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Marco Palombi
Ecco come si organizza il nuovo “Sistema Mose”
30 Agosto 2014
Venezia e la Laguna
«Venezia ora è in mano al ministero di Lupi, alleato col "Padrone" del Porto Paolo Costa: a breve parte lo scavo del canale per le "Grandi Navi"».

«Venezia ora è in mano al ministero di Lupi, alleato col "Padrone" del Porto Paolo Costa: a breve parte lo scavo del canale per le "Grandi Navi"». Gli imbroglioni hanno in mano le carte che contano e le leve piccole e grandi del potere. Lavorano in fretta per distruggere ciò che è rimasto di un millennio di storia. Il mondo sta a guardare . Il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2014

Poche righe, quattro non di più, e un paio di minuti di dibattito parlamentare: tanto basta a riorganizzare una filiera di potere. La storia riguarda la Venezia del dopo scandalo Mo-se, la sua politica sputtanata (e quindi debole), la sua laguna, le grandi navi che l’attraversano e gli uomini che nel bene o nel male la governano in loco e, ovviamente, da Roma. L’inchiesta che ha falcidiato Comune, Magistratura delle Acque, le imprese del consorzio Venezia Nuova e pezzi di vecchio potere regionale ha imposto una rapida messa a punto dei meccanismi di gestione della città. In campo ora – dopo le dimissioni di Giorgio Orsoni da sindaco causa scandalo – sono rimasti in due: l’ex sindaco (ed ex ministro dei Lavori pubblici nel primo governo Prodi) Paolo Costa, presidente dell’Autorità portuale, e il ministero delle Infrastrutture, guidato da Maurizio Lupi, con la sua tecnostruttura e le sue articolazioni territoriali. Il decreto, l’emendamento e le tracce di Ncd È successo così.

Il 24 giugno il governo partorisce il decreto Pubblica amministrazione: un fritto misto, che il Parlamento è riuscito a peggiorare assai. All’articolo 18 del testo firmato da Marianna Madia si trovava – tra le altre cose – la soppressione del “Magistrato delle acque per le province venete e Mantova”, che controlla tutto ciò che riguarda la laguna, appalti compresi: i relativi poteri passavano al Provveditorato per le opere pubbliche. Gli ultimi eventi, d’altronde, non testimoniavano a favore della permanenza dell’antico istituto: nell’inchiesta Mose hanno arrestato ben due ex “Magistrati”. Messa così, niente da segnalare. Alla Camera, però, accade una cosa strana. Due deputati del partito del ministro Maurizio Lupi, Nuovo Centrodestra (Dorina Bianchi e Filippo Piccone, non veneti, né esperti di appalti pubblici) presentano un emendamento proprio sui poteri del Magistrato delle acque: vi si stabilisce che i poteri passino al Provveditorato interregionale per il Veneto e il Friuli (un organismo del ministero delle Infrastrutture). Non solo: il potere del Provveditore viene esteso anche a quei progetti il cui “importo ecceda i 25 milioni di euro”. In genere, infatti, sopra quella cifra la palla passa al Consiglio superiore dei lavori pubblici. A Venezia non più perché quell’emendamento – impercettibilmente riformulato dal relatore Emanuele Fiano (Pd) e fatto proprio dal governo - è stato approvato in commissione il 25 luglio ed è diventato legge l’11 agosto, quando il Senato ha dato il via libera definitivo al decreto. Il 18 agosto il testo è in GazzettaUfficiale e il nuovo sistema è operativo.

Chi comanda oggi a Venezia? Quelli di ieri, con una novità Domanda: chi comanda sulla laguna di Venezia ora che non c’è più il Magistrato delle acque? Risposta: il Magistrato delle acque. Quel posto infatti – grazie alla relativa nomina del ministro Lupi – dall’agosto 2013 era appannaggio dell’ingegner Roberto Daniele, dirigente del ministero delle Infrastrutture, che non casualmente è pure il capo del Provveditorato interregionale per il Veneto, cioè il nuovo dominus della laguna. Il suo nome, non da indagato, compare pure nelle carte dell’inchiesta Mose: è uno delle centinaia di “collaudatori” dell’opera, compito per cui incassò oltre 400mila euro. Insomma sarà lui – con un Comune commissariato e in attesa della complicata trasformazione che lo porterà ad essere città metropolitana – a gestire i passaggi più rilevanti che riguarderanno la laguna. Quelli più vicini sono due: l’appalto per la manutenzione del Mose (che dovrebbe entrare in funzione nel 2017 e costare dai 30 milioni l’anno in su) e il nuovo canale per far entrare le “grandi navi” a Venezia senza passare dal Canal Grande.
È quest’ultima vicenda quella più recente e economicamente rilevante e risale sempre alla settimana di Ferragosto: se infatti il decreto Madia è stato approvato l’11 agosto, il “Comitatone” che ha dato l’ok al contestatissimo progetto del canale Contorta è del 14. I nuovi business: l’affaire del “passaggio” Contorta Funziona così: politica e poteri economici veneti non vogliono rinunciare alle navi da crociera, nonostante il danno ambientale e la minaccia dell’Unesco di escludere la città dalla lista dei patrimoni dell’umanità. Ha spiegato il governatore Luca Zaia: “La crocieristica veneziana vale 4.255 occupati e 283,6 milioni l’anno”. Peccato che il professor Giuseppe Tattara dell’Università Ca’ Foscari abbia calcolato in circa 270 milioni i danni ambientali. Poco importa, più curioso che il “Comitatone” abbia scelto di sottoporre a Valutazione d’Impatto Ambientale (VIA) solo lo scavo del canale Contorta-Sant’Angelo – bocciato da esperti e cittadini perché dannoso per l’ambiente e più costoso di altre vie (115 milioni la stima ufficiale, oltre 300 quella indipendente) – assai sponsorizzato da Paolo Costa. Il 14 agosto, a benedire il progetto del capo dell’Autorità portuale, c’era mezzo governo. L’unico che non votò a favore, in quella sede, fu il commissario che governa Venezia da quando si è dimesso l’ex sindaco Orsoni, Vittorio Zappalorto: “Avrei preferito che al giudizio della Commissione di VIA non fosse inviato solo lo scavo del Contorta, ma anche qualcuno degli altri proposti, per avere un giudizio più globale. Si poteva aspettare un mese o due in più, ma cercare di ottenere questo risultato”. Il potere, però, ha orrore del vuoto. E va di fretta.

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