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Stacy Mitchell
Effetti delle grandi catene commerciali sulle comunità
13 Luglio 2005
Archivio 2004
Un'analisi documentata, di un'urbanista, che va contro molti luoghi comuni di solito dati per scontati. Da un intervento alla Conferenza annuale della American Planner's Association, 2000 (fb)

Titolo originale, The Impact of Chain Stores on Community– Traduzione di Fabrizio Bottini

Lasciate che cominci leggendo qualcosa scritto da Jane Jacobs nel suo La vita e la morte delle grandi città americane, sulle relazioni fra attività a gestione locale e vita comunitaria. “Comunità” è una parola tanto usata, che raramente ci fermiamo a considerarne il significato. Per Jacobs, quello che costituisce la comunità non è nessuna cosa in particolare, piuttosto le molte piccole interazioni che si verificano nella nostra vita quotidiana.

”Essa nasce” scrive “dalla gente che si ferma al bar per una birra, ricevendo informazioni dal droghiere e dandone all’edicolante, confrontando le opinioni con gli altri clienti della panetteria e lanciando un saluto ai due ragazzi che bevono gazzosa sul portico ... sentendo di un lavoro dal ferramenta e prendendo a prestito un dollaro da farmacista ...

”La maggior parte di tutte queste cose è evidentemente banale, ma la loro somma non lo è affatto. La somma di questi contatti sociali casuali, a livello locale ... la maggior parte casuali, la maggior parte legata alle commissioni ... è un senso di identità collettiva per la gente, una rete di rispetto e fiducia generale, e una risorsa in tempi di bisogno personale o di quartiere. La mancanza di questa fiducia è un vero disastro, per una via urbana”.

Quello descritto qui dalla Jacobs potrebbe essere un quartiere urbano, o un piccola città. La caratteristica che lo definisce – a ben vedere lo stesso fondamento di questa comunità così legata – è la fiorente attività commerciale del posto. È uno spazio di piccoli negozi e marciapiedi; un posto dove lo spazio privato e quello pubblico si sovrappongono; un posto dove acquistare beni e servizi da esercizi gestiti dai nostri vicini.

Posti come questo sono sempre più rari. Le strade piccole, a scala di pedone, stanno cedendo il passo ai grossi impersonali shopping centers. La vita di strada ne soffre, e le nostre commissioni quotidiane ruotano sempre più attorno a luoghi accessibili solo in automobile. Gli esercizi di proprietà locale stanno scomparendo, scacciati da catene nazionali che hanno pochi legami e nessun impegno di lungo termine verso la comunità.

La perdita di negozi a proprietà locale e il ritmo della concentrazione commerciale sono vertiginosi. 11.000 farmacie indipendenti hanno chiuso da 1990. Le librerie indipendenti sono crollate dal 58 per cento delle vendite librarie del 1972 al solo 17 per cento di oggi. I commercianti locali di ferramenta e casalinghi sono in declino, e due sole compagnie si sono prese il 30 per cento del mercato. La Blockbuster noleggia uno su tre video a livello nazionale. Cinque imprese controllano un terzo del mercato alimentare, dal 19 per cento di soli cinque anni fa. Un solo marchio, Wal-Mart, conta sul 7 per cento di tutta la spesa dei consumatori. Se continua la tendenza attuale, i commercianti indipendenti potrebbero presto diventare una cosa del passato. Ma, nel mezzo di questa espansione senza precedenti delle grandi imprese commerciali nazionali, si manifesta un’altra tendenza: un crescente numero di comunità respinge le grandi catene commerciali.

La scorsa estate, i residenti di Ashland, Virginia, hanno costruito una ispirata campagna per bloccare la proposta di un Wal-Mart. In ottobre, la locale Planning Commission ha votato all’unanimità contro il progetto. A Chelsea, Michigan, gli abitanti hanno organizzato un pic-nic per protestare contro il progetto di un drugstore Rite Aid. L’evento ha raccolto una folla di 1.100 persone. Rite Aid ha rapidamente fatto marcia indietro. Cose simili stanno succedendo in tutto il paese.

A ben vedere, negli ultimi due anni sono sorti dozzine, forse centinaia, di gruppi di quartiere a proteggere le attività a radicamento locale. A Lake Placid, New York, un gruppo conosciuto come Residents for Responsible Growth sta lavorando con i centri vicini per costruire una risposta a scala regionale all’espansione delle grandi catene. A Flagstaff, Arizona, sono stati l’arrivo di Barnes & Noble e di Home Depot, a spingere i residenti a formare il Friends of Falstaff’s Future. A Northfield, Minnesota, i Citizens for Responsible Development lavorano per difendere la storica Main Street commerciale della città, e i negozi locali.

Consumatori

Il dibattito sulle grandi catene di distribuzione è spesso presentato come una lotta fra i nostri cuori e i nostri portafogli. Possiamo piangere la perdita del droghiere dell’angolo, un’istituzione del quartiere per tre generazioni, o la libreria indipendente della zona, ma alla fin fine crediamo che, come consumatori, stiamo meglio senza. Tendiamo a ritenere scontato quanto detto dalle grandi catene, ovvero che ci portano prezzi più bassi e una più ampia varietà.

Ma nel lungo termine il consumatore è meglio servito quando sono in molti a competere sul mercato. Le grandi corporations del commercio come Home Depot, Toys “R” Us e Best Buy sono conosciute nel settore come “ category killers”. Il nome ha un suo senso. Questo tipo di commercio non ha intenzione di competere con i negozi locali: mira ad essere la sola selvaggina in città.

Normalmente, una grande catena entra nel mercato locale esibendo grossi sconti. Molte catene utilizzano prodotti in perdita per attirare clienti. Si sa che Wal-Mart ha venduto confezioni da cinque litri di latte per 25 centesimi, o etichettato interi settori merceologici con prezzi inferiori a quelli di costo. Questo scatena una battaglia che i commercianti locali non possono vincere. Se non si adeguano ai prezzi delle grandi compagnie rischiano di perdere clienti. Se si adeguano a quei prezzi, perdono denaro su ogni vendita. Se una grande compagnia può permettersi di gestire un nuovo punto vendita in perdita per un tempo indeterminato, è solo questione di tempo prima che un esercizio locale sia costretto a chiudere. Una volta eliminato il concorrente locale la grande catena tende ad alzare i prezzi. In Virginia, una ricerca su parecchi negozi Wal-Mart a livello statale ha rilevato prezzi che variavano fino al 25 per cento. I ricercatori ne hanno concluso che i prezzi salgono nei mercati dove nel commercio ci sono pochi concorrenti. Una conclusione simile è stata ricavata in un’analisi su Home Depot. I prezzi erano fino al 10 per cento più alti a Atlanta, se paragonati ai mercati più competitivi di Greensboro, nel North Carolina.

Per quanto riguarda la scelta più ampia, i consumatori dovrebbero stare particolarmente in guardia riguardo alle dichiarazioni delle grandi compagnie. I commercianti indipendenti di solito sono i primi e mettere in vendita i prodotti delle imprese più piccole. Al contrario, le grandi catene rifiutano di avere rapporti commerciali con le aziende piccole e medie. Preferiscono avere a che fare solo con grossi produttori. Il risultato è che i piccoli produttori – anche quelli che fanno prodotti innovativi, pubblicano grandi libri, o distribuiscono film d’avanguardia – stanno vivendo tempi di crescenti difficoltà a raggiungere i consumatori.

Considerate gli effetti di tutto questo sul mercato librario. Borders Books e Barnes & Noble sicuramente stipano un gran numero di titoli sotto lo stesso tetto, ma si tratta virtualmente degli stessi titoli, che si trovano in ciascuno dei loro 2000 negozi. Nonostante le librerie locali tendano ad essere più piccole, collettivamente mettono a disposizione – e promuovono – molti più titoli di qualunque delle grandi catene. Si prendono il rischio di autori sconosciuti o di piccoli editori. Una quantità di scrittori best-seller, compresi Barbara Kingsolver e Amy Tan, affermano che senza librai indipendenti i loro primi libri sarebbero silenziosamente andati invenduti.

Economie locali

Anche se le grandi catene ci fanno risparmiare qualche dollaro prima o poi, la cosa ci costa cara. Le compagnie contribuiscono molto meno degli esercizi indipendenti all’economia locale.

I costruttori spesso presentano i nuovi insediamenti commerciali come grandi arricchimenti nell’economia locale. Sottolineano la crescita nelle vendite e le opportunità d’acquisto. Elencano le nuove opportunità di lavoro e il nuovo gettito fiscale che i negozi porteranno con sé.

Quello a cui spesso non si fa caso è l’altro lato del documento di bilancio. A differenze delle nuove fabbriche, che creano davvero crescita economica, i nuovi negozi semplicemente spostano la spesa dei consumatori da un’area all’altra della città. Un nuovo negozio big-box può avere successo solo a spese di altri esistenti.

Uno studio condotto in Iowa, ad esempio, ha rilevato che i nuovi punti vendita Wal-Mart traggono una media dell’84 per cento del volume di vendite da esercizi già esistenti in città. Conclusioni simili sono state raggiunte in studi sull’insediamento di big-box in Massachusetts, Maine, Vermont, New York, California e Virginia.

Quello che tutti gli studi mostrano è che molto poco delle vendite generate da un nuovo negozio rappresentano una nuova spesa. Invece, questi insediamenti semplicemente spostano attività economica da una parte di città all’altra. Il risultato finale non è sviluppo economico, piuttosto delocalizzazione economica.

Uno studio su Greenfield, Massachusetts, ha concluso che un proposto Wal-Mart sarebbe costato agli esercizi esistenti 35 milioni di dollari in vendite. I nuovi 177 posti di lavoro guadagnati col Wal-Mart sarebbero stati compensati dalla perdita di 148 posti in altre attività. Uno studio simile su St. Albans, Vermont, ha rilevato che un nuovo Wal-Mart avrebbe derivato il 76 per cento delle proprie vendite da esercizi locali. Molti di questi negozi sarebbero stati obbligati a chiudere, portando a un significativo declino nel totale occupati del commercio, e del gettito fiscale degli immobili.

Il passaggio dalle attività a gestione locale alle grandi catene distributive implica anche la perdita di significativi benefici economici secondari.

I negozi locali inseriscono i propri profitti entro un circuito economico pure locale. Sostengono una serie di altre attività. Creano opportunità per imprese di servizio, come attività contabili o tipografie. Fanno affari con la banca locale. Fanno pubblicità attraverso le radio indipendenti, e altri media a base locale. Acquistano beni da distributori cittadini o regionali. In questo modo, ogni dollaro speso in un negozio locale è un rivolo di beneficio economico che scorre attraverso la comunità.

Al contrario, le grandi catene tipicamente centralizzano tutte queste funzioni nei loro uffici direzionali. Mantengono spese e investimenti locali al minimo. Fanno affari con le grandi banche nazionali. Evitano le radio locali, a favore della pubblicità nazionale. In questo modo, la gran parte di ogni dollaro speso in un negozio delle grandi catene esce immediatamente dalla comunità.

I piccoli negozi indipendenti creano anche differenziazione economica, e stabilità. Dato che sono di proprietà locale, sono saldamente radicati nella comunità. È improbabile che si trasferiscano e faranno del loro meglio per affrontare anche i momenti di crisi peggiore.

Al contrario, le grandi catene tendono ad essere “amici per i tempi buoni”. Sono altamente mobili, e abbandoneranno una localizzazione appena i margini di profitto scendono sotto le aspettative. Lo scenario peggiore è quando un negozio big-box si insedia all’esterno della città, distrugge il tessute commerciale centrale, e poi dopo pochi anni decide di chiudere. La città è lasciata con una Main Street senza vita, e niente che possa sostituirla. A livello nazionale, ci sono più di 300 Wal-Mart vuoti. È molto difficile trovare un affittuario per questi edifici monouso, che spesso rimangono inutilizzati per molti anni.

Una comunità che ha perso il commercio locale a favore delle grandi catene nazionali, rischia anche di perdere altre opportunità di sviluppo economico. Le nuove tecnologie hanno messo molte imprese in grado di operare virtualmente ovunque. Quando queste compagnie esaminano le opportunità di localizzazione, i centri con un nucleo commerciale vitale e caratteristiche definite, spesso sono in cima alla lista.

Comunità

Da un punto di vista economico, ci sono molti argomenti per sostenere che le grandi compagnie non siano la cosa migliore. Ma forse, più significativi di qualunque considerazione economica, sono i benefici qualitativi della proprietà locale. Gli esercizi a gestione locale rendono forti le comunità. Forniscono la base per la rete di relazioni e fiducia che Jane Jacobs riteneva tanto essenziale per una sana vita di quartiere.

Ci sono molti motivi, per questo. Il primo è che i negozi indipendenti tendono a localizzarsi in distretti commerciali a dimensione umana, orientati alla mobilità pedonale, tutto l’opposto dell’esperienza di vuoto e isolamento del parcheggio di una grande catena.

La seconda ragione è che i negozi locali creano un senso del luogo e della identità comunitaria. Riflettono la cultura locale. Danno al quartiere l’atmosfera particolare. Sono spesso fonte di orgoglio collettivo e attraggono visitatori.

Al contrario le grandi catene sfrondano la comunità delle sua caratteristiche individuali. Anche le città americane più famose stanno perdendo il loro fascino unico. Kmart, Costco e Home Depot stanno costruendo a Manhattan. La Quinta Strada è abitata da Starbuck e da The Gap. Potete trovare gli stessi negozi sulla Michigan Avenue a Chicago, a Market Street a San Francisco, e in migliaia di altri posti nel mondo.

L’arrivo delle grandi catene può anche comportare la distruzione di importanti caratteristiche locali. Per esempio a Richmond, Indiana, è stata demolita una Friends Meeting House del 1876 per far posto a un drugstore CVS. A Nashville, gli Jacksonian Apartments, candidati al Registro Nazionale dei Luoghi Storici, sono stati rasi al suolo per un drugstore Walgreen.

Il terzo modo in cui gli esercizi indipendenti rafforzano la comunità, è attraverso il loro contributo alla vita civica e culturale. I commercianti locali sono qualcosa di più che fornitori di beni e servizi. Spesso assumono un ruolo guida nelle cose della comunità. Molti presiedono organizzazioni di quartiere, ospitano eventi culturali, organizzano festival locali. Secondo la Small Business Administration, i piccoli negozi danno più denaro alle organizzazioni caritatevoli, di quanto non facciano i loro concorrenti più grandi. Visto che vivono nei luoghi dove fanno affari, i negozianti locali tendo ad essere molto più impegnati nel benessere della comunità, e nella sua stabilità a lungo termine, di quanto non facciano le distanti corporations. Questo impegno di manifesta in vari modi. A St. Paul, Minnesota, per esempio, la locale cooperativa di consumo ha recentemente aperto un nuovo negozio in un quartiere a basso reddito, su una proprietà che era stata inutilizzata per anni. Come accade in molti progetti edilizi, la cooperativa ha incontrato costi più alti di quanto non ci si fosse aspettati. Allora numerosi commercianti locali, tra cui il libraio, sono entrati nell’affare garantendo un congruo e indispensabile prestito. Nel frattempo Barnes & Noble e Border Books, entrambi con negozi in città, non si trovavano da nessuna parte.

Infine, il passaggio dalla proprietà locale ad una lontana e assente significa che le decisioni d’impresa non sono più prese sul posto, da membri della comunità. Chi decide se chiudere o no un negozio in difficoltà in un quartiere in crisi, mettere in vetrina un libro discusso, vendere prodotti delle campagne locali, pagare un contributo perpetuo, o versare fondi a un’associazione di beneficenza? Nel caso delle grandi catene, queste decisioni vengono prese in lontane stanze riunioni, dove i valori della comunità locale hanno poco o nessun peso.

La perdita di un sistema decisionale locale, e il crescente potere di un piccolo numero di grandi compagnie, ha implicazioni democratiche. Nel 1952 il senatore Hubert Humphrey si chiedeva: “Vogliamo un’America dove il mercato economico sia occupato da pochi Frankenstein e giganti? O vogliamo un’America dove ci siano migliaia e migliaia di piccoli imprenditori, uomini d’affari indipendenti e piccoli proprietari immobiliari, che possono girare a testa alta e parlare al Governo o a chiunque altro?”

Nuove regole

Ci sono enormi vantaggi, nella scelta della seconda strada. La nostra capacità di farlo dipende non solo dalle nostre decisioni in quanto consumatori, ma da quelle che prendiamo in quanto cittadini. Le azioni di chi costruisce politiche, e in particolare degli urbanisti, hanno un ruolo critico nel rivitalizzare l’economia locale, e nell’assicurare che gli esercizi cittadini continuino ad essere parte vitale delle comunità.

Molti, sostengono che il settore pubblico non dovrebbe intervenire nelle forme dell’economia. Questo è, dopotutto, un libero mercato.

Ma le politiche pubbliche non sono mai neutrali, e nei fatti hanno giocato un ruolo centrale nell’espansione delle grandi catene a livello nazionale. In molti modi, le politiche pubbliche hanno indebolito il commercio locale conferendo alle grandi corporations iniqui vantaggi.

Se ne possono trovare esempi a tutti i livelli di governo. Il Congresso, per esempio, ha esentato compagnie come Amazon.com e Barnes & Noble da alcune tasse sulle vendite via internet. Questo di fatto da’ a queste imprese un vantaggio di prezzo dal 6 all’8 per cento sui commercianti locali.

A livello cittadino e statale incentivi fiscali e altri generi di sostegno sono messi continuamente a disposizione delle grandi catene. In Wisconsin qualche anno fa furono mesi a disposizione quasi 20 milioni di dollari per un centro di distribuzione dei negozi Target. La municipalità di Rochester, Minnesota, ha speso 3 milioni per attirare Barnes & Noble. A Long Beach, California, si è rinunciato a 6 milioni di tasse per un insediamento che conteneva Kmart. In Florida, Walgreen ha chiesto una riduzione di 4,5 milioni di tasse statali e locali per la costruzione di un nuovo magazzino generale.

Esempi simili si possono trovare in tutto il paese. Anche se la vostra città non mette a disposizione questi sussidi, le grandi compagnie che si espandono lì sono in grado di farlo grazie a finanziamenti pubblici ricevuti altrove. Raramente esenzioni fiscali e sostegni sono dati agli esercizi a proprietà locale. Invece, essi vedono spesso i propri dollari di tasse usati per sostenere la concorrenza.

In altri casi, i governi cittadini hanno sfrattato esercizi locali per far posto agli insediamenti delle grandi catene. Un progetto attualmente in esame a Pittsburgh, propone di demolire 60 edifici, con rimozione di 125 esercizi, in maggioranza a gestione locale, per fare posto a uno shopping center che ospiterebbe tre dozzine di grandi negozi. I beneficiari di questo piano comprendono The Gap, Borders Book, e FAO Schwartz.

In queste condizioni, anche i più concorrenziali, efficienti e conosciuti commercianti autonomi devono lottare per rimanere a galla.

Quanto questi esempi rendono chiaro, è come la scomparsa di attività indipendenti non sia inevitabile. Anziché indebolire l’economia locale, molte comunità stanno tentando un approccio diverso. Hanno fatto del sostegno alle attività a scala umana, locali, un obiettivo centrale della pianificazione e delle decisioni di sviluppo.

Stanno adottando una serie di regole nell’uso dello spazio che scoraggino le grandi compagnie e sostengano la proprietà locale. In molti casi si è ristretta la dimensione la dimensione fisica dei nuovi negozi. In altri si concede nuova edilizia commerciale solo se risponde a determinati criteri decisi dalla comunità. Alcuni hanno messo al bando l’uniformità, proibendo i negozi realizzati a “formula” standard. Altri hanno sbarrato la strada a qualunque intervento commerciale al di fuori del distretto centrale. Esempi di queste politiche, compresi i testi delle ordinanze locali, si possono reperire al sito web New Rules, creato dall’Institute for Local Reliance).

Progettando politiche che mettano al primo posto la comunità, le attività locali possono ridiventare una componente chiave di una dinamica economia commerciale, e di una comunità locale viva.

Nota: qui il link al sito citato, New Rules. Per un parziale confronto, può valere anche l'insieme di argomentazioni di una sezione locale italiana della Associazione per i Centri Commerciali Naturali (fb)

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