riori finan­zia­menti. La mia idea è che nes­suno ha solu­zioni mira­co­lose, nean­che i più decisi guer­ra­fon­dai, quelli con­vinti che biso­gna andare in Libia e bom­bar­dare non si è capito chi, come, né dove, però poi boots on the ground nes­suno li vuole mettere.

Sarà anche per que­sto che l’Onu tarda a fare la riso­lu­zione che darebbe il via alla mis­sione euro­pea con­tro gli scafisti?
L’Onu tarda per­ché sono state espresse una serie di riserve. Una è quella della Rus­sia, che non vuole essere bypas­sata come accadde nel 2011 quando con la moti­va­zione di sal­vare Ben­gasi è stato fatto fuori Ghed­dafi. Quindi fino a quando non c’è un lin­guag­gio pre­ciso che assi­curi alla Rus­sia chi, dove, come, quando vuole fare que­sta ope­ra­zione, non si muove nulla. Il piano pre­sen­tato poi è troppo ambi­guo, non si capi­sce cosa si deve fare e per quanto tempo. Tutta que­sta ope­ra­zione a mio mode­sto avviso non va da nes­suna parte, almeno non come era stata pen­sata inizialmente.

E allora come ne usciamo?
Chiun­que abbia in mente una solu­zione mira­co­losa, secondo me vende fumo. Credo che que­sta situa­zione si tra­sci­nerà ancora a lungo. In Libia, per esem­pio, oltre alle mili­zie locali è in corso la con­ti­nua­zione della guerra intra­sun­nita, per­ché Tobruck rap­pre­senta Egitto, Ara­bia Sau­dita ed Emi­rati men­tre Tri­poli Qatar e Tur­chia. Poi la poli­tica è molto fra­gile e non so se adesso la Tur­chia vuole ancora con­ti­nuare la sua pre­ce­dente poli­tica regio­nale oppure no. Ma anche quello che sta suc­ce­dendo in Ara­bia sau­dita dove la tran­si­zione dopo la morte del re non è affatto così tran­quilla come ce l’hanno dipinta. Atten­zione, per­ché le alleanze sono fra­gili. Penso che oggi stiamo assi­stendo a una guerra tra di loro, una guerra che noi abbiamo con­tri­buito a far scop­piare dal 2003 con l’Iraq senza sapere bene che fare il giorno dopo.

Quindi che fare? Secondo me il com­mis­sa­rio per l’Immigrazione andrebbe sosti­tuito da un nuovo respon­sa­bile della poli­tica che guardi a Sud e si con­cen­tri su quei tre Paesi che ancora reg­gono ed hanno inte­ressi veri ad un rap­porto più appro­fon­dito con l’Europa… Biso­gna sepa­rare Est da Sud sono due mondi diversi che invece trat­tiamo alla stessa maniera, con le stesse regole, gli stessi modelli, lo stesso com­mis­sa­rio e un unico bilan­cio di 15 miliardi di euro dal 2015 al 2020 dei quali non si capi­sce quanto va a Est e quanto va a Sud. Serve invece un com­mis­sa­rio solo per il Sud che tenga conto delle nostre prio­rità, come l’immigrazione, ma che sia capace di dia­lo­gare con que­sti Paesi che hanno tutt’altre esi­genze. A loro dell’emigrazione non inte­ressa molto, anzi sem­mai spe­rano nelle rimesse e in un alleg­ge­ri­mento interno anche sociale.
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