Il manifesto, 5 Marzo 2015 (m.p.r.)
Chi inquina, finalmente, paga. Anche con la galera. Con l’approvazione al Senato del disegno di legge sui reati ambientali potrebbe chiudersi nel migliore dei modi un percorso sofferto che per decenni è stato condiviso da tutto il mondo ambientalista. Il provvedimento, dopo aver subito delle modifiche a Palazzo Madama, adesso dovrà tornare alla Camera per la terza lettura.
L’inedito fronte politico che ha sostenuto il ddl è composto da Pd, Sel, Ncd e M5S (primi firmatari Ermete Realacci del Pd, Salvatore Micilli del M5S e Serena Pellegrino di Sel). 165 i voti favorevoli, 49 contrari, 18 astenuti. L’altra notizia è che il governo, per la prima volta, non si è piegato a Confindustria. L’esito, come dicono tutte le associazioni ecologiste, è positivo. Il vuoto normativo è stato colmato, anche se queste norme rischiano di perdere efficacia in un quadro legislativo ancora confuso e contraddittorio, soprattutto quando si tratta di reati ambientali.
In sintesi, il ddl introduce nuovi reati di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, i delitti colposi contro l’ambiente, il traffico e l’abbandono di materiale radioattivo e il reato di impedimento di controllo. Tra le altre, è stata introdotta anche una norma che vieta le esplosioni in mare per attività di ricerca ed ispezione dei fondali, una questione che l’altro giorno aveva visto il governo battuto in aula. Si tratta di un pacchetto particolarmente indigesto per le cosiddette ecomafie che in Italia, ogni anno, impunite, “fatturano” cifre astronomiche.
Sono soddisfatti i due ministri direttamente coinvolti. «Si tratta di un segnale di grande sensibilità nei confronti di un tema di stringente urgenza per il paese — ha commentato il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti — e ormai siamo all’ultimo miglio di un passaggio storico: chiedo alla Camera di fare presto e di approvare questo testo senza ulteriori modifiche, c’è assoluta necessità di stroncare i business criminali che si arricchiscono inquinando il nostro territorio». Per il ministro della Giustizia Andrea Orlando (già ministro per l’Ambiente) questa è la risposta del governo «alle molte ferite che hanno colpito il paese”. Orlando ci tiene a mettere l’accento non solo sull’impianto punitivo delle norme ma anche alla riduzione delle pene per chi si impegna a ripristinare lo stato dei luoghi inquinati, il cosiddetto “ravvedimento operoso».
Entrando nei dettagli, il testo inserisce nel codice penale il nuovo delitto di inquinamento ambientale (art.452 bis) che punisce con la reclusione da 2 a 6 anni, e una multa da 10 mila a 100 mila euro, chiunque provochi un danno significativo alle acque, all’aria, al suolo, al sottosuolo e più in generale alla biodiversità, alla vegetazione o agli animali. C’è anche una norma che prevede la detenzione, quella di disastro ambientale: da 5 a 15 anni per chi inquina provocando danni irreversibili per l’ambiente e per le persone esposte al pericolo. Vengono in mente i rifiuti tossici in Campania, l’Ilva di Taranto, o l’Eternit in Piemonte.
«L’approvazione del ddl — ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso — è la risposta al dolore di persone come il poliziotto della terra dei fuochi che si è ammalato di tumore in seguito alle sue indagini sui rifiuti in Campania, o dei familiari delle persone che hanno perso la vita a Casale Monferrato”. Per Titti Palazzetti, sindaco di Casale, questa è “una promessa mantenuta».
Il delitto di “abbandono di materiale ad alta radioattività” viene punito con la reclusione da 2 a 6 anni e con una multa che va da 10 a 50 mila euro, pena estesa anche a chi acquista, riceve, importa, esporta, trasporta o detiene il materiale in questione. Per il delitto di “impedimento al controllo”, invece, le pene vanno da 6 mesi a 3 anni. Mano pesante per l’aggravante di “associazione mafiosa”: verrà applicata anche ai pubblici ufficiali che si renderanno complici di qualunque tipo di agevolazione in materia di concessioni o autorizzazioni. Pene più severe anche per chi ispeziona i fondali marini utilizzando tecniche esplosive (da 1 a 3 anni di reclusione). Tra i nuovi reati è stato introdotto anche quello di “omessa bonifica” per chi non ottempera all’ordine di recuperare l’area inquinata.
Uno degli adeguamenti più significativi del codice penale permette inoltre di poter contare sull’allungamento dei termini di prescrizione del reato. «Ricordiamo a tale proposito - sottolinea il WWf con una nota - il caso Eternit: l’intervenuta prescrizione che ha mandato assolti gli imputati è dipesa dall’esistenza di reati assolutamente inadeguati rispetto alla gravità dei fatti. Se le disposizioni contenute nella proposta di legge fossero già entrate in vigore, il processo si sarebbe prescritto in quindici anni».
Il vicepresidente di Legambiente, Stefano Ciafani, e il coordinatore nazionale di Libera, Enrico Fontana, ieri hanno assistito al voto in Senato in rappresentanza di quelle 23 associazioni e di quei 70 mila cittadini che hanno sottoscritto il loro appello intitolato «In nome del popolo inquinato: subito i delitti ambientali nel codice penale». Adesso hanno fretta, vogliono che la Camera approvi al più presto un decreto legge atteso da più di venti anni. «Grazie a questo voto - hanno aggiunto - è stata finalmente cancellata la non punibilità dei reati colposi in caso di bonifica, tanto cara a Confindustria, e sono stati apportati ulteriori miglioramenti al testo grazie al voto favorevole della maggioranza, del M5S e di Sel».
Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente e territorio alla Camera, primo firmatario della proposta di legge, si augura che il via libera definitivo avvenga «senza cambiare nemmeno una virgola». E’ questa la preoccupazione di tutti gli ambientalisti. Vista la larga e inedita maggioranza, non dovrebbero esserci brutte sorprese. Anche perché, ha spiegato Realacci, «quelli contro l’ambiente sono crimini particolarmente odiosi e molto pericolosi, basti pensare che stando al rapporto Ecomafia di Legambiente fruttano alla malavita organizzata circa 15 miliardi all’anno».