Il Fatto Quotidiano, 25 novembre 2016 (p.d.)
Nella stessa direzione vanno alcuni aspetti della proposta di riforma costituzionale. Essa è assai complessa, riguardando ben 47 articoli sui 139 della Costituzione (un terzo), e perciò la sua stessa estensione (3000 parole) è di per sé una scelta poco democratica, perché rende difficilissimo al cittadino studiarne ogni aspetto, e praticamente impossibile pronunciarsi consapevolmente con un ‘sì’ o un ‘no ’ (...). Esso assume in tal modo un carattere fiduciario e plebiscitario, che espropria i cittadini della propria individuale ragion critica, e chiede loro di pronunciarsi a favore sulla base degli slogan martellati dal governo.
Una volta assicurata alla Camera dei deputati una maggioranza forte al partito di governo (con la legge elettorale), il Senato viene neutralizzato abolendone l’elettività e trasformandolo in un’assemblea di sindaci e consiglieri regionali che ne saranno membri part-time. Poco importa che gli Statuti di alcune Regioni vietino espressamente ai loro consiglieri regionali di ricoprire qualsiasi altro incarico pubblico; (...) che il nuovo Senato sia a composizione variabile (i suoi membri scadono uno per uno, via via che decadono dal loro incarico regionale o comunale); che l’intricatissimo art. 70, combinato con altri (art. 55) preveda una moltitudine di interazioni Camera-Senato che, a parere di 11 ex presidenti della Corte costituzionale, porteranno a una paralisi del processo legislativo.
Le complicazioni procedurali (presentate come “semplificazioni”), la moltiplicazione dei percorsi di approvazione delle leggi,i potenziali conflitti di competenza avranno per effetto di rendere arduo e lento il funzionamento del Parlamento, con ciò favorendo di fatto la supremazia del governo e il suo potere.
Non è stato dunque abolito il Senato, ma i suoi elettori (cioè i cittadini).Lo stesso è accaduto a livello territoriale con la cosiddetta abolizione delle Province, che di fatto sopravvivono come circoscrizioni amministrative, quanto meno con la figura del Prefetto, funzionario del governo che continua ad avere in ogni capoluogo di provincia funzioni importanti, anzi accresciute dalla legge Madia (al punto di potersi anche sostituire al parere tecnico dei Soprintendenti in materie delicate come gli illeciti paesaggistici). Anche in questo caso, non è la provincia che è stata abolita, bensì i cittadini della provincia. (...).
Con questi e altri artifizi, la nuova proposta di riforma costituzionale accresce i poteri del governo allontanando gli elettori dalla politica, diminuendo le istanze in cui i cittadini sono chiamati a esprimersi, riducendo l’autorevolezza del capo dello Stato. Temi, questi, che non risultano in alcun modo dalla scheda approntata per il quesito referendario, che riproduce il titolo, abile perché manipolatorio, della legge di riforma.
Per questo il referendum del 4 dicembre sarà un test importante e rivelatore. Ci mostrerà se sta prevalendo in Italia un’idea di politica come meccanismo chiuso e privilegiato che garantisca la governabilità limitando lo spazio della democrazia;ovvero un’idea di democrazia partecipata, dove moltiplicare e non ridurre le istanze di partecipazione attiva dei cittadini, di espressione del voto, di scelta dei candidati, incrementando e non demolendo la forma-partito con la sua democrazia interna, diffondendo informazioni corrette e non manipolate, puntando sulla coscienza critica dei cittadini e non sulla loro obbedienza.