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Francesco Erbani
Emilia, Lite sulle demolizioni facili “campanili e torri andavano salvati”
11 Giugno 2012
Beni culturali
Anche il terremoto è utile per eliminare quei maledetti ”vincoli” La Repubblica , 11 giugno 2012

L’espressione è forte, pulizia etnica. Sta a indicare le demolizioni di campanili e di torri nei paesi emiliani flagellati dal terremoto. E a usarla è Italia Nostra, dietro le cui insegne si ingrossa la schiera di chi vorrebbe metterli in sicurezza, quei monumenti, e non abbatterli. L’espressione la spiega l’architetto Elio Garzillo, fino al 2004 soprintendente e direttore regionale dei Beni culturali in Emilia Romagna: «Quando si demoliscono edifici dicendo che sono di scarso valore, si procede in base al principio che in architettura si può salvare solo ciò che è d’altissimo pregio. È un’idea culturalmente arretrata ».

Il j’accuse viene rilanciato oggi in un incontro promosso a Bologna da Italia Nostra (oltre a Garzillo, partecipano l’architetto Pierluigi Cervellati, Giovanni Losavio e Anna De Rossi, presidenti delle sezioni di Modena e di San Felice sul Panaro, ed Emanuela Guidoboni, storica dei terremoti). Dopo il sisma del 20 e del 29 maggio, una delegazione di Italia Nostra ha battuto l’area più colpita. Urbanisti e architetti hanno visto ciò che resta dei campanili demoliti a Poggio Renatico e Buonacompra, della ciminiera di Bondeno o del Mulino Parisio a Bologna.

Mentre si aspetta di conoscere la sorte delle torri di Reno Centese, Castelmassa, Ficarolo, San Giacomo Roncole e Suzzara, è soprattutto il ministero dei Beni culturali, il bersaglio di roventi critiche: «Le strutture statali di tutela hanno dimostrato un’inedita disponibilità ad autorizzare o tollerare tutte le demolizioni».

Il punto è questo, secondo Garzillo: la sicurezza dei cittadini poteva essere garantita con interventi di consolidamento dei monumenti, senza ricorrere alle demolizioni, per le quali — come a Poggio Renatico — si è usata anche la dinamite. O agli “smontaggi controllati”, secondo alcuni un ipocrita eufemismo, secondo altri la condizione indispensabile per un’eventuale ricostruzione.

La memoria torna al terremoto in provincia di Reggio Emilia del 1996. «A Correggio e a Villa Sesso — racconta Garzillo — siamo intervenuti per incatenare e imperniare i campanili. A Bagnolo in Piano la torre campanaria era completamente sfalzata, sembrava un mazzo di carte sparpagliate. Abbiamo messo putrelle e proceduto con incollaggi. Il lavoro è durato sette giorni e costato 50 milioni di lire. Sono operazioni di prevenzione nell’emergenza, tutte ampiamente documen-tate: basta spulciare gli archivi della Soprintendenza e della Direzione regionale». E invece? «E invece ora si è assecondata la Protezione civile, che fa bene il proprio lavoro, ma deve trovare negli organi del ministero per i Beni culturali un interlocutore consapevole del proprio compito. Che è quello di salvaguardare un monumento e di demolire solo in casi di assoluta necessità».

Secondo Giovanni Losavio, magistrato di Cassazione, il vizio d’origine è nel decreto del ministero che attribuisce il coordinamento degli interventi alla Direzione regionale e non alle Soprintendenze. «Ma la Direzione regionale », spiega Losavio, «è un organo prevalentemente ammini-strativo e non ha le competenze operative e tecniche proprie delle Soprintendenze. In questo modo la tutela è condannata a essere subordinata alla Protezione civile ».

In molti casi le demolizioni sono chieste a gran voce dalle stesse popolazioni. Alcuni sindaci, come Alberto Silvestri di San Felicesul Panaro, hanno spiegato che «tutti i monumenti hanno pari diritti ». Invoca abbattimenti l’assessore della Provincia di Mantova, Alberto Grandi, («dolorosi, ma inevitabili»), beccandosi da Salvatore Settis l’appellativo di Attila.

La memoria di Garzillo corre indietro nel tempo. Giovane funzionario della Soprintendenza napoletana, visse il terremoto del 1980 in Irpinia e Basilicata. «L’allora ministro dei Beni culturali Oddo Biasini mandava ispettori a chiedere a ognuno di noi quanti pronti interventi avevamo realizzato, quanti monumenti avevamo messo in sicurezza. Operazioni che praticavamo sfidando anche le ire di altre istituzioni. Ora la prassi è molto più accomodante».

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