Siamo un Paese a cui ogni tanto viene somministrata dai partiti di centro destra una sbornia che viene amplificata da mass media e che poi, quando ci si sveglia, lascia dietro di sè un bel gran mal di testa. E’ il caso della sbornia delle tasse su cui c’è stata anche una battaglia elettorale vinta da Berlusconi il quale ora si trova a dover mantenere le promesse fatte, tra le quali la riduzione delle tasse su salari e stipendi e sulla prima casa e delle aliquote IRPEF (se ci saranno le condizioni economiche). Se il buon giorno si vede dal mattino, le recentissime decisioni del governo relative alla riduzione delle tasse su una quota marginale dei salari e stipendi e dell’eliminazione dell’ICI sulla prima casa fanno prevedere nubi e temporali.
Mentre con la prima manovra lo Stato rinuncia ad incassare un parte del prelievo fiscale relativo alle componenti variabili del reddito da lavoro dipendente privato, con la seconda si ridistribuisce reddito proveniente dalla fiscalità generale a favore di ceti abbienti, che possedendo case non certo popolari, potrebbero continuare a pagare anche l’ICI.
A scanso di equivoci chiariamo subito che non siamo strenui difensori di questa imposta locale visto che essa, per l’importanza che ha assunto sul gettito delle casse comunali, ha concorso a incentivare una continua crescita della cementificazione del territorio. Riteniamo infatti che non sia più prorogabile una riforma complessiva della fiscalità locale che, pur prevedendo forme importanti di prelievo dalla rendita fondiaria ed urbana, consenta di disincentivare e frenare le crescenti espansioni urbane che i comuni favoriscono per fare cassa.
Stante la situazione di status quo in atto, vogliamo qui richiamare in particolare l’attenzione sulle conseguenze che l’eliminazione dell’ICI sulla prima casa comporterà per i Comuni, anche a fronte di trasferimenti equivalenti da parte dello Stato. Anzitutto occorre evidenziare che questa decisione va in direzione esattamente contraria a quanto si va sostenendo da anni a proposito dell’autonomia finanziaria dei Comuni dato che questi si troveranno a veder dipendere ancor di più le proprie entrate dai trasferimenti dello Stato, con buona pace di chi predica contro il centralismo romano! Ma fin qui qualcuno direbbe: poco male, visto che anche la manovra sull’ICI relativa alla prima casa prevista dalla finanziaria di Prodi, va nella stessa direzione.
Tuttavia per le casse comunali la differenza tra l’intervento del centro sinistra e quello del centro destra è sostanziale ed essa sta nel fatto che se le minori entrate dei Comuni derivanti dalla soppressione dell’ICI sulla prima casa saranno compensate da una somma pari a quella incassata nel 2007, verranno penalizzati fortemente tutti quei Comuni in cui in questi anni le Amministrazioni si sono date da fare per ridurre le aliquote ICI per la prima casa! Si premieranno così i Comuni che hanno le aliquote al massimo (7 per mille) e si penalizzeranno quelli che le hanno ridotte o che hanno deciso di mantenerle ai livelli minimi. Come manovra non c’è male. In assenza di una complessiva riforma della fiscalità locale, avverrà che i Comuni penalizzati cercheranno di compensare le minori entrate aumentando l’addizionale comunale all’IRPEF, urbanizzando ulteriormente il territorio con capannoni vari, rendendo costosa la sosta delle autovetture mettendo parchimetri ovunque (come già fanno molti comuni medi e grandi) ed a sperare di ricavare somme consistenti dalle multe connesse alle infrazioni del codice della strada (vedasi l’estensione del ricorso all’autovelox).
Ora che è uscito sulla Gazzetta Ufficiale il decreto fiscale (DL. 27 maggio 2008 n 93) è possibile leggere anche le cifre ed analizzare cosa si è penalizzato. Anzitutto si evidenzia che “le modalità di rimborso ai Comuni per il taglio dell'Ici valgono solo per il 2008, e non più per l'intero triennio 2008-2010, come previsto nella prima bozza del decreto fiscale. Anche la cifra è leggermente ridimensionata: scende da 2.600 milioni a 1.700 cui vanno aggiunti però, nella nuova formulazione, 823 milioni del primo taglio ICI operato dal Governo Prodi. In tutto 2.523 milioni” (Il sole 24 ore). Poiché questa è la somma che si intende trasferire ai Comuni per il mancato gettito dell’ICI senza dover provvedere a reperire nuove entrate, il decreto Tremonti prevede di fare tagli sul versante delle spese. I soldi arrivano da fondi stanziati nella finanziaria per capitoli di spesa che non ci saranno più e che riguardano le infrastrutture del sud, il trasporto locale, l’ammodernamento della rete idrica, l’ambiente, le politiche sociali.
Ciò detto sui tagli delle spese previste, su cui ci sarebbe già molto da dire, rimane ora la questione delle entrate e, ciò, al fine di esaminare la redistribuzione del reddito che viene operata con il decreto. Per far questo occorre tener presente alcune cose importanti.
Anzitutto spendiamo due parole sull’ICI, ossia sul fatto che questa imposta locale sui patrimoni immobiliari, rappresentando una entrata per le casse comunali (fra le più importanti) basata sul valore catastale di essi, consentiva, sia attraverso l’applicazione differenziata delle aliquote che attraverso il diverso valore catastale degli immobili, di incidere sulle rendite immobiliari e di effettuare prelievi che in un certo qual modo potevano essere considerati progressivi rispetto al reddito dei loro proprietari. In altre parole si poteva in buona misura far concorrere di più alle entrate comunali (e quindi alle loro spese) coloro che abitano in case di lusso, signorili o comunque non popolari e che pertanto si presumono essere percettori di redditi medio alti ed a far pagare di meno coloro che invece abitano in case popolari o certamente non di lusso che invece percepiscono redditi modesti o bassi. Come vede si tratta di un imposta che risponde anche ad un principio di equità previsto dall’art. 53 della Costituzione che recita: “…tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Orbene ricordiamo che grazie alla manovra di Prodi, che agiva sul versante delle detrazioni e non delle aliquote, si era riusciti a non far più pagare l’ICI a circa il 40% di proprietari di prime case che abitano in alloggi modesti aventi un basso valore catastale e, perciò, appartenenti a persone a basso reddito (lavoratori dipendenti e pensionati). La manovra Berlusconi, con l’eliminazione delle aliquote sulla prima casa, va ora a beneficiare il rimanente 60%, ossia coloro che sono proprietari di case aventi un valore catastale medio ed alto e che pertanto si presume dispongano di redditi medio-alti. In questo modo tutti vengono messi sullo stesso piano. Certamente si obietterà che il mancato aggiornamento del catasto ha forse consentito a proprietari di alloggi per niente modesti o popolari di beneficiare della manovra di Prodi, tuttavia si deve ricordare che la recente riforma del catasto che ha permesso di trasferire ai Comuni o loro raggruppamenti, la sua gestione diretta, dà loro la possibilità di provvedere al suo aggiornamento e, quindi, di eliminare le disparità presenti.
Tolte dunque ai Comuni le risorse economiche connesse a questa imposta, rimaneva da risolvere il problema di dove reperire le risorse necessarie da trasferire ai Comuni per compensare queste minori entrate e consentire così di sostenere le spese che essi fanno.
Avendo deciso di non ricorrere all’istituzione di una nuova tassa, i soldi non potevano che provenire dalle entrate generali dello Stato che, come mostrano i dati del Ministero delle Finanze, provengono per lo più dalle entrate tributarie (che nel bilancio di previsione del 2008 rappresentano il 63% delle entrate di competenza) ed in particolare dal gettito IRPEF (che a sua volta rappresenta il 36,7% delle entrate tributarie stesse). Un gettito questo che a seguito della cronica massiccia evasione ed elusione fiscale proviene oggi in gran parte dai redditi da lavoratori dipendenti e pensionati, ossia da coloro che hanno un prelievo certo e diretto alla fonte. E’ da questi soggetti infatti che vengono i soldi che andranno a compensare i Comuni per le mancate entrate dell’ICI.
Orbene, una volta dirottate le entrate tributarie dello Stato verso i Comuni e soppresse le spese che si prevedevano di fare, i Comuni ora potranno finanziare le proprie spese non più fruendo di entrate derivanti da una imposta progressiva sul valore del patrimonio (e perciò sul reddito), in cui anche coloro che dispongono redditi superiori alla media, contribuiscono a pagarli, bensì solo grazie ai soldi che prevalentemente provengono dalle tasche di lavoratori dipendenti e pensionati.
Queste categorie di persone si troveranno così a pagare anche per conto di chi ora, grazie alla soppressione dell’ICI su case di un certo valore, non pagheranno niente.
Se questo è l’antipasto del federalismo fiscale, c’è di che stare poco allegri!