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Ecco i veri maestri del liberalismo
7 Giugno 2011
Recensioni e segnalazioni
Nel saggio di Michele Battini sul pensiero di Halévy la ricerca di una soluzione liberale alla tirannia del dogma del mercato. La Repubblica, 7 giugno 2011

L´autunno del 2008 passerà alla storia come il mese del great slump (il grande crollo). Trovarvici in mezzo, ha significato vedere gli effetti disastrosi della più potente ideologia del ventesimo secolo, quella della deregulation, quella che ha comandato di trattare il credito come una merce eguale alle altre, di negoziarlo su mercati privi di controlli, con l´esito di fare dell´"industria bancaria" (come viene chiamata negli Usa) un´industria altrettanto pericolosa di quella nucleare.

Questa ideologia, spiega Michele Battini nel suo ultimo libro, Utopia e tirannide: Scavi nell´archivio Halévy (Bollati Boringhieri, pagg. 384, euro 26), aveva messo radici alla fine degli anni ´70, quando Paul Volcker era stato nominato presidente della Federal Reserve, avviando le politiche di liberalizzazione estrema e riducendo i diritti sociali a una variabile del bilancio federale. In quegli stessi mesi, nel Regno Unito, la signora Thatcher aveva iniziato a picconare l´edificio del Welfare. Volcker era stato allievo, e Thatcher fervente ammiratrice, di Friedrich von Hayek, il maestro della scuola neomarginalistica. Proprio nel ´79, Hayek aveva licenziato il suo capolavoro, Legge, legislazione e libertà, un poderoso attacco a quello che egli chiamava il "miraggio" della giustizia sociale. L´utopia illuministica che il legislatore possa organizzare la società e costruirla attraverso il diritto avrebbe, pensava Hayek, l´effetto perverso della tirannia. Dagli anni della Guerra Fredda, la cosiddetta «democrazia totalitaria» era divenuta l'ossessione di tutti i neoliberali, da Talmon a Furet a Berlin. Hayek metteva in dottrina quella visione, sostenendo che tra il Welfare State delle democrazie occidentali e la pianificazione totalitaria sovietica, non vi era differenza di sostanza.

Battini mette in discussione questo paradigma e, sulla scorta di altri pensatori, come Karl Polanyi, Marcel Mausse e Amartya Sen, vede proprio nell´utopia del mercato autoregolato (ma in realtà imposto dal potere politico) una nuova forma di dispotismo sociale. Si mette allora a seguire una strana pista. Non lo convince, ad esempio, che tutti i maestri del neoliberalismo invochino l´autorità di un grande storico francese, Elie Halévy, ebreo e amico di Carlo Rosselli, uno dei massimi studiosi dell'utilitarismo e del socialismo europeo dal Settento al Novecento. Ad Halévy si ispirarono i teorici dell´utopia del mercato, a partire da Raymond Aron, il quale aveva pubblicato, postumi, due capolavori: L'era delle tirannie e la Storia del Socialismo europeo, considerati pietre miliari della critica liberale dell´utopia sociale come generatrice di tirannide. Attraverso un lungo lavoro d´archivio, Battini risale alle fonti otto e novecentesche dell´opera di Halévy e, soprattutto, scopre che Aron e i suoi collaboratori non inclusero alcuni manoscritti importanti del maestro; inoltre operarono modifiche e interpolazioni (per esempio, tolsero il capitolo sulla comune natura universalistica e illuministica dell´economia classica e del socialismo, molte pagine su Marx e sulla cooperazione sociale).

Scrive Battini che Aron non poteva ammettere che Marx potesse essere schierato «sul versante dell´internazionalismo e della libertà», come aveva scritto Halévy. Per i dottrinari del mercato, doveva esistere solo un socialismo, quello dispotico e comunitario; non poteva essercene un altro, anch´esso erede dei Lumi ma perché erede della rivoluzione dei diritti. Questo liberalismo sociale portava non a Stalin, ma a Hobhouse e i liberalsocialisti britannici. Restituendoci un Halévy completo, Battini ripercorre in modo originale le vicende di entrambi i socialismi, quello statalista e quello liberale. A quest´ultimo, alleato naturale della democrazia, fondato sulla filosofia dei sentimenti morali di Adam Smith e il liberalismo di John Stuart Mill, l´autore ci invita a guardare nella ricerca di una soluzione alla tirannia incubata dal dogma del mercato. Questo liberalismo, che coltivò il modello della cooperazione e dell'economia mista, ha cercato di tener insieme i due principii di distribuzione delle ricchezza: lo scambio e il bisogno. Battini mostra in sostanza come la tirannide dei moderni non nasca dall´«utopia della giustizia» ma dalla violazione del principio della reciprocità sociale sul quale si regge lo scambio e, appunto, la giustizia.

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