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Manuela Pivato
Ecco il nuovo Fontego.il lusso sbarca a Venezia
21 Maggio 2016
Terra acqua e società
Negli stessi giorni a Venezia si svolgeranno due eventi: ai Giardini si aprirà la Biennale architettura, a Rialto l'antico centro della città si potrà vedere il più clamoroso degli scempi di Benettown: la distruzione del Fòntego dei Tedeschi.

Negli stessi giorni a Venezia si svolgeranno due eventi: ai Giardini si aprirà la Biennale architettura, a Rialto l'antico centro della città si potrà vedere il più clamoroso degli scempi di Benettown: la distruzione del Fòntego dei Tedeschi. La Nuova Venezia, 21 maggio 2016, con postilla

Dal XVI secolo al futuro, dai tedeschi ai francesi, dai legnami ai tacchi assassini, in un'evoluzione di tempi, modi e opportunità. Il commercio, quello delle merci in arrivo dal nord Europa, e poi quelle comunicazioni, nel lungo periodo in cui fu sede delle Poste; il commercio, questa volta del lusso, soprattutto italiano, rimane il cardine del Fontego dei Tedeschi che sta perfezionando la sua muta in attesa di mostrarsi a Venezia e al mondo tra quattro mesi.

Il resto è il risultato dell'incontro, quasi mai facile, tra le vestigia del passato e la tecnologia, tra la storia e la sua proiezione, tra la scala mobile rosso color sangue di bue e i merli di pietra della facciata a guardia del ponte di Rialto. Ecco il Fontego che diventa Fondaco, anzi “T Fondaco dei Tedeschi”, secondo la ristrutturazione voluta da Edizione - la società del Gruppo Benetton proprietaria dell'edificio –, affidata allo Studio Oma dell'architetto Rem Koolhaas e alla Sacaim, e ora, a lavori praticamente conclusi, salda nelle mani del marchio Dfs (Duty Free Shop), controllato dal Gruppo Lvmh, che ha avuto in affitto l'edificio cinquecentesco.

Ecco il Fondaco come lo vedrà la stampa il prossimo 29 settembre e il pubblico il 30 quando duemila lampade illumineranno i 6.800 metri di superficie, le sessanta boutique, le 450 finestre, i quattro ascensori, la scala mobile chiamata “tappeto rosso” (solo in salita) e, sempre più su, il padiglione vetrato tenuto insieme da 22 mila bulloni, l’ultimo piano destinato agli eventi culturali e la terrazza che è panoramica come una ruota: 360 gradi di pura Venezia dal Lido alle Alpi. «Qui ogni arco, ogni fregio, ogni decorazione ricordano la storia dell’edificio - spiega il vicepresidente per l’Italia di Dfs, Roberto Meneghesso - per noi è un onore, oltreché una responsabilità, continuare una tradizione che affonda le radici nel XIII secolo e riportarlo in vita». Quattro gli ingressi a piano terra che convergeranno nel grande cortile dove fino al 2008 i veneziani facevano la fila per spedire un pacco.
Quattro ingressi di cui quello sulla Salizada conserva ancora le vecchie porte di legno, vetro e ottone. «Tutto, abbiamo conservato tutto quello che c’era» dice ancora Meneghesso insieme all’architetto Alberto Torsello. Tutto quello che era possibile, ovviamente. Come i masegni delle arcate a piano terra, numerati, rimossi, spazzolati e rimessi al proprio posto uno per uno. I meravigliosi soffitti di legno decorato. La scala in pietra d’Istria. Gli intonaci spugnati a mano. I pavimenti alla veneziana che si rincorrono per gran parte della superficie. La vecchia buca delle lettere. L’immenso cantiere, dove hanno lavorato fino a 160 operai contemporaneamente, si sta piano piano svuotando e, a breve, entreranno gli arredatori ai comandi dell’architetto britannico Jamie Fobert che curerà gli allestimenti. Ci penserà il tempo, se sarà galantuomo, ad annerire gli infissi in ottone dorato che hanno fatto cadere la mascella a più di qualcuno, a fare digerire i pavimenti alla palladiana dal vago effetto animalier, a scurire le pareti dorate un po’ “bling bling” degli ascensori e a smorzare il rosso, il lustro e il nuovo.

postilla
Lo scempio è compiuto e, dal 29 giugno, visibile. Occorrerebbe affiggere, a memoria dei posteri, una lapide con l'elenco dei protagonisti e dei complici del delitto. La città e i suoi cittadini e abitanti hanno perduto uno spazio pubblico vitale per decenni, l'umanità un elemento di rilievo del patrimonio storico e artistico della città. In cima alla lista dei carnefici e dei loro complici non ci sarebbe solo quel signore, padrone di Benettown, che un sindaco filosofo definì "un mecenate", ma anche un paio di sindaci della città, la dirigente della sovraintendenza ai Beni architettonici e paesaggistici di Venezia, gli architetti che hanno concepito e implementato il progetto, e via enumerando. Chi volesse contribuire a comporre l'elenco dei nomi da inserire in una lapide siffatta può cominciare a sfogliare eddyburg, scrivendo sull'apposito "cerca le parole" "Fontego dei Tedeschi".

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